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Toro

Toro

21 Aprile – 20 Maggio

Autore/i: Barbault André

Editore: La Salamandra

con la collaborazione di Louis Millat, sotto la direzione di François-Régis Bastide, traduzione di Giovanni Dettori.

pp. 160, nn. illustrazioni e fotografie b/n, Milano

La pesantezza e il canto. La tavola e la gola. Il ruminare dell’anima e le grandi gelosie. Il lavoro protervo. Il «Vitello d’oro». Non c’è affatto bisogno di cercare questo prosperoso animale nella sua costellazione – Taurus – né di invocare l’influsso di una qualche stella del suo gruppo, foss’anche Aldébaran: la brillante stella rosso-pallido di prima grandezza che si ritiene rappresenti l’occhio infuriato dell’animale celeste. Nel nostro emisfero, il Toro sta a significare da sempre l’apogeo della primavera, ormai soggiogata dal regno trionfante del calore e della luce. L’intera spinta d’energia del segno precedente – l’Ariete – si traduce ora in una materializzazione delle forze creatrici, nel concretizzarsi di una vegetazione fitta e tutta vigore. È il pieno rendimento del «capitale-terra», nelle forme di un definitivo fissarsi dei valori concreti e d’una abbondanza di forme… È l’ebrezza della fecondità.
La Terra!
Si poteva pretendere immagine o simbolo migliore di quello del «bovide» visto in tutti i suoi aspetti: toro infuriato nelle arene, mucca da latte, bue grave e pesante, fatica paziente contro le resistenze più ostinate. Terra: massa, spessore, pesantezza, grossolanità, lentezza, stabilità, calma, forza, resistenza.
E ancora terra: cerchio coronato dalla mezzaluna, geroglifico della fecondità e della materia. Sostanza come concreto supporto della vita. Ancora una volta il simbolismo è più che eloquente allorché associa il Toro anche al culto del denaro: il Vitello d’oro! Segno fisso, annuale apogeo del regno della Terra. Concretizzazione del Fuoco iniziale dell’Ariete nell’uovo che condensa le energie del mondo. Corpo che cristallizza e fissa come l’ovulo recettore. Canto di pienezza lunare che in Toro si esalta. Canzone venusiana secondo l’anagramma galileiano: «La Madre degli amori imita le fasi di Diana».
Balzac e Brahms, Courbet e Delacroix, Freud e Giono, Hitler e Marx, Caterina dei Medici e Golda Meir… Analogie tra un Pétain che preconizza un «ritorno alla terra», un Jean Giono che la canta. e un Courbet che la dipinge. Analogie ancora tra un Freud che esplora il mondo sotterraneo, il «sottosuolo» della sessualità e un d’Annunzio che infantilmente vive del piacere  tra un Marx che redice il Capitale e un Balzac assillato dai tormenti finanziari, che delinea l’affresco della «Commedia umana? dominata dal denaro: il Vitello d’oro.

André Barbault, vicepresidente del Centro Internazionale di Astrologia dal 1953 al 1956, redattore capo della prestigiosa rivista «L’Astrologue» e autore di una miriade di libri e studi sull’argomento, non dovrebbe avere bisogno, neppure da noi, di presentazioni o di «referenze».
Forse il maggior rappresentante della cosiddetta corrente psicologica in astrologia, egli è oggi unanimemente riconosciuto come uno degli «esperti» mondiali più affidabili di astrologia «scientifica», allo studio della quale si è dedicato da oltre cinquant’anni.
La sua sbalorditiva padronanza di strumenti d’indagine e la conoscenza diretta – e non certo di seconda mano – delle discipline che attengono in un modo o nell’altro alla sua materia – dalla mitologia alla psicanalisi, dalla letteratura sapienziale alla storia, dalla fisiognomica così aborrita e bistrattata da Hegel quale pseudoscienza quanto amata da Bruno, alla psicosomatica alla statistica alla sociologia – è la solida pietra angolare sulla quale Barbault è andato verificando le possibilità e i limiti dell’astrologia in quanto «scienza», la correttezza di un suo assioma preferito: «il buon astrologo non parla a vanvera».
Così, l’autorevolezza e la sottile ironia, la «nonchalance» e il distacco di questo studioso piuttosto eccentrico mortificano le «certezze» dell’oroscopologia sbracata e cialtronesca dei quotidiani e dei roto-calchi. I ricettari facili e mai attraversati dal dubbio redatti «in serie» per le osterie del futuro.
«Gli astri fanno propendere, danno un’inclinazione, non determinano»: questo adagio di Tommaso d’Aquino potrebbe essere il «motto» più pertinente dell’approccio di Barbault ad un’astrologia che «entra nei fatti». Se vogliamo, una sorta di parabola del Buddha sulla casa in fiamme: che rinnova alle radici una disciplina così degradata, immiserita, inflazionata. E oggi – è appena il caso di dirlo – sull’onda dei microcircuiti, ormai inevitabilmente informatizzata.

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