Teatro
Romolo il Grande • Il matrimonio del signor Mississippi • Un angelo viene a Babilonia • La visita della vecchia signora • Franco Quinto • I fisici • La meteora
Autore/i: Dürrenmatt Friedrich
Editore: Giulio Einaudi Editore
traduzione di Aloisio Rendi.
pp. 500, Torino
«Nelle opere di Dürrenmatt si squarta, si decapita, si castra, si fucila, si avvelena ad ogni piè sospinto. “Non c’è faccenda nel mio impero, – dice Nabuccodonosor nella commedia Un angelo viene al Babilonia, – in cui non ci possa entrare il boia”. I leoni e i leopardi che gli svizzeri vanno a cacciare in Africa calcano le scene dei loro stessi teatri, e il vederli costa pochi franchi. In prima istanza questa crudeltà generalizzata si presenta però a Dürrenmatt sotto la forma di apparato statale, nel modo più evidente nella commedia Romolo il Grande. C’è qui senza dubbio l’eredità della polemica elvetica del piccolo contro il grande, del federale contro il centralizzato, polemica che risale a Burckhardt… e c’è anche il riallacciarsi, al di là di Brecht, a certi motivi del teatro espressionista. Romolo il grande è Romolo Augustolo, l’ultimo imperatore romano, che gli storici chiamano “il piccolo” e che Dürrenmatt chiama invece “il grande”, perchè si è insediato sul trono dei Cesari appositamente per sabotare l’impero, disinteressaindosi di tutto e allevando galline. A chi lo rimprovera di aver tradito risponde: “Non sono stato io a tradire il mio impero. È Roma che ha tradito se stessa. Conosceva la verità, ma ha scelto la violenza, conosceva l’umanità, ma ha scelto la tirannia”. I mostri sono qui dunque ancora quelli del potere “cattivo in sé” (come diceva lo svizzero Burckhardt) e le sue radici sono inestirpabili poiché anche Odoacre, che dà il cambio a Romolo ed è un mite pollicultore al pari di lui, ha accanto a sé il nipotino Teodorico, un tedesco pedante che prende appunti sui monumenti romani e sta meticolosamente preparando la caduta e l’uccisione dello zio.
In un secondo tempo la razionalizzazione dell’universo diventa per Dürrenmatt un compito impossibile che porta in se stesso, e non in un sabotatore consapevole come Romolo Augustolo, la propria negazione. L’impero romano diventa l’impero di Nabuccodonosor, che vuole trasformare anche l’ultimo mendicante in un funzionario statale, e, se egli si rifiuta, consegnarlo al boia. Ma il mendicante si traveste lui da boia, un angelo scende a Babilonia e vi porta il disordine dell’irrazionale e dell’amore, e cosi a Nabuccodonosor non resta altro che ordinare la costruzione della torre di Babele per dare la scalata al cielo e tentare di razionalizzare anche quello. La perfezione della tecnica e dei “servizi” evoca proprio quei fantasmi dell’irrazionale che intendeva bandire. ..
A questo punto il potere “cattivo in sé” si è identificato con la stessa razionalità reificata e burocratizzata del capitalismo che a Dürrenmatt appare come la razionalità in sé. Il grottesco delle sue commedie consisterà allora nell’evocare fantasticamente l’aspetto mostruoso e sanguinolento della “morale caparbia e dispettosa” implicita nella logica del capitalismo. La crudeltà non è solo nell’impero romano o babilonese: è anche nella vita della cittadina tedesca di provincia, decaduta e impoverita in mezzo alla prosperità generale, dove si svolge l’azione della commedia La visita della vecchia signora…». (Cesare Cases)
Argomenti: Teatro e Spettacolo,