Trattati e Prediche
Autore/i: Maestro Eckhart
Editore: Rusconi
prima edizione, introduzione, traduzione e note di Giuseppe Faggin.
pp. 408, Milano
Maestro Eckhart è un monaco domenicano vissuto all’incirca fra il 1260 e il 1328. È di poco posteriore al grande suo confratello nell’ordine dei Predicatori, san Tommaso d’Aquino; e contemporaneo di Dante, un po’ più vecchio di Marsilio da Padova e di Occam, i massimi esponenti dell’ultimo Medioevo. Egli appare molto lontano dai loro problemi. E un mistico, che cerca il «distacco» dal mondo, il silenzio e la solitudine, non l’impegno politicoreligioso tra la folla. Eppure il suo misticismo neoplatonico non conosce abbandoni sentimentali, ma scuote le anime nel profondo, come il pensiero di Dante e di Marsilio è lotta per il rivolgimento e la riforma delle istituzioni.
Veniva dalla Turingia e dalla Sassonia, le province tedesche più lontane dai centri occidentali renani. Ma insegnò, magister theologiae, a Parigi in due periodi (1302-1303; 1311-1313), e visse molti anni nei conventi delle città sul Reno, a Colonia e a Strasburgo. Qui svolse un compito che, forse, gli era più congeniale del magistero di teologia all’università: doveva governare, in qualità di vicario generale, numerosi conventi di suore Domenicane. E fu così un direttore di anime mediante l’intensa predicazione. Una poesia anonima, in volgare, scritta forse da una suora d’uno di quei conventi, esprime le impressioni vivissime suscitate dai predicatori: «L’alto maestro» Teodorico di Freiberg ci parla del «volo dell’aquila» e «sprofonda la tua anima nell’abisso senza fondo»; e il «saggio maestro Eckhart ci vuol parlare del nulla», anche se non tutte riescono a capirlo.
Sono temi, il «nulla» e il «fondo dell’anima», che ricorrono anche nei Trattati e nelle Prediche eckhartiane qui presentate. La grandezza infinita di Dio è al di là di ogni rappresentazione umana. Al di là del Padre, del Figlio, dell’Amore, espressioni ancora antropomorfiche, è la Deità, che possiamo pensare solo in termini negativi, come il nulla di ogni pensiero umano su Dio. E in noi medesimi, se liberiamo noi stessi da ogni scoria mondana, come l’artista libera la statua nascosta all’interno del tronco di legno, scopriamo il fondo immutato e immutabile dell’anima: l’arca, la rocca, la scintilla, il fondo senza fondo. Come una coppa svuotata di tutto, anche dell’aria che contiene, verrebbe fatta salire fino al cielo in forza del suo stesso vuoto, così il «distacco» dell’anima da ogni cosa, da ogni desiderio, da ogni sua proprietà, la rende assolutamente «pura» e, in qualche modo, costringe Dio, l’Essere purissimo, a discendere in noi come al suo luogo naturale. Vivendo nel distacco troviamo la nobiltà dell’uomo interiore e riceviamo ogni consolazione in Dio. Il malato non prega per la propria salute; egli non può volere cosa contraria a ciò che Dio vuole di lui. Anzi, egli non prega più, perché non ha più nulla da chiedere e da ottenere; il suo stesso distacco è preghiera. Oggetto del distacco è il puro nulla.
Eckhart, come Teodorico di Freiberg suo maestro, e come Suso e Tauler suoi discepoli, appartiene al ricco movimento del misticismo renano. Per l’arditezza di certe sue posizioni, il pensiero di Eckhart venne condannato dalla Chiesa, come vennero condannati, negli stessi anni, gli eccessi del movimento pauperistico dei Fraticelli francescani. La povertà francescana si riempie dell’amore del prossimo; la povertà dell’anima, nel distacco eckhartiano da ogni cosa, è un nulla che aspira alla quiete divina nel nulla. Sono due esperienze cristiane, opposte fra loro, condotte alla tensione estrema.
Argomenti: Cristianesimo, Filosofia, Medioevo, Misticismo, Religione, Teologia,