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Vita di Milarepa

Vita di Milarepa

I suoi delitti, le sue prove, la sua liberazione – Il Vangelo del Buddismo Tibetano

Autore/i: Anonimo

Editore: Arnoldo Mondadori Editore

introduzione e cura di Jacques Bacot, traduzione di Anna Devoto.

pp. 208, Milano

«Milarepa fu mago, poeta ed eremita. Lo fu successivamente e in modo così completo che i Tibetani fanno fatica a non separare questi tre personaggi e, a seconda del loro punto di vista di maghi, di laici o di religiosi, Milarepa è il loro più grande mago, poeta o santo. Questo essere singolare visse nell’undicesimo secolo della nostra èra e la sua memoria è ancora viva nel Tibet come fosse di una personalità da poco scomparsa.» Con queste parole l’eminente tibetologo Jacques Bacot – curatore della Vita di Milarepa, introduce la figura del santo. Ai tempi di Milarepa, il buddhismo era penetrato nel Tibet già da quattrocento anni, fondendovisi con elementi di tipo sciamanico e stregonesco dell’antica religione Bön, e venendo quindi ad assumere una fisionomia del tutto peculiare. A questo primo periodo risalgono opere importanti, tra cui soprattutto i Precetti di Padma, ma il vero evangelo del buddhismo tibetano sarà la, più tarda, Vita di Milarepa. L’universo tibetano, entro cui si svolge la storia di Milarepa, è una costruzione elaboratissima e rigorosa, dove la magia è fondamento di tutto. Da ogni parte siamo circondati dalla viva presenza di infinite schiere di dèmoni multiformi, che il sortilegio può imbrigliare o scatenare: su questo fondo si distacca la figura di Milarepa, il quale, dopo aver esercitato la magia come bruto potere, arriva a inglobarla in una esperienza che tocca il punto supremo dell’illuminazione e che sarà fondamento di una concezione religiosa più intimamente vissuta, di nuovi, più ricchi valori morali.

Jacques Bacot (1877-1965) può essere considerato come uno dei primi e maggiori conoscitori dell’antico Tibet, su cui egli concentrò i propri interessi di studioso dopo anni di viaggi ed esplorazioni nell’Asia centrale. Autore di varie opere sulla storia, la religione e la lingua del Tibet, egli dà prova, nella sua edizione della Vita di Milarepa (1925) di una finezza di interpretazione dei fenomeni di sincretismo religioso propri al mondo tibetano, e di una sensibilità per i valori umani e poetici del testo, che non si ritrovano- in pari grado nella versione curata qualche anno più tardi, con intenti soprattutto teosofici, da Evans-Wentz, peraltro assai nota nel mondo anglosassone.

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