Storia Augusta
Autore/i: Autori vari
Editore: Rusconi
prima edizione, presentazione di Luigi Alfonsi, traduzione, introduzioni e note di Federico Roncoroni, fotografie di Mario Monge, in copertina: Mosaico di Dioscuride di Samo, proveniente dalla Villa di Cicerone a Pompei (Napoli, Museo Nazionale).
pp. 952, 1 cartina a colori f.t., numerose fotografie a colori e in bianco e nero f.t., Milano
La Storia Augusta costituisce la migliore fonte storica sul Medio e Basso Impero romano, cioè sui secoli II e III d.C. Secondo la tradizione, sei diversi autori scrissero nel secolo IV trenta biografie di imperatori, da Adriano a Carino e Numeriano: più di un secolo e mezzo di storia, dal 117 al 284-285 d.C. Mancano, per una lacuna del testo, le vite di Filippo l’Arabo, di Decio, di Treboniano Gallo, di Volusiano, e la maggior parte della vita di Valeriano, per un arco di tempo che va dal 244 al 253. Non è escluso che, sull’analogia di casi consimili, la Storia Augusta si legasse all’opera di Svetonio e si aprisse quindi con le vite di Nerva e Traiano, i successori dei «dodici Cesari».
Nella Storia Augusta prevale, come in Svetonio, l’interesse biografico e il gusto dell’aneddoto: gli autori tendono soprattutto al particolare piccante, all’episodio curioso. Le vicende sociali, i rivolgimenti politici e le campagne militari, che pure occupano tanta parte dell’opera, fanno da sfondo alla narrazione della vita dei personaggi, quasi avessero un’importanza minore nell’economia dell’opera. Ne è un celebre esempio la vita di Eliogabalo, in cui l’autore si sofferma quasi esclusivamente sulle follie e sulle perversioni raffinate di quell’imperatore adolescente.
Come rileva Luigi Alfonsi nella Presentazione, non tutto quel che è narrato nella Storia Augusta è attendibile: essa contiene, accanto a buoni dati storici, desunti da fonti inappuntabili, anche un gran numero di falsificazioni e di asserzioni per lo meno sospette, dovute probabilmente alla particolare impostazione politica dell’opera. La Storia Augusta infatti si manifesta decisamente filosenatoria.
Parallelo a questa devozione al senato è lo spirito conservatore, che si traduce nell’esaltazione degli imperatori che combattono i barbari, in una velata ostilità contro i cristiani e in un altrettanto cauto filopaganesimo. Questi elementi permettono di determinare l’ambiente politico in cui l’opera è stata concepita: un ambiente senatorio, attento a difendere, nei limiti del possibile, l’antica costituzione contro il progressivo strapotere degli Augusti.
Per offrire al lettore una maggiore comprensione del testo si sono inserite, prima di ogni vita, brevi introduzioni che inquadrano ogni imperatore nel suo tempo e restaurano, quando è necessario, certi fatti storici stravolti o ignorati dall’autore. Due preziose appendici – una breve storia dell’evoluzione della costituzione romana dalla Repubblica al Basso Impero e una tavola cronologica degli imperatori e le loro «dinastie» – completano questa opera eccezionale, curata da Federico Roncoroni e arricchita da una serie di ritratti di imperatori romani, fotografati a colori e in bianco-nero da Mario Monge.
«Volle che a teatro le scene erotiche, anziché essere solo mimate, come si fa normalmente, fossero rappresentate al naturale. Acquistò delle meretrici, facendosele vendere dai loro lenoni, per concedere poi loro la libertà. Un giorno, durante una conversazione, qualcuno si domandò quante potessero essere in Roma le persone sofferenti di ernia: allora Eliogabalo, incuriosito, volle che gliene fosse portato un elenco completo. Quando lo ebbe, noncurante del fatto che tra essi vi erano persone degne del più grande rispetto, costrinse tutti coloro che vi erano indicati a presentarsi presso i suoi bagni, per farsi vedere e prendere il bagno con lui… Anche quando era ormai diventato imperatore, esigeva cose ridicole e stupide, come quella di farsi portare diecimila topi in una volta, oppure mille donnole o mille topiragni. Aveva al suo servizio pasticceri abilissimi che sapevano preparargli dolci perfettamente identici alle vivande e alla frutta che i cuochi gli allestivano. Imbandiva ai suoi convitati finte vivande fatte di vetro, e faceva disporre sulla mensa tanti tovaglioli ricamati quante sarebbero state le varie portate, ciascuno con l’immagine delle diverse vivande che sarebbero state servite. Altre volte imbandiva quadri raffiguranti le più diverse pietanze, stuzzicando cosi l’appetito dei convitati che poi lasciava a stomaco vuoto…
Le sue carrozze preferite erano quelle dorate e tempestate di pietre preziose, mentre disdegnava quelle con le rifiniture in argento, in avorio o in bronzo. Talvolta sceglieva un certo numero di donne particolarmente belle, le invitava a spogliarsi, ne aggiogava due, tre, quattro, o anche di più a un carrozzino e si faceva portare in giro per lo più nudo come loro.
Aveva anche l’abitudine di invitare a cena otto persone tutte calve oppure otto persone strabiche, otto persone sofferenti di podagra o anche otto sordi, otto individui tutti di carnagione scura, oppure otto spilungoni o otto grassoni, divertendosi, nel caso di questi ultimi, a osservare gli equilibrismi cui dovevano ricorrere per prender posto intorno alla tavola.» (dalla Vita di Antonino Eliogabalo)
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