Libri dalla categoria Atlantide
Detti e Fatti dei Padri del Deserto
Autore/i: Autori vari
Editore: Bompiani
a cura di Cristina Campo e Piero Draghi, introduzione di Cristina Campo.
pp. 292, 4 tavv. a colori f.t., Milano
L’abate Pastor disse:
“Principio dei mali èla disattenzione.”
Un anziano ha detto:
“Sei giunto a serbare il silenzio? Non credere, tuttavia, di aver compiuto un atto di virtù. Di’ piuttosto:
«Sono indegno di parlare.»”
Si domandò ad abba Elia:
“Con che cosa saremo salvati in questi tempi?”
Egli rispose:
“Ci salveremo per il fatto di non aver stima di noi stessi.”
Un anziano diceva:
“Non mangiare finché tu non abbia fame; non coricarti finché tu non abbia sonno e non parlare se non sei interrogato.”
Un anziano disse:
“Devi fuggire completamente gli uomini, o burlarti del mondo e degli uomini nel mondo; e in molti casi fare il matto.”
I maestri cristiani del deserto fiorirono tra il III e il IV secolo dopo Cristo. Da poco Costantino aveva restituito ai cristiani il diritto di esistere e sottratto con dolcezza la giovane religione al terreno meravigliosamente umido del martirio, alla stagionatura incomparabile delle catacombe. Questo significava consegnarla a quel mortale pericolo che rimase tale per diciotto secoli: l’accordo col mondo. Mentre i cristiani di Alessandria, di Costantinopoli, di Roma rientravano nella normalità dei giorni e dei diritti, alcuni asceti, atterriti da quel possibile accordo, ne uscivano correndo, erravano nei deserti di Scete e di Nitria, di Palestina e di Siria.
Affondavano nel radicale silenzio che solo alcuni loro detti, raccolti da discepoli, avrebbero solcato come bolidi infuocati in un cielo insondabile, pervenendo fino a noi.
Questa scelta di detti e fatti dei Padri del deserto, curata da Cristina Campo e Piero Draghi, ci avvicina al continente misterioso dei terrificanti e dolcissimi zen cristiani. intorno a questi “grandi leoni giacenti dello spirito”, il mondo delle forme, come quello della parola, è pressoché abolito e dunque più terribilmente violento. “Non credo occorra neppure accennare,” scrive Cristina Campo nell’introduzione, “ai gradini fondamentali della scala coeli dei Padri: la totale amputazione dal mondo, l’affinamento estremo delle potenze attraverso il silenzio, il digiuno, il canto dei salmi, il lavoro manuale: tutto ciò è canone costante, direi ovvio, dell’intero monachesimo tradizionale cristiano.”
Cristina Campo, che ha scelto e curato i testi tradotti da Piero Draghi dei Detti e fatti dei Padri del deserto, pubblicò in vita soltanto due libri: Fiaba e mistero (1962) e Il flauto e il tappeto (1971).
Di lei sono usciti presso Adelphi tutti i saggi, raccolti negli Imperdonabili (1987) e in Sotto falso nome (1998), il volume di poesie e traduzioni poetiche La Tigre Assenza (1991) e le Lettere a Mita (1999).
Psicoanalisi del Mito
Autore/i: Abraham Karl
Editore: Newton Compton Editori
introduzione di Gastone Canziani.
pp. 220, Roma
Compaiono in questa edizione i saggi dedicati da Abraham alla interpretazione psicoanalitica dei fatti culturali, appartenenti piuttosto all’ambito della cosiddetta psicologia collettiva (SOGNO E MITO), e quelli relativi a personalità e fenomeni storici (AMENHOTEP IV), come i suoi contributi alla psicologia religiosa (IL GIORNO DEL GRANDE PERDONO) sulla scia dell’opera di un altro grande psicoanalista: T. Reik.
La sua tesi che l’esperienza clinica e le prime sintesi teoriche della nuova scienza possano costituirsi quale base d’una più approfondita conoscenza antropologica lo spinge a ratificarne sul modello di Freud gli elementi portanti – a partire dal rapporto tra attività onirica ed elaborazione del materiale mitologico – allo stesso tempo in cui ne difende con veemenza la purezza interpretativa nei confronti di quelle che al loro apparire egli considerava solo le ambigue e snaturanti manovre di Jung (CRITICA DEL «SAGGIO DI PRESENTAZIONE D’UNA TEORIA PSICOANALITICA» OPERA DI C.G. JUNG).
Il Libro dei Cerchi
(Kitāb al ḥadā’iq)
Autore/i: Ibn as-Sīd
Editore: Archè
testo arabo, traduzione italiana, introduzione e note di Massimo Jevolella.
pp. 144, Milano
«E ogni cosa e ogni essere è dunque un cerchio: ritorna là dov’è il suo principio». (Ibn ‘Arabī)
«Poiché la figura degli esseri che emanano dalla Causa Prima è come la figura di un cerchio che si conclude nell’uomo, occorre che l’uomo, quando vuole avviarsi in cammino partendo dal grado del suo essere, inverta quel circolo mentalmente, e discenda dal suo grado esistenziale verso il grado dell’animale irrazionale, che rispetto a lui è al primo grado verso il basso; quindi verso i vegetali, e i minerali, gli elementi e la hayūlā.
Quando giunge alla hayūlā è arrivato al grado più basso degli esseri. Quindi inizia a risalire da essi verso il Principio Supremo, e il primo passo della sua ascensione è verso la forma, poi verso l’anima, poi verso l’intelligenza agente, poi verso i nove enti secondi che vengono denominati gli Angeli Vicini, poi verso il Creatore Altissimo». (Ibn as-Sīd)
Il Governatore della Provincia del Ramo Meridionale
E altri racconti
Autore/i: Autori vari
Editore: Arnoldo Mondadori Editore
a cura di Edi Bozza, in copertina: Manto con fagiani, dal dipinto Ritratti di imperatrici di diverse dinastie conservato al Palazzo di Nanxun.
pp. 210, Milano
Dieci racconti tratti dai classici, scelti tra i più belli e i più famosi di tutta la letteratura cinese. I primi cinque, di epoca Tang (618-907), hanno avuto una straordinaria influenza sulla cultura cinese fino ai nostri giorni. I due seguenti sono “Hua Ben” di epoca Song (960-1279) e rappresentano un genere di narrativa popolare che ha avuto grandissima diffusione fino al XVII secolo. Gli ultimi tre racconti, di epoca Ming (1368-1644), sono stati scelti in una raccolta, i San Yan, che ne contiene centoventi, tutti di eccezionale bellezza. Rappresentano ciascuno un genere di narrativa che ha avuto schiere di seguaci e di imitatori. L’ultimo di questi tre racconti è un “divertimento” di straordinaria raffinatezza. Contiene enigmi e giochi in versi che i letterati cinesi sono soliti scambiarsi quando, liberi da cure e affanni, trovano il tempo per dedicarsi a queste deliziose “frivolezze”.
EPOCA TANG (618 – 907)
La storia di Ying Ying
La storia di Li Wa
Storia di Piccola Giada della Famiglia Huo
Storia del governatore della provincia del Ramo Meridionale
Storia di Barbariccia
EPOCA SONG (960 – 1279)
Cui Ning decapitato per errore
La statuetta di giada della dea Guanyin
EPOCA MING (1368 – 1644)
Zhao Taizu accompagna Jing Niang per mille li
Shi Runze incontra per caso un amico a Tanque
Su Xiao Mei fa far tre prove allo sposino
I Draghi dell’Eden
Considerazioni sull’evoluzione dell’intelligenza umana
Autore/i: Sagan Carl
Editore: Casa Editrice Valentino Bompiani
a cura di Lucia Maldacea, traduzione dall’inglese di Andrea Fioroni.
pp. 258, nn. ill. b/n, Milano
L’embrione dell’uomo presenta fessure branchiali somiglianti a quelle dei pesci, il suo feto richiama quello degli scimpanzé: nel corso del suo sviluppo l’uomo ripercorre le tappe dell’evoluzione della specie cui appartiene seguendo il programma impostato nel DNA, la molecola chiave, comune a tutti i viventi, che archivia, trasmette e utilizza le informazioni genetiche. Tuttavia l’uomo non è solo soggetto al controllo genetico: la sua vita dipende da un patrimonio di informazioni extragenetiche di cui è depositario il cervello, un organo presente anche negli animali inferiori ma che in lui ha avuto uno straordinario sviluppo. Sagan, l’appassionato studioso del Cosmo, l’attento esploratore alla ricerca di un segno di vita intelligente su qualche remoto pianeta, affronta qui il tema altrettanto seducente della natura dell’intelligenza umana con un linguaggio sempre in bilico tra reale e “mitico”. Studia le strutture dell’encefalo e vi riconosce la varie tappe della nostra evoluzione: le parti ereditate dai rettili, quelle ereditate dai primitivi mammiferi, poi su fino al nostro antenato antropomorfo, all’epoca in cui vennero lavorate le prime pietre, accesi i primi fuochi, quando cioè fu gettato quel ponte che avrebbe condotto alle acquisizioni di una scienza oggi protesa verso pianeti dove, forse, una certa vita esiste… Sagan suffraga sempre le sue suggestive argomentazioni con i dati tratti dalla letteratura scientifica e dal vivo della ricerca. Divulgatore eccellente, avvince il lettore anche quando affronta temi ardui, come le ricerche sulle capacità degli animali di ragionare, le più recenti teorie sulla funzione del sonno e dei sogni, l’immagazzinamento delle esperienze nella memoria.
“Sagan ha il tocco di Mida. Ogni argomento da lui toccato si trasforma in oro. Non ho mai letto niente di così affascinante sul tema dell’intelligenza umana.” (Asimov)
Carl Sagan è professore di astronomia e scienze spaziali e direttore del Laboratorio di studi planetari presso la Cornell University. I suoi meriti scientifici hanno avuto ampi riconoscimenti; le sue doti di scrittore e conferenziere brillante . l’hanno reso assai noto al pubblico americano. Vincitore del Premio Pulitzer 1978, delle sue opere è stato pubblicato in Italia Contatto cosmico (Milano, 1975).
Telecomando di Esseri Umani nell’Ex URSS
Autore/i: Zaffiri Gabriele
Editore: EDAAT FRAMAR – Editrice La Gaia Scienza
prefazione di Antonio Tiberio Dobrynia.
pp. 132, ill. b/n, Città di Castello (PG)
I maggiori blocchi d’Occidente e d’Oriente, gli Stati Uniti e la ex Unione Sovietica, hanno manipolato l’informazione? E se sì, in che modo ci sono riusciti? Può la mente umana essere influenzata a chilometri di distanza, uccidere a distanza o scatenare addirittura una guerra atomica? Chi conosceva la verità celata dietro le porte dei laboratori scientifici del Kgb? E perché è scomparso nel nulla, o ha incontrato la morte, per un pugno di segreti?
Leonid L. Vasiliev, insignito del Premio Lenin, affermava (quasi un secolo fa) che “la scoperta dell’energia che è alla base delle Percezioni Extra Sensoriali avrà la stessa portata della scoperta dell’energia atomica”. Il tempo gli ha dato ragione.
Le facoltà extra-sensoriali furono studiate dai Russi addirittura dal 1891, quando fu fondata la “Società di psicologia sperimentale”. Allora la psicologia stava muovendo i primi passi, il termine “parapsicologia” era appena stato proposto da un docente tedesco, ma già l’argomento attirava miriadi di studiosi. Non ci volle molto per interessare i militari, date le potenzialità insite in queste scoperte. Sono troppi i misteri irrisolti, coperti frettolosamente sotto il cosiddetto “segreto militare”: i temi più scottanti della ricerca militare sperimentale nell’ex Unione Sovietica vengono per la prima volta affrontati in questo libro. Ne esce uno spaccato sconvolgente di quanto dietro la “cortina di ferro” sia stato compiuto sulle frontiere della ricerca scientifica e della parapsicologia pragmatica.
Per molti queste sono solo sciocchezze da film o da romanzo, impossibili nella realtà. Gabriele Zaffiri dimostra, in questo saggio, come i peggiori incubi si possano trasformare in una incontestabile verità.
Prefazione
Capitolo I
Telecomando di esseri umani nell’ex URSS
1.1 Centri dove si studiavano le applicazioni delle facoltà extrasensoriali
1.2 Anche nel cinema
Capitolo II
L’arma segreta che spia la mente
2.1 La mente che uccide
2.2 Operazione ferro di lancia
2.3 La guerra mentale
2.4 Cernobyl 2
2.5 Gli uomini robot
2.6 Operazione sovrana
Capitolo III
Il KGB assume il controllo sugli studi psicotronici
Capitolo IV
Parapsicologia in URSS: segreto Militare
4.1 La Bioinformazione e le sue applicazioni militari
4.2 I motivi del segreto
Capitolo V
Nuovi campi di battaglia
5.1 Le ricerche sovietiche
Capitolo VI
Lee Harvey Oswald subì il lavaggio del cervello da parte del KGB?
Capitolo VII
II caso Toth
Capitolo VIII
Il documento segreto e l’arresto di Toth
Capitolo IX
Ricognizioni extracorporee
Capitolo X
Lo psicogeneratore e gli esperimenti di Pavlita
10.1 Le applicazioni militari
Capitolo XI
Le radiazioni misteriose e la modifica del comportamento umano
Capitolo XII
Il bombardamento di microonde all’Ambasciata statunitense a Mosca
Capitolo XIII
Un’arma da fantascienza: il generatore psicotronico
Capitolo XIV
La tragedia di Thresher
14.1 Notizia sconcertante e declassificata sulla scomparsa del Theresher
Capitolo XV
1977: Karpov – Korchnoi
Allegati
1. Le tecnologie
2. Le stimolazioni cerebrali
3. Presidenti e Organigrammi del KGB
4. La macchina dei sogni
5. Soviet Army Rank lnsignia
L’Autore
Suggestione e Autosuggestione
Autore/i: Atkinson William Walker
Editore: Napoleone Editore
prefazione di Michele Aduani.
pp. 164, Roma
Questo trattato di William Walker Atkinson dà l’esatto valore dei grandi vantaggi che si possono ottenere dall’uso delle varie forme e fasi della suggestione, nello sviluppo dell’essere.
Nel libro, che si divide in tre parti, sono enumerate tutte le forme di suggestione, autosuggestione e suggestione terapeutica, spiegati i fondamenti e metodi per la loro più efficace applicazione, e sono aggiunti allo scopo di rendere più facili gli insegnamenti proposti dall’autore, alcuni esercizi pratici.
Gelide Notti
Autore/i: Pa Chin
Editore: Casa Editrice Valentino Bompiani
prima edizione, traduzione dal cinese di Renata Pisu.
pp. 284, Milano
Tragica e sommessa descrizione, giorno per giorno, del calvario di un uomo ammalato di tisi nella Cina miserevole che vive l’ultimo anno di guerra. Gelide notti è il capolavoro della maturità di Ba Jin (Wade-Giles: Pa Chin), lo scrittore che nel 1931 con il romanzo-saga Famiglia aveva denunciato il sistema patriarcale confuciano che nel paese percorso dai primi fremiti di rinnovamento ancora mieteva vittime tra i giovani e soprattutto, come da millenni, tra le donne. Gelide notti non è invece una “saga”: i personaggi sono soltanto tre, lui, lei e la madre di lui. Sullo sfondo la Cina martoriata, quella del “tempo del disprezzo” che preclude ogni ottimismo e impedisce allo scrittore di salutare una qualsiasi “nuova aurora”. In questo romanzo ogni evento, ogni gesto, ogni parola sono antieroici, semplici, quotidiani al punto che la banalità esalta e acuisce la tragedia ed è penosamente rivelatrice di una condizione umana universale e al tempo stesso specifica. È il “privato” di oppressi e vinti che guarda caso sono cinesi ma potrebbero essere di ogni luogo se non di ogni tempo. “Bastardo culturale” e “occidentalizzante” è stato definito Ba Jin dai critici di regime. Ma non lo sono in definitiva, in questo mondo che si va facendo uno, tutti i grandi scrittori? L’opera di Ba Jin, come ha scritto Pierre-Jean Rémy su Le monde des livres “si rivela a poco a poco – e peso le mie parole – come un capolavoro. I suoi sono di quei libri “maggiori” che attraversano folgoranti le nostre vite e che ci danno il coraggio e la voglia forsennata, disperata, di leggere e di scrivere ancora…”
Gelide erano le notti nella Cina invasa dai giapponesi, depredata dal corrotto governo di Chiang Kai-shek. Gelida ancora è stata per Ba Jin – nato nel 1904, il più prolifico e famoso romanziere della Cina contemporanea – la lunga notte della rivoluzione culturale. Fu accusato infatti dalle guardie Rosse di essere “la peggiore carogna anarchica della Cina”. In gioventù i suoi idoli erano stati Bakunin e Kropotkin (a loro il giovane Li Feigan rese omaggio scegliendosi lo pseudonimo di Ba Jin: la ba – iniziale del primo, la kin – o jin – finale del secondo), Sacco e Vanzetti, Emma Goldman. Il 20 giugno 1968 venne additato al ludibrio popolare in uno stadio di Shanghai. Ba Jin stava la centro dell’arena, in ginocchio su vetri spezzati: il processo venne trasmesso per televisione. Mandato a rieducarsi in un campo di lavoro, soltanto nel 1972 potè tornare a casa sua, dove visse ignorato, disprezzato, costretto al silenzio sino al 1976, cioè fino alla caduta della “banda dei quattro”. Dei suoi romanzi, tutti messi all’indice durante la rivoluzione culturale, alcuni sono stati ripubblicati in cina non nella versione originale ma in quella del periodo 1952-57, già spurgata da fremiti eccessivamente eterodossi o almeno così giudicati dal partito comunista cinese che allora applicava nei confronti degli intellettuali una politica più “elastica”, ma sempre vigile. Gelide notti non ha ancora visto una riedizione ed è l’unico suo romanzo che non sia stato rimaneggiato rispetto alla prima stesura perché, come dice Ba Jin, “avrei dovuto riscriverlo tutto o distruggerlo”. L’opera di Ba Jin è stata proposta per il premio Nobel.
Ba Jin, il più prolifico e famoso romanziere della Cina contemporanea, nasce nel 1904. Giovanissimo va a vivere a Parigi dove, a contatto con la cultura occidentale, si immerge nello studio della letteratura di tutto il mondo. Comincia a scrivere i primi romanzi e i primi racconti; suoi idoli sono in quel periodo Bakunin e Kropotkin, Sacco e Vanzetti, Emma Goldman, le cui opere e il cui pensiero concorrono a determinare nella figura di intellettuale rivoluzionario che il giovane Ba Jin andava maturando una componente decisamente anarchica. Rientrato in patria, prosegue con la sua attività di scrittore impegnato ma, con l’avvento della Repubblica popolare, la vigilanza del partito comunista cinese lo costringe a spurgare le sue opere di quei fermenti giudicati eterodossi. Nel 1968 la rivoluzione culturale lo travolge: la sua produzione artistica è messa all’indice, lui stesso processato e inviato in un campo di lavoro a “rieducarsi”, per lunghi anni costretto al silenzio e dimenticato. Si tornerà a parlare di lui solo nel 1976, anno che segna la caduta della “banda dei quattro”. Da allora i suoi romanzi sono stati ripubblicati in Cina e tradotti all’estero. Di Ba Jin Bompiani ha pubblicato Famiglia. La sua opera è stata proposta per il premio Nobel.
Nel Segno di Confucio : Fiabe e Storie Cinesi • Fiabe e Storie Coreane
In Cofanetto
Autore/i: Autori vari
Editore: Arcana Editrice
«Fiabe e Storie Cinesi» introduzione e cura di Roberts Moss con la collaborazione di C. N. Tay, traduzione dall’americano di Isa Mogherini, «Fiabe e Storie Coreane» traduzione dal coreano, introduzione e cura di Maurizio Riotto.
vol. 1 pp. 280, vol. 2 pp. 240, Milano
Fiabe e Storie Cinesi
Accomunando storie di fonte confuciana (la filosofia delle classi superiori) e taoista (quella più vicina al popolo), Moss Roberts, professore associato di lingua cinese e direttore degli studi sull’Asia Orientale alla New York University, ha inteso offrire al lettore un quadro dell’intera società cinese dal V sec. a.C. al XVIII sec. d.C.
Le fiabe e i brevi racconti qui contenuti parlano quindi dei complessi rapporti – rigidamente codificati – tra padri e figli, marito e mogli, imperatore e sudditi, funzionari e contadini, e delle soperchierie, delle astuzie e delle superiori norme di saggezza usate per sfuggirvi.
Ma oltre che di vita quotidiana, in queste storie si parla anche di animali magici, di dèi e di spiriti, di eroi e di fantasmi, creature simboliche tramite le quali la fantasia popolare esprime le sue paure e i suoi sogni.
Fiabe e Storie Coreane
Paese colpevolmente trascurato, se non ignorato, dalla cultura italiana, la Corea possiede uno dei più vasti patrimoni di letteratura orale di tutto l’Estremo Oriente.
Le influenze cinese e giapponese e quelle ancor più forti del Buddhismo e del Confucianesimo non hanno sepolto o appiattito la vivacità intrinseca del carattere originario coreano, particolarmente fantasioso.
In queste fiabe, la maggior parte delle quali mai tradotte al mondo, emergono alcuni elementi fondamentali: l’inviolabilità del rispetto tra padri e figli (e figli e padri); la considerazione degli animali, molti dei quali rientrano nel mito; il sostrato sciamanista del paese, al quale si rifanno tante storie di geni, spiriti, fantasmi; l’ideale dell’Amore, pur considerato dalla società, rigidamente strutturata in classi, un sentimento marginale; il sogno della metamorfosi, concepita come legge del contrappasso, e, soprattutto, la capacità di accettare un’endemica, sempre presente povertà, ma anche di impegnarsi per reagirvi.
Maurizio Riotta insegna lingua e letteratura coreane all’Istituto di Lingue Orientali di Napoli.
Idee per una Fenomenologia Pura e per una Filosofia Fenomenologica
Libro terzo – La fenomenologia e i fondamenti delle scienze
Autore/i: Husserl Edmund
Editore: Giulio Einaudi Editore
nota introduttiva e cura di Enrico Filippini.
pp. 785-986, Torino
Gli anni successivi alla pubblicazione del I libro sono per Husserl anni di ripensamento, di riformulazione e di verifica: il primitivo progetto degli altri due libri viene in certo modo accantonato e, tormentosamente, si viene formulando il materiale qui raccolto nel II e nel III libro. Il II dedicato all’analisi del costituirsi delle varie sfere della realtà, il corpo somatico, la natura, la psiche e ciò che Husserl chiamerà «io puro», spirito; un’analisi che, grazie a una sorta di infedeltà o, quanto meno, di flessibilità metodica, investirà concretamente campi inesplorati dalla mera speculazione filosofica (e si vedano a titolo di esempio le descrizioni riguardanti la localizzazione delle sensazioni nel corpo e il definirsi dei vari campi sensoriali), e insieme metterà in questione la stessa primitiva Opzione metodologica. Il III, cronologicamente precedente il II, dedicato ai prolegomeni a una critica delle scienze. Prolegomeni di estremo interesse se si considera che, rifacendosi immediatamente all’esigenza di una fondazione «assoluta» dell’oggettività scientifica e alle prime distinzioni dei vari campi e dei vari atteggiamenti scientifici, Husserl formula subito i temi che saranno della sua ultima opera importante, La crisi delle scienze europee (dove per crisi s’intenderà occultamento, da parte di ogni formalizzazione dell’esperienza, del momento formalizzante, con le conseguenze epistemologiche, etiche e perfino politiche che ciò comporta), e insieme prefigura le sue successive e fondamentali ricerche sopra la «genealogia della logica», il tentativo estremo, e forse non superabile nell’ambito della gnoseologia, di prospettare l’orizzonte materialmente semantico della classificazione scientifica.
Edmund Husserl, uno dei massimi filosofi dell’età contemporanea, nato in Moravia nel 1859, decise di dedicarsi alla filosofia dopo aver seguito i corsi di Brentano a Vienna. Insegnò a Halle, Gottinga e Friburgo, dove si spense nel 1938. Einaudi ha pubblicato in due volumi le Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica.
Il Concetto di Fenomenologia in Heidegger e Husserl
Autore/i: von Herrmann Friedrich-Wilhelm
Editore: Il Melangolo
traduzione e cura di Renato Cristin.
pp. 76, Genova
La fenomenologia rappresenta, secondo l’intendimento di Husserl, un nuovo inizio della filosofia come scienza rigorosa o non piuttosto una nuova, più radicale via d’accesso alla verità come ha proposto Heidegger in più di un’occasione?
Dal confronto fra queste due interpretazioni F.-W. von Herrmann fa emergere tanto l’originalità dell’impostazione husserliana, quanto il radicalismo dell’interrogare heideggeriano.
La ricostruzione speculativa di uno dei punti di svolta fondamentali del pensiero contemporaneo e al tempo stesso un bilancio critico a quasi un secolo di distanza dalla pubblicazione delle Ricerche logiche di Husserl.
Zuppa d’Erba
Autore/i: Zhang Xianliang
Editore: Baldini&Castoldi
nota di Martha Avery, traduzione dall’inglese di Mara Muzzarelli.
pp. 224, Milano
«Tutto ciò che vedevo intorno a me era diverso da quanto avevo letto nei libri. L’uomo esaltato da poeti, scrittori, studiosi di etica, pedagoghi, filosofi, storici, pareva essersi ridotto a uno stato non molto diverso da quello dei rospi di cui si cibava. Tutti gli animali del globo, anche i più infimi, parevano conformarsi alle leggi naturali della loro specie.
Non vi era nulla di incomprensibile in ciò. Soltanto, era difficile comprendere perché l’uomo dovesse vivere una vita simile.
In realtà non avevo alcun desiderio di comprendere. Mi limitavo a sopravvivere, da mattino a sera, con una sorta di inesprimibile meraviglia per ciò che stava accadendo. Che continuassi a vivere, che ancora non volessi morire, che ancora esigessi da me stesso di diventare una persona migliore – questo sì che destava meraviglia.»
Nel 1960 Zhang Xianliang era un poeta di ventiquattro anni. Da due anni si trovava in un «campo di rieducazione attraverso il lavoro» nella Cina nord-occidentale per il fatto di essere un letterato, un intellettuale, un nemico del popolo. La carestia, effetto delle disastrose pianificazioni produttive degli anni Cinquanta, stava mietendo milioni di vittime in tutto il Paese, ma Zhang trovò la forza di scrivere un diario: «Usai la penna per sopravvivere. Scrissi negli interstizi, nelle crepe del tempo, quando non lavoravo nei campi. Scrivendo, la prima cosa a cui pensavo non era ciò che era accaduto in una data giornata, né i pensieri degni di nota. Al contrario, pensavo anzitutto agli avvenimenti e ai pensieri che non dovevo assolutamente registrare». Ma quelle scarne annotazioni, accuratamente autocensurate, hanno aiutato il loro autore a sopravvivere. E oggi Zhang ha potuto raccontare tutto ciò che, allora, aveva lasciato fra le righe. L’orrore, la pietà, l’ironia disperata e la forza del racconto sono tali che il lettore occidentale pensa subito a classici come Memorie da una casa di morti di Dostoevskij, Una giornata di Ivan Denisovič di Solženicyn e Se questo è un uomo di Primo Levi. Ma se la testimonianza di Zuppa d’erba è unica, è per il fatto di descrivere uno dei più sottili orrori che l’uomo sia capace di immaginare: il lavaggio del cervello. Il giovane Zhang, assieme a vecchi studiosi e rinomati scrittori, viene gettato fra delinquenti comuni in un inferno senza sbarre, dove gli strumenti di tortura si chiamano fame, autocritica e delazione. Un inferno da cui nessuno osa fuggire perché ha talmente interiorizzato il senso di colpa da credere di meritarsi condizioni di vita al di là dell’immaginabile: un giaciglio largo trenta centimetri per dormire, un lavoro massacrante dall’alba alla sera, insulti e umiliazioni come terapia di riabilitazione, la perdita di qualunque individualità e, come cibo, una tazza d’erba dei campi annacquata.
Come conservare la propria umanità in , queste condizioni? Gli intellettuali come Zhang potevano fare bella mostra del proprio eloquio nelle riunioni periodiche in cui ci si accusava a vicenda, magari appigliandosi a confidenze o frasi pronunciate sovrappensiero dal proprio vicino. Ma il pensiero dominante di tutti questi ex letterati, verso i quali Zhang non mostra alcuna tenerezza o orgoglio di casta, era uno solo: la fame. Una fame assillante, ossessiva, che non solo portava a superare qualsiasi ripugnanza (topi e rospi diventano i piatti più ricercati), ma spegneva ogni residuo di sensibilità. Nessuno pensava più ai propri famigliari; nessuno cercava più amicizia e solidarietà nella disgrazia: l’unica cosa che importava era che le spartizioni della zuppa fossero eque, che nessuno ottenesse un filo d’erba più degli altri.
Ma ciò che sconvolge ancora di più è che questa fame possa essere stata pianificata dall’alto: come spiega a Zhang un detenuto musulmano, «impedite che i cinesi abbiano lo stomaco pieno; fategli patire la fame e nel giro di qualche anno non solo le persone, ma anche i cani saranno rieducati. Nemmeno uno oserà rifiutare di prostrarsi davanti al presidente Mao».
Zhang Xianliang è nato in Cina nel 1936. A ventun anni è stato mandato in un «campo di rieducazione attraverso il lavoro». Dopo ventidue anni di prigionia, è stato «riabilitato» nel 1979. Da allora si è affermato come una delle voci più originali della letteratura cinese. In inglese sono stati tradotti Half of Man Is Woman e Getting Used to Dying.
Natura e Destino
Autore/i: Lorenz konrad
Editore: Arnoldo Mondadori Editore
introduzione e cura di Irenäus Eibl-Eibesfeldt, traduzione di Alvise La Rocca.
pp. 396, Milano
«Il grande talento di Lorenz consiste nell’intuizione immediata dei rapporti»: così Eibl-Eibesfeldt nell’introduzione a quest’opera, nella quale il massimo etologo vivente raccoglie le proprie riflessioni sui problemi fondamentali della ricerca sul comportamento. Proprio questa capacità, infatti, consente a Lorenz di spiegare le connessioni tra l’evoluzione degli animali e dell’uomo, l’intreccio tra le basi naturali e quelle culturali dell’evoluzione umana e delle civiltà, di cogliere infine, con il rigore dello scienziato e il disincanto del saggio, gli errori e, soprattutto, la cecità che sembrano spingere l’umanità odierna verso la più tragica delle alternative: il proprio annullamento o la propria involuzione.
Fedele all’ispirazione originaria del suo lavoro, Lorenz non teme di affrontare i grandi problemi filosofici che da sempre sottendono la ricerca scientifica: contro le tesi del pensiero «tecnomorfo», quale si manifesta nella corrente del comportamentismo americano e in genere nello scientismo, portatori di ideologie di controllo e di dominio, Lorenz leva la propria voce in difesa di una scienza meno dogmatica e più umile, più aperta a una sensibilità «umanistica» e che non distrugga, nel proprio orgoglio tecnocratico, le fondamenta stesse della vita della specie uomo.
Ancora una volta Lorenz ci ammonisce a non dimenticare che l’oggettività dell‘analisi scientifica non può andare separata dalla più profonda coscienza delle finalità etiche della scienza e dei suoi effetti, e che queste finalità, oggi, coincidono con quelle della soprvvivenza stessa dell’umanità.
Konrad Lorenz, Premio Nobel per la medicina e la psicologia, è nato a Vienna nel 1903. Dopo gli studi, è diventato, nel 1940, ordinario di psicologia comparata a Königsberg; nel 1949 ha fondato l’Istituto di ricerca comparata sul comportamento, ad Altenberg (Vienna). Dal 1961 al 1973 ha diretto la sezione di fisiologia del comportamento all’Istituto Max Planck a Seewiesen, in Baviera; dal 1974 è direttore del dipartimento di sociologia animale presso l’Accademia austriaca delle scienze.
Tra le sue opere, in edizione Mondadori sono apparsi i Dialoghi con l’oca selvatica (1979) e Il declino dell’uomo (1984).
La Medicina Smascherata
L’antivivisezionismo come esperienza politica
Autore/i: Ruesch Hans
Editore: Editori Riuniti
introduzione cura di Marco Mamone Capria.
pp. 272, Roma
La ricerca biomedica è largamente basata sull’utilizzo di animali, con risultati che i media presentano come preliminari a grandi progressi medici. Sono invece fin troppo reali le conseguenze dannose, e spesso disastrose, prodotte sulla salute collettiva dal fatto di fondare su fragili e ambigue ’analogie’ animale-uomo l’iter di sviluppo dei farmaci e la valutazione di rischio di sostanze potenzialmente tossiche. La salute dei cittadini ne soffre, non così è per i profitti stratosferici dell’industria chimico-farmaceutica. La critica su base scientifica della vivisezione è stata rilanciata poco meno di trent’anni fa in tutto il mondo dall’opera di Hans Ruesch che è stato tra le più influenti guide di un movimento che lotta per l’abolizione di questa pratica fuorviante e crudele. In questo libro-intervista Ruesch racconta la storia appassionante della sua trasformazione da romanziere di successo in critico della medicina e dello strapotere delle multinazionali del farmaco, ricostruisce episodi di ostruzionismo dei media e persecuzioni giudiziarie subite da lui e da altri attivisti in vari paesi. Descrive la dinamica del movimento antivivisezionista internazionale, insidiato sia da debolezze interne sia da tentativi di infiltrazione. Numerosi i personaggi famosi (da Christian Barnard a Maurizio Costanzo, da Indro Montanelli a Peter Singer) che Ruesch ci presenta in una luce inconsueta e rivelatrice.
Realtà dell’Anima
Autore/i: Jung Carl Gustav
Editore: Bollati Boringhieri Editore
prefazione dell’autore, traduzione di Paolo Santarcangeli.
pp. 268, Torino
Questo libro, il cui stesso titolo ha qualcosa di provocante per la mentalità moderna, rappresenta la migliore introduzione possibile al pensiero di Jung. Infatti esso contiene alcuni dei suoi scritti più brillanti, la cui materia, organizzata in tre tipi differenti di saggi, offre al lettore la visione più ampia del pensiero del grande psicologo svizzero.
In un primo gruppo di saggi, utilissimi per chi desidera sapere che cos’è la ”psicologia analitica”, egli dà una chiara esposizione dei principi e scopi del suo metodo; in un secondo gruppo tratteggia alcune grandi personalità: sono memorabili le pagine sul suo grande maestro-avversario, Freud, e quelle sull’opera profetica di Joyce; un terzo tipo di scritti, disposto nel volume in modo da abbracciare il gruppo precedente, dà la piena misura del Jung moralista e indagatore psicologico dell’uomo del nostro secolo. È bensí vero che quest’uomo contemporaneo diffida delle questioni generali trattate da un punto di vista interiore – anzi spesso egli nega che questa esigenza esista, – ma non può peraltro sfuggire dal prendere posizione, anche intimamente, sui grandi problemi: della donna, della morte, della religione, della situazione dell’uomo singolo nella società e nello Stato moderno che sono troppo facilmente intolleranti, alienatori, detentori della scienza più avanzata ma anche delle armi più terribili.
La ricca personalità di Jung è qui presente tutta, con le sue incisive intuizioni nonché con le sue idiosincrasie, ed essa è tale davvero da colpire vivamente chiunque.
Carl Gustav Jung (1875-1961) iniziò la sua attività nel 1900 nel famoso ospedale «Burghölzli» di Zurigo, sotto la guida di Eugen Bleuler, uno dei grandi maestri della psichiatria dinamica. Durante questi «anni di apprendistato» mise a fuoco la sua nozione di realtà psichica (teoria dei complessi autonomi) ed elaborò alcuni strumenti per la comprensione dei disturbi mentali (test di associazione verbale). Nel 1907 entrò in contatto con Freud, con cui stabilì uno stretto rapporto umano e scientifico, assumendo una posizione di primo piano nel movimento psicoanalitico, ma nel 1912 la pubblicazione di Trasformazioni e simboli della libido segnò la rottura del loro sodalizio e il distacco di Jung dalla psicoanalisi. Ne seguì un lungo periodo di «malattia creativa», caratterizzato da un serrato corpo a corpo con l’inconscio e le sue immagini archetipiche, di cui dà testimonianza Il Libro rosso. Esperienza decisiva da cui si cristallizzarono, negli anni della maturità, il sistema della psicologia analitica (dottrina dell’inconscio collettivo e degli archetipi, tipologia psicologica, energetica psichica e processo di individuazione, principio di sincronicità) e un’eccezionale messe di indagini storico-religiose, soprattutto nei campi dell’alchimia, dell’astrologia e del pensiero orientale. Le Opere di Jung sono pubblicate da Bollati Boringhieri a cura di Luigi Aurigemma (24 voll., 1965-2007).
Il Dito e la Luna
Il Dao del Prof. Zheng Man Qing
Autore/i: Grandi Tiziano
Editore: Luni Editrice
introduzione dell’autore.
pp. 192, nn. ill. b/n, Milano
In questo erudito, ma pratico, libro il Maestro Tiziano Grandi condivide segreti che il Prof. Zheng Man Qing, dal 1942 al 1975 – anno della sua morte -, trasmise ai suoi allievi diretti, per portarli al cuore della pratica del Taiji Quan, intesa come Arte marziale, Terapeùticà e di aiuto allo sviluppo delle potenzialità umane. Con esempi estratti dall’anatomia e dalla fisica, il Prof. Zheng dimostra con precisione come le posture e i movimenti del Taiji funzionano.
Spiega come applicare i princìpi interni dell’Energetica, non solo su se stessi, ma anche contro un avversario. Concetti come «sfericità», «triangolazione», «forza centrifuga e centripeta», «cerchio verticale», acquistano una dimensione reale grazie alla pratica del tuishou.
Considerando la differente logica tra il sistema occidentale e quello estremo-orientale, il Prof. Zheng esplora le relazioni degli organi, la loro patologia ed eziologia, secondo i due punti di vista.
Il Prof. Zheng vedeva la malattia (come l’attacco di un avversario) come una opportunità per allenarsi, un’occasione grazie alla quale ci è permesso di andare verso la radice del nostro malessere. Il praticante di Taiji può non solo essere visto come medico di se stesso, ma anche di colui che lo attacca.
L’Arte marziale non va vista come particolare espressione di forze non ordinarie; essa difatti non fa altro che utilizzare e adattare gli aspetti naturali di leggi cosmiche alle circostanze. In questo preciso punto la filosofia emerge attraverso la materia, la fisica diventa meditazione, e la forza gravitazionale dell’universo diventa la nostra stessa forza.
Questo volume contiene la traduzione in italiano del testo originale cinese del più famoso libro del Professo Zheng Man Qing: Tredici trattati sal Taiji Quan.
Tiziano Grandi, nato a Baden (Svizzera), ha iniziato la sua ricerca nel mondo delle arti marziali nel 1980, con la Kick e Thai boxe. Ha combattuto anche in Thailandia e Stati Uniti d’America, dove tra l’altro ha fatto parte della squadra del famoso Benny «The Jet» Urquidez.
Durante un lungo viaggio di ricerca intorno al mondo, durato 6 anni, incontra sull’Isola di Pasqua un «uomo straordinario» che lo introduce a un particolare insegnamento per lo sviluppo delle potenzialità umane.
Il suo incontro con il Taiji Quan e la cultura cinese avviene nel 1989 in Colombia, grazie a un allievo del Prof. Ming Wong Chun Yi, docente di Medicina tradizionale cinese antica presso l’università di Hong Kong, nonché membro della scuola taoista Tao Kung di Guangzhou.
Nel 1994 Tiziano Grandi inizia il suo studio presso la Scuola del Prof. Zheng Man Qing a Taiwan, sotto la guida dell’attuale successore del Prof. Zheng, Gran Maestro Chu Hong Pin. Dopo tre anni di intensi studi, gli viene conferito il diploma di Insegnante internazionale di primo livello, e la rappresentanza ufficiale per l’Italia della Scuola del Prof. Zheng.
Non soddisfatto dei risultati ottenuti, riesce ad avere le corrette indicazioni per continuare la sua ricerca, che lo porterà nella giungla del Borneo malese, ove risiede il successore del Gran Maestro Huang Xing Xian (1910-1992), Maestro Yek Giong. Qui studierà per altri cinque anni, con soggiorni di circa 5-7 mesi l’anno. Durante questo periodo, riceverà il 2° e 3° livello di Insegnante, e a Singapore nel novembre 2001 ai Campionati mondiali di Taiji Quan ottiene il terzo posto.
Ora vive e insegna a tempo pieno a La Spezia, scrive su varie riviste italiane e straniere, del settore, è co-autore insieme al Dott. Marco Venanzi del libro Fondamenti di Tai Chi Chuan, pubblicato dalla Luni Editrice, e ha realizzato due videocassette sulla storia del Taiji Quan.
Śiva e Dioniso
La religione della Natura e dell’Eros – Dalla preistoria all’avvenire
Autore/i: Daniélou Alain
Editore: Ubaldini Editore
prefazione e introduzione dell’autore, traduzione di Augusto Menzio.
pp. 256, nn. tavv. b/n f.t., Roma
Separando l’uomo dalla natura e dal divino, l’Occidente ha perduto la sua propria tradizione. Daniélou scopre nelle credenze e nei rituali dell’Occidente una stretta affinità con lo Śivaismo e mostra come molti elementi della perduta tradizione occidentale possano essere facilmente spiegati con l’aiuto dei testi e dei riti preservati in India.
Lo Sivaismo, le cui origini risalgono a una lontana preistoria, differisce fondamentalmente dalla tradizione vedica ma la ha profondamente influenzata per sfociare in quello che viene chiamato Induismo. Lo Sivaismo è religione essenzialmente mistica e naturalista, considera il mondo come un tutto armonioso nel quale le piante, gli animali, gli uomini e gli dèi appaiono come i diversi aspetti della manifestazione della medesima sostanza divina. È dallo Śivaismo che provengono la venerazione dei luoghi santi, degli alberi e degli animali sacri, ma anche le tecniche dello Yoga, le pratiche tantriche, le danze estatiche, l’impiego della musica come mezzo di contatto con il mondo soprannaturale, il culto del fallo, l’uso di tecniche erotiche e orgiastiche come un mezzo di progresso spirituale. , Avendo studiato i testi e i riti dello Sivaismo tantrico, Daniélou è stato colpito dai numerosi paralleli incontrati negli antichi culti dell’Egitto, della Grecia, del mondo pre-celtico. Di fronte all’identità dei riti, dei miti e delle pratiche del Medio Oriente, del mondo mediterraneo e celtico con quelli dello Śivaismo, è divenuto evidente che sia dovuta esistere un’epoca, prima delle invasioni ariane, in cui queste diverse regioni partecipavano insieme all’India delle medesime credenze e della medesima religione.
Tutte le religioni ulteriori in Occidente come in India conservano, sotto una forma più o meno camuffata, un gran numero di leggende, di credenze, di riti, di pratiche, di feste, di luoghi sacri la cui origine può essere fatta risalire a quella medesima fonte.
Alain Daniélou è nato il 4 ottobre 1907.
Sua madre, fervente cattolica, è stata la fondatrice di un ordine religioso; suo padre, uomo politico bretone, era anticlericale. Di salute cagionevole, Daniélou passa la maggior parte della sua infanzia in campagna con dei precettori, una biblioteca e un pianoforte.
Scopre allora la musica e la pittura. Quindi parte per un’università americana. Vende i suoi quadri, lavora nei Cinematografi accompagnando al piano i film muti. Tornato in Francia, studia canto, danza classica e composizione. Tiene recital e mostre.
Dal 1927 al 1932, partecipando all’effervescenza artistica dell’epoca, conosce Jean Cocteau, Diaghilev, Stravinskij, Max Jacob, Henry Sauguet, Nicolas Nabokov, Maurice Sachs, ecc. Quindi inizia a viaggiare in Africa del Nord, in Medio Oriente, in India, in Indonesia, in Cina e in Giappone. Si stabilisce infine in India presso Rabindranath Tagore che lo incarica di missioni presso suoi amici (Paul Valéry, Romain Rolland, André Gide, Benedetto Croce) e lo nomina direttore della sua scuola di musica. In seguito, però, Daniélou si ritira a Benares, sulle rive del Gange, in un antico palazzo.
Per quindici anni studia nelle scuole tradizionali sanscrito, filosofia e musica. Adotta la religione hindu ed è regolarmente iniziato.
Daniélou parla e scrive l’hindi come la sua lingua materna. Suona la vina.
Partecipa al movimento d’indipendenza come consigliere del partito tradizionalista hindu, oggi all’opposizione. Nel 1949 è nominato professore all’Università hindu di Benares e direttore del collegio di musica indiana. Nel 1954 lascia Benares per andare a dirigere la biblioteca di manoscritti e di edizioni sanscrite di Adyar a Madras. Nominato nel 1956 membro dell’Istituto Francese di Indologia a Pondichéry, poi della scuola francese dell’Estremo Oriente, torna in Europa e crea l’Istituto Internazionale per lo Studio Comparate della Musica a Berlino e a Venezia.
Ha pubblicato opere fondamentali sullo Yoga, la religione, la storia, la filosofia e la musica dell’India. Cura la collezione di dischi di musica tradizionale dell’Unesco. In questa stessa collana è già apparso il suo Yoga: metodo di reintegrazione.
Fiori Himalayani e Fiori di Bach
Applicazioni pratiche di floriterapia – Connessione con i 5 Elementi e i Centri Sottili di Energia – Come e dove agiscono i rimedi floreali
Autore/i: Narcisi Manuela
Editore: Edizioni Il Punto d’Incontro
prefazione e introduzione dell’autrice.
pp. 144, nn. ill. a colori e b/n, Vicenza
M. Tanmaia, naturalista e ricercatore australiano, è lo scopritore della nuova terapia con i Fiori Himalayani collegata alla Floriterapia di Edward Bach. Nel |990, durante un viaggio sull’Himalaya, Tanmaia si ritrovò circondato dallo splendore e dall’immensità di quei luoghi, giungendo infine in una vallata nascosta, meravigliosa per la sua bellezza e invasa da una vegetazione lussureggiante, dove il semplice contatto con alcuni fiori poteva donare un’energia particolare, percepibile anche da altri membri della comitiva. I dati sperimentali fornirono risultati immediati e sorprendenti. Questi fiori non agivano nella stessa maniera di quelli scoperti da Bach: più che rimuovere tendenze negative, essi stimolavano energie insite nell’organismo a livello psicofisico. Uno studio inedito e approfondito, nell’ambito della Floriterapia, sulle proprietà dei Fiori Himalayani, facilmente reperibili anche in Italia, con descrizioni complete dei nuovi fiori, dei loro collegamenti con i 5 elementi e dei loro effetti sull’organismo, su determinate patologie e sui centri sottili di energia (chakra).
I fiori himalayani possiedono un’energia del tutto particolare e agiscono stimolando le energie positive a livello psicofisico. Possono dunque essere utilizzati in associazione ai fiori di Bach, i quali invece rimuovono le tendenze negative.
Manuela Narcisi presenta uno studio inedito e approfondito sulle proprietà dei fiori himalayani – facilmente reperibili anche in Italia – con la descrizione completa dei fiori, dei loro collegamenti con i cinque elementi, dei loro effetti sull’organismo, su determinate patologie e sui chakra, i centri sottili di energia.
Antonio
Il monaco che visse nel deserto
Autore/i: Gemeinhardt Peter
Editore: Società Editrice Il Mulino
traduzione di Tomaso Cavallo.
pp. 232, 14 ill. b/n, Bologna
Predicatore, taumaturgo, campione di vita monacale, protettore contro l’ergotismo (il «fuoco di sant’Antonio»), per oltre mille e cinquecento anni Antonio ha incarnato molti ruoli, anche contraddittori, che ne hanno definito l’immagine nella storia. Nella cultura popolare è ricordato come fondatore del monachesimo cristiano e primo degli abati, ma anche come colui che seppe resistere alle tentazioni del demonio. Il libro racconta la storia del santo vissuto nel III secolo, dall’infanzia nel Medio Egitto all’eremitaggio nel deserto, fino alla morte alla veneranda età di 105 anni, e ricostruisce la fortuna successiva del suo modello di ascetismo, capace di ispirare anche – si pensi a Bosch, Flaubert, Dalí – la letteratura e l’arte.
Peter Gemeinhardt insegna Storia della Chiesa nella Georg-August-Universität di Gottinga. Fra i suoi libri ricordiamo «Die Heiligen. Von den frühchristlichen Märtyrern bis zur Gegenwart» (2012).
Introduzione. Avvicinarsi ad Antonio
Padre del deserto, sapiente, taumaturgo
Come si scrive la biografia di un santo?
Affidabili? Le fonti di e su Antonio
PARTE PRIMA: VITA E DOTTRINA
I. Un villaggio nel Medio Egitto
Infanzia in una famiglia copta
«Vendi tutto ciò che è tuo»
La scelta dell’ascesi
Modelli nel primo cristianesimo
II. Il cammino nel deserto
Antonio e il diavolo
L’ascesi più intensa
Assalti demoniaci
Vent’anni di solitudine
Insediamenti monacali nel deserto
III. Antonio Abate
Il martirio mancato
Il monte esterno e il monte interno
Il taumaturgo
Il veggente
In lotta contro gli eretici
IV. «Affinché l’anima trovi il suo ritmo»
Il discorso ai monaci nella Vita Antonii
La dottrina spirituale delle lettere di Antonio
Insegnamenti negli Apophthegmata Patrum
V. Formazione mondana e spirituale
Quale fu la formazione di Antonio?
Schermaglia con i filosofi greci
«Istruito da Dio»
VI. Morte e lascito
Morire sereni in volto
Dpve si trova la tomba di Antonio?
Il santo e il suo agiografo
Modello di vita ascetica
PARTE SECONDA: LEGGENDA
VII. Vita postuma nella tarda antichità
I conventi di Pacomio
«Diventare Antonio»: la Chiesa egizia
La Vita Antonii come modello letterario
Traduzioni latine della Vita di Antonio
Paolo e Ilarione: i progetti alternativi di Gerolamo
Un concorrente di Antonio: Martino di Tours
La conversione di Agostino
VIII. Immagini di Antonio nel Medioevo e nella prima modernità
Il fuoco di sant’Antonio e gli ordini antoniani
Paradigma del monachesimo medievale
La Legenda aurea
Immagine-stimolo per Martin Lutero
Barba, libro, gesti di benedizione: l’iconografia di Antonio
Mostri e torture: visioni apocalittiche
IX. La tentazione come soggetto della modernità
Donne e creature fantastiche: dal simbolismo al surrealismo
L’exaltation effrayante di Gustave Flaubert
«Perché non anche un intrepido maiale?»: Wilhelm Busch
Conclusione. Il fascino di Antonio
Appendice iconografica
Bibliografia
Abbreviazioni
Indice dei nomi
La Chiave dei Grandi Misteri
Secondo Enoc, Abramo, Ermete Trismegisto e Salomone
Autore/i: Elifas Levi
Editore: Editrice Atanòr
prefazione dell’autore, traduzione di C. Giacomelli.
pp. VII-264, nn. ill. b/n, Roma
L’Autore in questa sua opera mostra la vera religione con tali caratteri che nessuno, credente o no, potrà disconoscere; questo sarà l’assoluto in materia di religione. Stabilisce in filosofia i caratteri immutabili di questa verità, che è in scienza realtà, in giudizio ragione, ed in morale giustizia. Infine, fa conoscere quelle leggi della natura, di cui l’equilibrio e il sostegno, e mostra quanto siano vane le fantasie della nostra immaginazione dinanzi alla realtà feconda del moto e della vita. (Ciro Alvi)
Dalla prefazione dell’autore:
“Gli spiriti umani hanno le vertigini del mistero. Il mistero è l’abisso che attira incessantemente la nostra curiosità inquieta per le sue formidabili profondità.
Il più gran mistero dell’infinito è l’esistenza di Colui per il quale solo tutto è senza mistero.
Comprendendo l’infinito che è essenzialmente incomprensibile, è lui stesso il mistero infinito ed eternamente insondabile, cioè è, apparentemente, quell’assurdo per eccellenza, al quale credeva Tertulliano.
Necessariamente assurdo, poichè la ragione deve rinunziare per sempre a raggiungerlo; necessariamente credibile, poichè la scienza e la ragione, lungi dal dimostrare che non è, sono fatalmente trascinate a lasciar credere che è, e adorarlo esse stesse ad occhi chiusi.
Poichè questo assurdo è la sorgente infinita della ragione, lo luce risalta eterna dalle tenebre eterne; lo scienza, questa Babele dello spirito, può ritorcere e ammassare le sue spirali salendo sempre,’ potrà fare oscillare,la terra, non toccherà mai il cielo.
Dio è ciò che noi impariamo eternamente a conoscere. È per conseguenza ciò che non sapremo mai.
Il dominio del mistero i dunque- un campo aperto alle conquiste dell’intelligenza. Si può camminarvi con audacia, mai se ne diminuirà l’estensione; si cambierà solo d’orizzonte. Saper tutto è il sogno dell’ impossibile, ma sventura a chi non osa tutto imparare, e che non sa che per saper qualche cosa bisogna rassegnarsi a studiare sempre.
Si dice che per ben imparare, bisogna dimenticare parecchie volte.[…]”