Libri dalla categoria Reiki
La Simbolica dello Spirito
Studi sulla fenomenologia psichica con un contributo di Riwkah Schärf
Autore/i: Jung Carl Gustav
Editore: Giulio Einaudi Editore
prefazione e introduzione dell’autore, traduzione di Olga Bovero Caporali.
pp. 352, Torino
Come tutte le opere di Jung, anche questa che presentiamo ha un’impostazione strettamente fenomenologica. I cinque saggi contenuti nel volume sono infatti connessi con la fenomenologia dello spirito e iniziano con un’esposizione sommaria dell’archetipo dello «spirito». Jung descrive come compaiono, nei sogni e nelle favole, quelle figure fantastiche che, per le parti che assumono e i modi con cui si comportano, vanno considerate come «spiriti».
Nella filosofia dell’alchimia medievale, il tipo naturale di «spirito» si trasforma in «spirito Mercurio», una figura che, come Jung dimostra in base a testi originali, si situa in caratteristica posizione di contrasto rispetto alla concezione medievale cristiana dello spirito.
La figura del diavolo è argomento del terzo saggio (ad opera di un’allieva di Jung, Riwkah Schärf) che espone la storia dell’evoluzione dello spirito antidivino, quale si può ricavare dai testi dell’Antico Testamento.
Nel quarto saggio, Jung tenta un’interpretazione filologica del dogma della Trinità ed espone nelle sue linee essenziali la storia dell’evoluzione dell’idea trinitaria nei tempi pre e postcristiani, riassumendo tutti i punti di vista e le considerazioni che possono contribuire a una comprensione dell’idea della Trinità.
Il quinto saggio si presenta come il riassunto e l’analisi di un testo cinese di origine indiana che descrive le varie fasi di una meditazione mirante e far raggiungere lo stato del Buddha e intende analizzare l’aspetto orientale del problema dello spirito.
Il Profeta Muhammad
La sua vita secondo le fonti più antiche
Autore/i: Lings Martin
Editore: Società Italiana Testi Islamici
prima edizione, presentazione dell’editore, traduzione dall’inglese di Sergio Volpe.
pp. XV-376, Trieste
La vita di Muhammad, di Martin Lings, e diversa da tutte le altre apparse finora. Basata su fonti arabe dell’ottavo e nono secolo, delle quali alcuni passi importanti vengono qui tradotti per la prima volta, essa deve la sua freschezza e immediatezza di approccio alle parole di uomini e donne che udirono parlare Muhammad e che furono testimoni degli eventi della sua vita.
Martin Lings ha un insolito dono per la narrativa; egli ha adottato uno stile estremamente scorrevole, che riflette e la semplicità e la grandezza della storia. Il risultato è un libro che sarà letto con ugual piacere sia da chi ha già familiarità con la vita di Muhammad, sia da quanti vi si accostano per la prima volta.
«Prima della comparsa di questo libro, mancava quasi del tutto nell’ambito delle lingue occidentali una narrazione documentata e completa della vita del Profeta Muhammad … Ora Martin Lings … ha prodotto una splendida narrazione che costituisce, con la sua sobrietà e compostezza stilistica, e con la sua attenta e approfondita fedeltà alle fonti autentiche e accreditate, una importante integrazione alla letteratura islamica.» (Religious Studies Review)
«Per coloro che sono interessati all’Islam questo libro riveste uno speciale significato, mentre il vasto pubblico legge l’opera come una narrazione di ottimo stile e di piacevole lettura, basata su reali dati storici.» (Books and Bookman)
Martin Lings si è diplomato in Lingua e letteratura inglese all’Università di Oxford. E stato lettore, soprattutto di Shakespeare, per dodici anni all’Università del Cairo. Nel 1952 tornò in Inghilterra e si diplomò in lingua e letteratura araba all’Università di Londra. Dal 1970 al 1973 fu curatore dei manoscritti orientali al British Museum dove, fin dal 1965, si era in particolar modo occupato dei manoscritti arabi. Dal 1974 al 1976 fu consulente del World of Islam Festival Trust e fu anche membro dell’esposizione «The Arts of Islam». Nel 1977 andò alla Mecca su invito dell’Università King Abd al-Aziz per partecipare alla «Conference on Islamic Education».
Oltre alle sue tre opere sul misticismo islamico, che sono state pubblicate in molte lingue, e anche autore di Shakespeare in the light of Sacred Art, Ancient Beliefs and Modern Superstitions, di due volumi di poesie e del volume, splendidamente illustrato, Quranic Arts of Calligrapby and Illumination. Ha anche scritto numerosi articoli per le riviste Studies in Comparative Religion e The Islamic Quarterly, come pure per The New Encyclopaedia of Islam e per la Encyclopaedia Britannica.
L’Essere e il Nulla
Saggio di ontologia fenomenologica
Autore/i: Sartre Jean-Paul
Editore: Il Saggiatore
introduzione dell’autore, traduzione di Giusepe Del Bo, revisione a cura di Franco Fergnani e Marina Lazzari.
pp. 704, Milano
L’essere e il nulla è il testo filosofico sartriano di più ampio respiro e di tenore più decisamente problematico. In contrasto con una lunga tradizione speculativa, vi si conduce una «recherche de l’absolu» che criticamente rifiuta conclusioni positivo-edificanti, mentre fa luce su molteplici aspetti del consistere delle cose e dell’esistere degli uomini.
A differenza dell’essere in sé, l’esistente non è mai quello che è: trascendente, progettivo, instabile, la sua struttura è di perenne mancanza. Ma l’indagine rileva le tensioni profonde dell’essere umano che, mentre vive una condizione di incompimento e di squilibrio, nutre in permanenza l’aspirazione a superarle. Di qui il désir d’être, di qui il fascino che esercita la prospettiva ideale della totalità: giungere a un modo d’essere che abbia la stabilità e la consistenza proprie delle cose e, insieme, la fluidità degli atti vissuti di coscienza. Ma la sintesi plenaria resta un miraggio perché i termini che dovrebbero costituirla sono incompatibili. L’integrazione totalizzante è impossibile e, d’altra parte, sembra impossibile rinunciarvi. La tragicità della condizione umana ne viene confermata.
Costellato di sorprendenti «piccoli romanzi» (l’espressione è di Deleuze), che sorgono dalle sue pagine a ricordare l’irriducibile concretezza e unicità dell’esistenza, L’essere e il nulla ha conquistato l’attualità dei classici e resta parlante, al di là della lettera e dei suoi stessi enunciati.
Di Jean-Paul Sartre (1905-1980) il Saggiatore ha già proposto in edizione economica Le parole e Che cos’è la letteratura? Questa edizione di L’essere e il nulla, che riprende quella storica del Saggiatore, è stata rivista da Franco Fergnani, professore di filosofia morale all’Università Statale di Milano.
Cantico dei Cantici
Testo originale ebraico con traduzione a fronte, commenti esplicativi tratti dal Talmùd e dalla tradizione rabbinica
Autore/i: Anonimo
Editore: Mamash Edizioni Ebraiche
introduzione e cura di rav Shlomo Bekhor, traduzione di Mosè Levi e Avigail Hadad.
pp. 192, ill. b/n, Milano
Il Cantico dei Cantici è uno dei 24 libri della Bibbia, nella sezione degli Agiografi, più precisamente dell’insieme chiamato Meghillòt. Fu scritto dal grande re Salomone che regno tra il 2924 e il 2964 del calendario ebraico (836-876 a.e.v.).
Composto da otto capitoli che racchiudono in apparenza parole d’amore, come uno sposo e una sposa che si parlano con affetto, in realtà sono espressioni dal significato molto profondo e simbolico, presentate in forma implicita e allegorica.
Siccome la natura dell’uomo è di ricercare il significato profondo delle cose, quando si imbatte in qualcosa di enigmatico, l’opera è stata scritta in apparente ambiguità da un grande re conosciuto come il più saggio tra gli uomini.
Chiunque approfondisca il testo capirà che un re come Salomone non ha scritto quest’opera per parlare dell’affetto tra due persone, bensì per rappresentare qualcosa di molto più grande, con parole ardite l’autore descrive l’amore spirituale che lega Dio al suo popolo, solo scavando nella profondità dei vocaboli si può arrivare a capire l’intensità e la bellezza di questo importante libro.
Rabbi ’Akìva affermava:”Il mondo intero non è tanto prezioso quanto il giorno in cui fu dato a Israele il Cantico dei Cantici, perchè tutti gli Scritti sono sacri ma il Cantico dei Cantici è il sacro per eccellenza” (Mishnà Yadayìm 3,5).
Questa è la prima traslitterazione in italiano con traduzione letterale e parafrasi commentata, che decifra l’autentico significato dei versetti. Un apparato critico basato su Talmùd, Midràsh e mistica.
Io Sono un Gatto
La prima traduzione italiana di uno dei grandi libri della letteratura giapponese moderna
Autore/i: Soseki Natsume
Editore: Neri Pozza Editore
traduzione dal giapponese e note di Antonietta Pastore.
pp. 512, Vicenza
Il Novecento è appena iniziato in Giappone, e l’era Meiji sta per concludersi dopo aver realizzato il suo compito: restituire onore e grandezza al paese facendone una nazione moderna. Il potere feudale dei daimyo è un pallido ricordo del passato, così come i giorni della rivolta dei samurai a Satsuma, e l’esercito nipponico contende vittoriosamente alla Russia“il dominio nel Continente asiatico.
Per Nero, il grosso gatto di un vetturino che spadroneggia nel quartiere in cui si svolge questo romanzo, i frutti dell’epoca moderna non sono per niente malvagi: ha un pelo lucido e un’aria spavalda impensabili fino a qualche tempo fa per un felino di così umile condizione.
Per il protagonista di queste pagine, invece, un gatto dal pelo giallo e grigio, che i suoi simili sbeffeggiano chiamandolo «Senza nome», le cose non stanno così: dinanzi ai suoi occhi si dispiega tutta l’oscura follia che aleggia in Giappone all’alba del XX secolo.
Il nostro eroe vive a casa di un professore che si atteggia a grande studioso e che, quando torna a casa, si chiude nello studio fino a sera e ne esce raramente. Di tanto in tanto il gatto, a passi felpati, va a sbirciarlo e puntualmente lo vede dormire: il colorito giallognolo, la pelle spenta, una bava che gli cola sul libro che tiene davanti a sé.
Certo, il luminare a volte non dorme, e allora si cimenta in bizzarre imprese. Compone haiku, scrive prosa inglese infarcita di errori, si esercita maldestramente nel tiro con l’arco, recita canti nō nel gabinetto, tanto che i vicini lo hanno soprannominato il «maestro delle latrine», accoglie esteti con gli occhiali cerchiati d’oro che si dilettano a farsi gioco di tutto e di tutti raccontando ogni genere di panzane, spettegola della vita dissoluta di libertini e debosciati… Insomma, mostra a quale grado di insensatezza può giungere il genere umano in epoca moderna…
Pubblicato per la prima volta nel 1905, lo sono un gatto non è soltanto un romanzo raro, che ha per protagonista un gatto, filosofo e scettico, che osserva distaccato un radicale mutamento epocale. È anche uno dei grandi libri della letteratura mondiale, la prima opera che, come ha scritto Claude Bonnefoy, inaugura il grande romanzo giapponese all’occidentale. Mai tradotto in italiano prima d’ora, il romanzo appare nella stessa collana in cui sono stati pubblicati gli altri due capolavori di Sōseki, Guanciale d’erba e Il cuore delle cose.
Natsume Sōseki viene unanimemente considerato come il più grande scrittore del Giappone moderno, maestro riconosciuto di Tanizaki, Kawabata e Mishima. Pseudonimo di Natsume Kinnosuke, Natsume Sōseki nacque nel 1867 a Edo da un samurai di basso rango, ultimo di sei figli. Nel 1905 pubblicò il suo primo libro: lo sono un gatto. Seguirono Botchan nel 1906 e Sanshiro nel 1908. Morì nel 1916 a 49 anni.Tra le sue opere ricordiamo Il viandante, Erba lunga la via e i due grandi romanzi apparsi in Italia nelle edizioni Neri Pozza: Guanciale d’erba e Il cuore delle cose.
Monologo sulle Stelle
Forme della luce dalle origini alle fini dei mondi antichi
Autore/i: Pierantoni Ruggero
Editore: Bollati Boringhieri Editore
prima edizione.
pp. 424, nn. tavv. a colori e b/n f.t., nn. ill. b/n, Torino
Le stelle sono gli unici oggetti che appaiano tutti fatti di luce. In esse non si distingue ciò che illumina da ciò che viene illuminato, e la loro forma non esiste: esse non sono altro che punti. Dal loro aspetto remoto parte Ruggero Pierantoni per ricostruire il cammino della loro luce qui sulla terra: i segni scolpiti sulle pietre e sull’argilla, il colpo del pennello, la tessera del mosaico in attesa di risplendere nella notte di Galla Placidia, le costellazioni che brillano sul manto di Mitra, i cristalli di stelline pentagonali che accompagnano, dall’alto, l’anima del faraone. Ma una volta rappresa sulla parete, divenuta segno, la luce delle stelle non si accontenta più del minuscolo dominio iniziale, deborda dal cerchietto millimetrico, esplora oltre il proprio raggio breve, entra infine nel disegno del corpo dell’uomo e delle cose.
Il viaggio dell’autore si ferma in certi luoghi, in certi punti del percorso della luce, e cerca di capire l’animo, le intenzioni e le speranze di chi tentò di imbrigliarla dandole una forma, perché, sostiene Pierantoni, è proprio «il tema del fare la luce con le proprie mani, infiggerla nei pavimenti, sospenderla a volte, il vero argomento di questo libro».
Ruggero Pierantoni (Roma 1934) vive a Genova dove lavora presso l’Istituto di Cibernetica e Biofisica del CNR. Si è occupato di Neuroscienze e ora si interessa di problemi cognitivi connessi col disegno infantile.
Ha lavorato presso il California Institute of Technology di Pasadena, il Max-Planck-Institut di Tubinga e l’Università di Toronto. Attualmente è Visiting Professor presso il Dipartimento di Architettura dell’Università della Pennsylvania a Filadelfia. Nelle edizioni Bollati Boringhieri ba pubblicato Riconoscere e comunicare (1977), L’occhio e l’idea (1981), Forma fluens (1986) e il romanzo Segesta, domani (1990).
Si può Guarire?
La mia vita. Il mio metodo. La mia verità
Autore/i: Di Bella Luigi
Editore: Arnoldo Mondadori Editore
prima edizione, premessa di Bruno Vespa.
pp. 144, Milano
La storia, le polemiche, le battaglie e i successi del «dottore dei miracoli».
La prima biografia di un medico che tutti vorrebbero avere vicino.
Quando, la sera di lunedì 23 marzo 1998, Luigi Di Bella si è imbarcato sul volo AZ 840 per Buenos Aires, alcune migliaia di medici, funzionari del servizio sanitario nazionale e industriali farmaceutici hanno commentato: se ne è andato un incubo, speriamo che non torni. Alla stessa ora alcune centinaia di migliaia di malati di cancro hanno pensato: se ne è andata una speranza, speriamo che torni.
Dopo alcuni giorni Di Bella è tornato ed è ripresa intorno a lui la più incredibile e straordinaria battaglia combattuta in Italia sul terreno della salute. Chi è Di Bella? Il «mago di Tobruk» delegittimato e perfino insultato dagli estremisti della chemioterapia o il «dottore dei miracoli» venerato dalle migliaia di persone che negli ultimi trent’anni sono state curate da lui?
Questo libro, che apre una nuova collana di grandi interviste di Bruno Vespa, nasce dai lunghi colloqui che il più affermato giornalista della televisione italiana ha avuto con l’anziano professore nel modesto studio modenese dove Di Bella conduce le sue ricerche e visita i suoi ammalati.
Incalzato dalle domande di Vespa, Di Bella ripercorre il lungo cammino compiuto: la miseria e l’orgoglio di una famiglia con tredici figli nella Sicilia di inizio secolo, gli studi consentiti soltanto a lui, figlio minore; i sacrifici degli anni dell’università, la sorpresa dei suoi maestri per un allievo che alternava intuizioni geniali all’apprendimento del tedesco senza insegnanti, le prime scoperte scientifiche, il boicottaggio sistematico subìto dai «baroni» dell’Accademia, la necessità di far lezione al posto d’altri per quieto vivere, il destino paradossale di mandare in cattedra colleghi per i quali scrive libri. Fino alla cura delle leucemie e dei tumori solidi, del morbo di Alzheimer e delle sclerosi, ai suggerimenti per la prevenzione e per una vita più protetta. Alle polemiche e agli scontri che l’hanno amareggiato dalla fine del ’97 in poi.
Si puo guarire? è la prima, vera, biografia di Di Bella. Il romanzo del dottore che tutti vorrebbero avere vicino.
Luigi Di Bella (Linguaglossa, Catania, 1912), laureato in medicina e chirurgia nel 1936 con 110 e lode, e successivamente in chimica e farmacia, per molti anni docente universitario di fisiologia a Modena, dal 1984 continua la sua attività di ricerca scientifica nel suo laboratorio privato dove riceve anche i pazienti. Il metodo di cura (la «Multiterapia Di Bella») da lui approntato per i malati di cancro è applicato adesso da più di centocinquanta medici, mentre oltre venticinquemila pazienti hanno seguito finora i suoi protocolli di cura traendone benefici e in molti casi la remissione del male. Il metodo è ora in fase di sperimentazione ufficiale presso il Ministero della Sanità.
Luigi Di Bella e autore (con Giuseppe Di Bella, Giancarlo Minuscoli, Achille Norsa e Mauro Maradena) del libro Cancro: siamo sulla strada giusta? (Travel Factory, Roma 1997).
Bruno Vespa (L’Aquila, 1944) ha cominciato a sedici anni il mestiere di giornalista nella redazione aquilana del «Tempo» e a diciotto ha iniziato a collaborare con la RAI. Dopo la laurea in legge a Roma (tesi sul diritto di cronaca), nel 1968 si è classificato primo in un concorso nazionale per radiotelecronisti bandito dalla RAI, ed è stato assegnato al telegiornale. È stato dal 1990 al 1993 direttore del TG1, dove attualmente è inviato per i grandi avvenimenti.
Da tre anni e mezzo il suo programma «Porta a Porta» è la trasmissione politica di maggior successo.
Tra i suoi libri: E anche Leone votò Pertini (Cappelli 1978), Intervista sul socialismo in Europa (Laterza 1980), Telecamera con vista (Nuova Eri-Mondadori 1993), Il cambio (Mondadori 1994), Il duello (Rai•Eri-Mondadori 1995), La svolta (Rai•Eri-Mondadori 1996), La sfida (Rai•Eri-Mondadori, 1997).
Dettati Medianici
Nuove ipotesi del crescere in cammino verso la luce
Autore/i: Autori vari
Editore: Allestimenti Grafici Sud
pp. 352, ill. b/n, Ariccia
Un gruppo di sperimentatori si riunisce in armoniosa sintonia ed umiltà d’intenti attorno ad una medianità che stabilisce un contatto genuino con dimensioni spirituali dove l’Io individuale si fonde nella Coscienza Cosmica.
Gli insegnamenti mistici e filosofici che giungono da Maestri di elevato sentire sgorgano come l’acqua pura di una fonte novella e preziosa portando l’uomo a riconsiderare l’antico assioma: Chi sono? Da dove vengo? Dove vado?
Il Libro dei Labirinti
Storia di un mito e di un simbolo
Autore/i: Santarcangeli Paolo
Editore: Sperling & Kupfer Editori
prefazione di Umberto Eco, nota dell’autore.
pp. XV-332, nn. tavv. a colori f.t., nn. ill. a colori e b/n, Milano
«Un libro sui labirinti non può che essere labirintico – e così spero che appaia allo smarrito lettore che si accinge a penetrarvi, permettendogli di perdersi con godimento e profitto in questa caverna dal cui ingresso si diramano sentieri mitologici, corridoi filologici, cunicoli antropologici e pendii poetici.» (dalla prefazione di Umberto Eco)
Un superbo volume, ricco e documentato, su un tema che da sempre allude alla condizione umana e per questo vanta una storia millenaria, densa di suggestioni. L’esistenza stessa può essere considerata un labirinto, più o meno esteso, più o meno complesso, dal momento della nascita a quello della morte. Un libro più attuale che mai. con le sue argomentazioni di enorme fascino intellettuale e di estremo interesse culturale, che spaziano dalla presenza del labirinto nel mito – per eccellenza, quello di Minosse – a quella nella storia di tutti i tempi, dai graffiti rupestri ai pavimenti musivi, dal suo valore ludico nei giardini del Seicento al suo simbolismo spesso inquietante. È infatti ricorrente l’idea di labirinto come percorso d’angoscia, denso d’incognite nonché rappresentazione del caos contrapposto al naturale ordine delle cose, specchio dell’atavico, reverenziale timore nei confronti di qualcosa che sottolinea la vulnerabilità del singolo di fronte alla forza dell’ignoto. Un’esposizione chiara e sintetica, completata da preziose illustrazioni, uno studio illuminante che abbraccia letteratura, pittura, architettura e archeologia.
Paolo Santarcangeli (1909-1995) è stato docente di Lingua e Letteratura ungherese presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino. Ha pubblicato opere di narrativa e di poesia, numerosi saggi sulla storia dei simboli e dei miti religiosi e studi di letteratura magiara, con traduzioni all’estero.
Commento alla Genesi
Autore/i: Rashi di Troyes
Editore: Casa Editrice Marietti
prefazione di Paolo De Benedetti, introduzione, traduzione e cura di Luigi Cattani.
pp. XXXII-448, Genova
Per la prima volta in italiano il Commento al Pentateuco unanimemente considerato il più importante e autorevole di tutta la tradizione ebraica. L’affascinante e ricca personalità di Rashi, l’originalità della sua esegesi, fluttuante tra l’interpretazione letterale e quella midrashica, hanno esercitato un ampio influsso su tutto il mondo medievale: tracce della sua opera si ritrovano anche nei maggiori commentatori cristiani dell’epoca, come Ugo e Andrea di San Vittore e Nicola di Lira.
Il Commento alla Genesi, autentico capolavoro di Rashi è strumento indispensabile per cogliere alcuni caratteri essenziali della sua esegesi. Il libro della Genesi, che, in ambito ebraico, ha sempre goduto di una rilevanza tutta particolare, è stato fatto oggetto nel corso dei secoli di un numero vastissimo di commenti e interpretazioni. Rashi riesce a cogliere gli aspetti più significativi di questa ricchissima tradizione, componendoli armoniosamente con la sua personale ricerca del senso letterale del testo. Il Commento è pertanto la testimonianza riuscita di quella intima armonia tra i molteplici sensi della Scrittura che rappresenta una delle caratteristiche più proprie di tutta l’opera del grande esegeta di Troyes.
Le interpretazioni tradizionali della Scrittura, in ambito sia ebraico che cristiano, pur nella diversità a volte radicale delle prospettive e soluzioni religiose, vedono tutte nella Bibbia il luogo in cui Dio rivela la sua volontà nell’hic et nunc dei singoli e dei popoli. La lettura della tradizione nasce perciò dall’ascolto, dall’obbedienza e dalla preghiera che la Scrittura stessa suscita all’interno di un’esperienza religiosa che si propone di plasmare e salvare l’esistenza storica.
Proprio per questa dialettica fra ascolto-obbedienza nella fede e tensione a trasformare l’esistenza, il confronto con la Bibbia in alcuni momenti storici significativi ha dato luogo non solo a progetti religiosi, ma anche a mediazioni complesse e consapevoli con tutto il bagaglio culturale e scientifico di un’epoca. Almeno nei suoi frutti più maturi, l’esegesi tradizionale non è quindi solo metodo o meditazione spirituale o esercizio di erudizione, ma un’operazione culturale di ampio respiro umano che tende a riproporre il messaggio biblico nella sua essenzialità per Poggi.
«Ascolta, Israele!» vuole aiutare a riscoprire queste ricchezze presentando alcuni dei commenti più significativi ai libri biblici, dalla Genesi all’Apocalisse, espressione di molteplici esperienze, correnti e personalità religiose nei vari momenti storici dell’ebraismo e del cristianesimo. Accanto a testi dell’ebraismo antico, medioevale e moderno si propongono qui commenti delle diverse chiese, orientale, greca, latina e dell’area della Riforma.
Per la prima volta in italiano il Commento unanimemente considerato il più importante e autorevole di tutta la tradizione ebraica. L’affascinante e ricca personalità di Rashi, l’originalità della sua esegesi, fluttuante tra l’interpretazione letterale e quella midrashica, hanno esercitato una grande influenza su tutto il mondo medioevale: tracce della sua opera si ritrovano anche nei maggiori commentatori cristiani dell’epoca, come Ugo e Andrea di San Vittore e Nicola di Lira.
«Oggi i modi di leggere Rashi possono essere diversi: c’è la lettura scolastica del ḥeder o quella paraliturgica degli ebrei devoti, oppure la lettura storico-letteraria dello studioso di ebraismo medioevale e di fonti rabbiniche; c’è infine, la lettura di chi, ebreo o cristiano, ortodosso o critico verso le ortodossie, ritiene comunque che la Bibbia ebraica sia il luogo in cui si sente, come sul Sinai, la voce di Dio. A un lettore siffatto il discorso umile, sapiente, familiare e favoloso insieme di Rashi è tuttora un prezioso compagno per scoprire le segrete “possibilità” del testo» (dalla prefazione di P. De Benedetti).
Il nome completo di Rashi di Troyes era Rabbi Shelomoh ben Yishaq. Nacque a Troyes, capitale del ducato di Champagne, fiorente centro agricolo e commerciale, intorno al 1040. Studiò nelle prestigiose scuole renane di Worms e Magonza dove aveva insegnato il famoso dottore del Talmud Gershom ben Yehudah. Tornato a Troyes, vi fondò una scuola e iniziò le compilazioni dei suoi commenti alla Bibbia e al Talmud. Morì nel 1105.
Il Nome di Dio e la Teoria Cabbalistica del Linguaggio
Autore/i: Scholem Gershom
Editore: Adelphi Edizioni
traduzione di Adriano Fabris.
pp. 108, Milano
Per tutte le concezioni mistiche del linguaggio, dalle metafisiche orientali a Jacob Böhme fino al giovane Benjamin, l’essenza del linguaggio coincide con l’essenza stessa del mondo. Ma il primato della parola come luogo sacro prende un rilievo speciale nella tradizione ebraica: e la meditazione sul Nome, anzi sui Nomi di Dio, sul loro fondo impronunciabile e le loro infinite possibilità combinatorie, assume qui i caratteri di una passione assoluta, di cui si è alimentato per secoli il pensiero della Qabbalah. Illuminando via via magistralmente alcuni dei suoi snodi e delle sue figure maggiori – dalle pagine oscure e pregnanti del Sefer Yeṣirah a Isacco il Cieco, a Giqatilla e ad Abulafia -, Gershom Scholem mostra come la mistica ebraica sia tornata instancabilmente sul tema del Nome e del suo rapporto con la rivelazione. Per la Qabbalah, l’essenza divina si manifesta attraverso dieci emanazioni, congiunte nell’albero delle sefirot. E le ventidue lettere dell’alfabeto sono uno sviluppo delle stesse sefirot. Perciò il lavoro sul linguaggio diventa il compito principale del mistico e del teosofo. L’albero dei nomi fa tutt’uno con l’albero delle cose, dove i nomi e le cose sono simili a «fiamme tremolanti» divampate da una sola radice. All’origine di ogni forma linguistica vi è però, appunto, il Nome di Dio, le cui infinite varianti formano l’oggetto, secondo Abulafia, della vera scienza profetica: una vertiginosa ars combinatoria capace di ricondurre le lingue profane all’unica lingua santa originaria.
La Teoria Semantica dell’Evoluzione
Autore/i: Barbieri Marcello
Editore: Bollati Boringhieri Editore
prima edizione, presentazione di Erasmo Marrè, prefazione di René Thom, prefazione dell’autore.
pp. 212, nn. ill. b/n, Torino
“Questo libro si legge come un romanzo”, dice René Thom nella sua prefazione, anche se in esso non si trova una sola affermazione che non “abbia l’appoggio di informazioni solide e di una logica rigorosa”. Il merito spetta alla vena narrativa dell’autore, al suo stile brillante che sa trasformare in un racconto chiaro e piacevole l’enunciazione di una teoria scientifica nuova. E il giudizio di Karl Popper non è meno lusinghiero: “Un libro meraviglioso… la presentazione è incantevole… la teoria è rivoluzionaria.” Sul piano biologico Barbieri propone una ricostruzione dell’origine della vita che dà una risposta a quattro grandi problemi: l’origine della cellula, l’evoluzione dei ribosomi, l’origine del nucleo e la diramazione delle cellule ancestrali. La sua teoria si fonda sul concetto di ribotipo, una terza categoria che in veste di organizzatore centrale viene a integrare il sistema biologico finora identificato in genotipo e fenotipo. “Ho molte simpatie per la teoria ribotipica – commenta Jean Brachet -. Certamente essa contiene una gran parte di verità.” Sul piano evoluzionistico sono introdotti il concetto di adattamento ai cicli naturali e il meccanismo delle “convenzioni naturali”: gli organismi si adattano alle nicchie ecologiche per selezione naturale e ai cicli per convenzioni naturali. Ci troviamo così di fronte una nuova interpretazione della storia della vita: la cooperazione risulta molto più importante della competizione, la vita non è più modellata dalla legge monolitica della selezione naturale, ma da una pluralità di convenzioni naturali, processi che aggiungono significato all’informazione e che sono del tutto equivalenti alle numerose regole di un linguaggio.
E questo parallelismo tra evoluzione biologica ed evoluzione linguistica che ha portato l’autore a chiamare semantica la sua teoria dell’evoluzione.
Marcello Barbieri, laureatosi all’Università di Bologna nel 1964, è stato ricercatore al Laboratory of Molecular Biology del Medical Research Council a Cambridge (Inghilterra), ai National Institutes of Health a Bethesda e al Max-Planck-Institut für Molekulare Genetik a Berlino.
Ha insegnato Fisica medica, Embriologia molecolare e Biologia teorica rispettivamente presso le Università di Bologna, Sassari e Torino. Attualmente si occupa di fisiologia cellulare a Cambridge.
Storia della Città di Roma nel Medio Evo – 16 Volumi
Autore/i: Gregorovius Ferdinand
Editore: Unione Arti Grafiche
edizione integrale a cura di Luigi Trompeo e Franco Gaburi, prefazione di Antonio Muñoz.
v. 1 pp. XXIX-304, v. 2 pp. 284, v. 3 pp. 356, v. 4 pp. 364, v. 5 pp. 360, v. 6 pp. 356, v. 7 pp. 364, v. 8 pp. 332, v. 9 pp. 332, v. 10 pp. 332, v. 11 pp. 320, v. 12 pp. 344, v. 13 pp. 320, v. 14 pp. 340, v. 15 pp. 396, v. 16 pp. 404, Città di Castello
La Storia della città di Roma nel Medioevo è lo studio più famoso di Ferdinand Gregorovius, opera monumentale iniziata nel 1856 e terminata nel 1871. «Roma è il demone contro cui lotto. Se vinco la battaglia, se cioè riesco a trasformare questo grandioso essere universale in una visione penetrante e in una trattazione artistica, allora sarò anch’io un trionfatore», annota il 30 aprile 1856.
I volumi di questa serie sono stati stampati rispettivamente nelle date seguenti:
v. 1 – 1938, v. 2 -1938, v. 3 – 1939, v. 4 – 1939, v. 5 – 1940, v. 6 – 1940, v. 7 – 1940, v. 8 – 1941, v. 9 – 1942, v. 10 – 1942, v. 11 – 1943, v. 12 – 1943, v. 13 – 1944, v. 14 – 1944, v. 15 – 1944, v. 16 – 1944.
Ferdinand Gregorovius (1821-1891). Storico e medievista tedesco, di famiglia di origine polacca della Prussia Orientale è famoso per i suoi studi sulla Roma medievale.
L’Arte Russa
Autore/i: Allenov Michail; Dmitrieva Nina, Medve’kova Ol’ga
Editore: Garzanti Editore
prima edizione, prefazione di Véronique Schiltz, nota all’edizione italiana e cura di Lucia Tonini, traduzione di Nicoletta Lattuada Parma.
pp. 628, riccamente illustrato a colori e b/n, Milano
L’Edizione italiana di questo volume compare in un momento di particolare interesse in Italia per il mondo artistico russo, nel suo complesso ancora poco noto. Rimasto in ombra rispetto al prevalere della conoscenza letteraria, lo studio dell’arte russa ne è parte imprescindibile La congiuntura storica e politica attuale ha aperto nuove possibilità di una maggiore conoscenza reciproca, manifestatasi in una serie di iniziative ed esposizioni. Pur essendo ancora in parte frutto di una sorta di moda, esse hanno comunque favorito l’approfondimento di molti temi.
La tradizione dei rapporti fra Russia e Italia è ormai storicamente consolidata, ma in ambito artistico lo scambio ha invece seguito di preferenza un percorso a senso unico, in cui l’Italia è stata per lungo tempo il referente privilegiato. Il nostro Paese, portatore di requisiti determinanti per la cultura artistica russa, ba continuato ad avere un suo ruolo dominante anche nell avvicendarsi delle influenze culturali di altri paesi. A questo non ha corrisposto un’equivalente funzione dell’arte figurativa russa in Italia.
Essa è stata di volta in volta individuata in episodi singoli considerati conclusi in se stessi. Il superamento di tale limitata prospettiva si deve in parte al venir meno delle obiettive difficoltà di approccio alle fonti, ma soprattutto al progredire degli studi in Russia, che hanno mirato a riannodare i legami con il passato superando rigide contrapposizioni e ad approfondire le proprie radici culturali.
Il presente volume, pur arrestandosi alle soglie del nostro secolo, vuole essere l’illustrazione di questa rinnovata continuità, mettendo nella giusta luce anche momenti ed episodi meno noti o ritenuti isolati.
Gli autori, nel ricreare il panorama artistico russo, esaminano in modo organico le varie forme figurative; dalla pittura alla scultura alle arti applicate, fornendo e inquadrando storicamente una notevole mole di notizie.
Per il lettore italiano si prospetta l’opportunità di inquadrare in un contesto organico le conoscenze che già gli erano disponibili grazie al lavoro di specialisti delle varie discipline e al proliferare di eventi espositivi di cui è traccia nella bibliografia italiana qui aggiunta.
Nel panorama italiano, pioniere anche per gli studi di arte russa è stato Ettore Lo Gatto, la cui opera monumentale, iniziata nel 1943 e intesa a mettere in evidenza la continuità dei rapporti, ha finito col vedere la luce solo in anni recentissimi. La ripresa di studi e scambi culturali più ristretti, non limitati al solo ambito specialistico, s’inserisce quindi in una tradizione che deve essere alimentata.
La pubblicazione di quest’opera in italiano dà insieme testimonianza e stimolo a un rinnovato interesse, fornendo un importante strumento di lavoro.
I Personaggi Biblici
Dizionario di storia, letteratura, arte, musica
Autore/i: Autori vari
Editore: Bruno Mondadori Editori
con la collaborazione di Ursula Kraut e Iris Lenz, premessa di Martin Bocian, traduzione dal tedesco di Enzo Gatti.
pp. XIII-526, Milano
Le storie della Bibbia sono popolate da tanti personaggi che con i loro destini, conflitti e tratti caratteriali hanno da sempre occupato l’interesse degli uomini.
In questo dizionario, le 200 più importanti figure sono trattate nel loro sviluppo storico. Per ognuna di esse viene offerta nella parte iniziale la materia biblica con la citazione precisa delle fonti. Seguono indicazioni sulla variegata, spesso poco conosciuta, tradizione extra biblica, nel mondo del credo ebraico, cristiano e islamico.
La caratteristica più innovativa di questo volume è che, di ogni personaggio, vengono dati tutti i riferimenti della sua ricezione nella letteratura, l’arte e la musica.
Le informazioni e gli approfondimenti di campi specifici offrono allo specialista uno studio completo e, nello stesso tempo, al pubblico interessato alla storia culturale e spirituale un affascinante lettura.
Dalla A alla Z
Le origini della civiltà della scrittura in Occidente
Autore/i: Havelock Eric A.
Editore: Il Melangolo
traduzione di R. Onofrio.
pp. 96, Genova
Quali ambiguità e quali fraintendimenti nasconde la mancanza di rigore nell’uso di termini come «illetterato», «non-alfabetizzato», «prealfabetizzato»? Quali sono i presupposti teorici che consentono all’alfabeto greco un salto qualitativo tale da soppiantare ogni precedente sistema di scrittura? Quali dinamiche ha innescato l’affermarsi progressivo e su vasta scala dell’alfabetizzazione in Occidente?
A tutti questi interrogativi, che accompagnano la transizione dalla cultura orale alla civiltà della scrittura, Havelock risponde con argomentazioni e ipotesi di illuminante densità e chiarezza.
L’Enigma della Sfinge
O le origini dell’uomo
Autore/i: Róheim Géza
Editore: Guaraldi Editore
introduzione all’edizione italiana di Glauco Carloni, prefazione di Ernest Jones, prefazione dell’autore, traduzione di Margherita Novelletto Cerletti.
pp. 304, Rimini
«L’enigma della Sfinge – scrive Róheim – e l’enigma dell’umanità». Ma chi è, in realtà, la Sfinge? Per Róheim essa – al pari di tanti altri esseri compositi e mostruosi delle più distanti mitologie (dall’egizia alla greca, dall’azteca a quella degli aborigeni australiani) – è la raffigurazione simbolica della «scena primaria cioè dell’allarmante visione, fissatasi indelebilmente nella prima infanzia, dei genitori allacciati nel coito.
Assunto come ipotesi che «le singole civiltà possono farsi risalire ai traumi caratteristici dell’infanzia» e che «la loro struttura rappresenta una difesa nei confronti di questi traumi e una loro ripetizione sublimata», Ròheim assegna una funzione decisiva nel costituirsi delle culture per l’appunto alla «scena primaria», se è vero che il totemismo – la forma più «primitiva» di religione e, insieme, di organizzazione sociale – «ha un precursore nella credenza in demoni che sono a loro volta, non diversamente dalla Sfinge, «proiezioni dei genitori nell’atto di accoppiarsi, e come tali terrificanti per il bambino».
Il bambino introietta la «scena primaria» insieme col piacere di una partecipazione ideale e col divieto di una partecipazione effettiva: «Il problema della nascita della cultura, ovvero dell’elemento specificamente umano, – afferma Róheim – si identifica in sostanza con il problema della genesi del Super-io In L’enigma della Sfinge, che è forse la sua opera più importante e certamente una tappa fondamentale nella elaborazione teorica delle sue ricerche sul campo, Róheim si prepone di chiarire che cosa sia la cultura, Che cosa, cioè, renda l’uomo tale: oltre alla sua origine traumatica e alla sua essenza repressiva, egli individua in quello che Bolk ha chiamato il «principio del rallentamento», vale a dire nella prolungata infanzia dell’uomo, in quel perdurare della situazione infantile che non soltanto crea relazioni oggettuali stabili, ma nel duale acquistiamo la capacità di controllare la nostra aggressività, la stessa «base biologica» della cultura.
Géza Róheim (1891-1953) ebreo ungherese, di cultura tedesca, emigrato negli Stati ,Uniti, vi. restò dal 1938 fino alla morte.
Allievo di Ferenczi e primo antropologo psicoanalista condusse ricerche sulle popolazioni dei quattro continenti, integrando lo studio delle diverse culture con l’analisi dei sogni e dei giochi dei primitivi mediante le tecniche di Freud e della Klein e secondo le sue personali esperienze terapeutiche. Uomo di temperamento eccezionale e di geniale originalità, lettore insaziabile e scrittore torrenziale, profuse la sua vena in centinaia di articoli e in una ventina di libri, fra i quali ricordiamo Gli eterni del sogno edito in questa stessa collana e Le porte del sogno in due volumi (Il ventre materno – La discesa agli inferi) usciti sempre per i tipi della Guaraldi Editore nella collana «Le scienze dell’uomo».
Her-Bak Discepolo
Romanzo
Autore/i: Schwaller De Lubicz Isha
Editore: L’Ottava Edizioni
prefazione dell’autrice, illustrazioni di Lucie Lamy, traduzione di Igor Legati.
pp. 520, nn. ill. b/n, Milano
Continua lo splendido affresco della realtà dell’antico Egitto iniziato nel primo libro, Her-Bak “Cecio”. Her-Bak, prima “studente”, diventa discepolo, artefice, per sua scelta, del proprio destino per evolversi insieme ad altri compagni che rappresentano diversi punti di vista della ricerca umana. Così Her-Bak ci introduce alla questione suprema dei destini dell’uomo, guidato dal grande maestro di millenaria saggezza: l’Egitto.
Isha Schwaller del Lubicz (1885-1963) fu allieva, poi moglie e stretta collaboratrice del teosofo ed egittologo René Adolphe Schwaller (colui che scoprì il segreto dell’architettura iniziatica faraonica).
Stabilitasi con il marito in Egitto nel 1939, mentre un giorno si riposava all’ombra di un mastaba, ricevette la rivelazione dell’interpretazione simbolica dei geroglifici. Dopo aver scritto una Contribution a l’Egyptologie, si dedicò alla composizione di due romanzi iniziatici ambientati nell’antico Egitto: Her-Bak Cecio e Her-Bak discepolo.
La Saggezza dei Sufi
Rûmî e gli altri mistici dell’Islâm
Autore/i: Autori vari
Editore: Rusconi
introduzione, traduzioni, note e cura di Gabriele Mandel, in copertina: illustrazione da «La saggezza dei sufi» di Kalâbâdhî; replica del XVI sec., Tashkent, Biblioteca Nazionale.
pp. 208, nn. ill. b/n, Milano
[…] Non sono indiano o cinese, bulgaro o che altro, / non appartengo al regno dell’Irâq né al paese del Khorâsân. / Non sono di questo mondo né dell’altro, / non del paradiso né dell’inferno, e non vengo da Adamo, / da Eva, dall’Eden o dal Rizwan.
Il mio posto e d’essere senza posto, la mia traccia e d’essere / senza traccia; non ho corpo né anima / perchè appartengo all’Anima del Beneamato. / Ho rinunciato alla dualità, ho visto che i due mondi sono uno solo / e Uno cerco, Uno solo so, Uno solo vedo, Uno solo chiamo. […] Rūmī (1207-1273)
I sufi – mistici dell’Islam – sono «coloro le cui anime si sono purificate dalle impurità della natura umana (….) così da giungere a porsi nel concetto di Dio in modo assolutamente sublime, tutto accettando delle miserie e delle vanità del mondo ma senza da queste lasciarsi toccare» (Kalâbâdhî, X secolo).
Il Sufismo «non è una Scuola teologico-giuridica, né uno scisma, né una setta, poiché si pone al di sopra di ogni obbedienza. È innanzi tutto un metodo islamico di perfezionamento interiore, d’equilibrio, una fonte di fervore profondamente vissuto e gradualmente ascendente» (Si Hamza Boubakeur).
Riuniti in Confraternite organizzate, i sufi predicano da oltre mille anni «libertà, eguaglianza, fratellanza», riconoscendo ad ogni religione la volontà di raggiungere l’inconoscibile divino e di condurre gli esseri umani sulla via della bontà, del reciproco rispetto, del comportamento etico conforme alle Leggi divine. Nei paesi di cultura islamica quelle Confraternite costituiscono una sorta di «società nella società»: hanno esercitato e tuttora esercitano un influsso durevole e profondo nella compagine sociale, svolgendo una funzione coesiva, imprescindibile soprattutto nei periodi storici di crisi, oltre quella di custodire attraverso i tempi le discipline spirituali e renderne possibile la trasmissione di generazione in generazione.
Un’altra inestimabile eredità del Sufismo sono le istituzioni e le opere capitali prodotte nel campo dell’istruzione, della letteratura, delle arti e delle scienze perché «suo compito fondamentale e l’educazione totale dell’uomo, al fine di farlo giungere alla piena e perfetta realizzazione di tutte le sue possibilità».
Esponente maggiore del pensiero sufico è Jalâl âlDîn Rûmî, il «Dante Alighieri delle genti turche», considerato «il massimo pensatore e poeta mistico di tutta l’umanità» (Einstein). Nel libro ne vengono presentate le citazioni più significative, tratte dalla sua vasta opera; ad esse fa poi seguito una miriade di pensieri dovuti ai più eminenti Maestri del Sufismo, dal IX secolo ai giorni d’oggi.
Calcoli e Fandonie
Autore/i: Sinisgalli Leonardo
Editore: Arnoldo Mondadori Editore
prima edizione, con una nota di Gianfranco Contini.
pp. 148, Milano
Poeta e ingegnere: è la gabbia dorata in cui la critica, anche la più esultante, ha rinchiuso Leonardo Sinisgalli. Come a dire: una mente matematica con lampi, anche durevoli, d’arte. È sempre più difficile dire che cosa sia la poesia, ma per Sinisgalli il discorso si fa semplice: è sempre stato poeta, nel senso – preteso dal suo nome di battesimo – leonardesco. Questi Calcoli e fandonie, prose che il lettore può assaporare fin nella loro luce più preziosa, tanto effabili e chiare sono nella struttura esterna, nella loro offerta senza torsioni sintattiche e retrofondi segreti che poi rischierebbero di essere un coperchio per un vuoto, queste prose, di cui egli ha coltivato l’ideale fin dai tempi dei famosi Quaderno di geometria, Horror vacui, Furor mathematicas, L’indovino, sono il pendant e la prosecuzione di un discorso poetico che dura da decenni. Affondato nel cuore della civiltà d’oggi, Sinisgalli la fruga con penetrante insistenza: “Dopo la sregolatezza deve vincere il rigore, dopo lo scempio arriva in tempo la geometria”: potrebbe, con l’opportuna cesura, essere un distico, se non fosse anche una professione di fede vichiana, non ingegneresca ma filosofica, tratta più che da un’osservazione da un’intuizione della realtà ( quella storica compresa). E ancora: “La nuova fisica non ci dà nessun conforto.
Ha alleggerito la materia, ma ha appesantito la luce”. Nessun misuratore dell’universo, con le sue impeccabili ma aride strumentazioni, potrebbe esprimersi così.
Vogliamo chiamarla grazia? E sia, purché resti inteso che è una grazia che non piove dall’esterno, ma dal di dentro, da una maturità di vita e di esperienze, da un occhio dilatato sull’intero mondo e solidale con esso. È un nutrimento che sapremmo definire soltanto poetico. L’antico lucano, il musulmano Sinisgalli più che all’arte di ricomporre cose sconnesse, all’“al-giabr” di qualche matematico antenato, guarda se mai alla folgorante sapienza coranica, al suo indubitabile materiale poetico. Eppure nessuno, forse, tra i nostri scrittori, sotto l’apparente ordine, è così sapientemente scardinato. L’arte di Sinisgalli è di sconnettere le cose che paiono composte, una opera di scepsi come quella compiuta da Montaigne. Aggiungiamo che egli rifugge dal classico, così come ne rifuggì Leonardo nella Gioconda, che attira lo spettatore in un vortice infinito ed è forse il primo segno premonitore di quel grande movimento dell’arte, al quale appena ora Arnold Hauser ha dato una sufficiente spiegazione, che va sotto il nome di manierismo. Sinisgalli è tanto poco ingegnere da sfidare ogni equilibrio, da gettarsi a capofitto nei punti nevralgici più fiammeggianti della vita. Questo è il senso – oltre che delle sue poesie “in versi” – delle sue prose schiaffeggianti la prosa fino all’irriverenza, facendone un sulfureo filo di anafore e anagogie di cristallina limpidezza.
Leonardo Sinisgalli è nato a Montemurro (Potenza) nel 1908.
Ha studiato negli istituti tecnici di Caserta e Benevento, poi a Roma dove lo spinse la vocazione matematica.
Fu allievo di Levi-Civita, di Severi, di Fermi. Ma poi si laureò in ingegneria quando aveva già stretto amicizia con poeti e scrittori e collaborato alla “Italia Letteraria” di Angioletti e Falqui. I suoi primi versi furono citati da Ungaretti sulla “Gazzetta del Popolo” in una corrispondenza da Lucera. Le 18 Poesie stampate a Milano da Scheiwiller nel 1936 attrassero l’attenzione di Cecchi, e De Robertis dedicò al libriccino poco più grande di un francobollo, un famoso saggio sul primo numero di “Letteratura”. Due anni dopo uscirono Campi elisi, sempre nelle piccole edizioni milanesi del Pesce d’Oro: ne scrissero subito Contini, Bo, Anceschi. Dal 1936 fino allo scoppio della guerra diresse a Milano l’ufficio tecnico di pubblicità della Olivetti. Nel dopoguerra fu consulente della Pirelli a Milano, poi della Finmeccanica a Roma. Fu chiamato come esperto da Mattei all’Agip, poi dall’Alitalia.
Ha fondato e diretto per cinque anni ( 1953-1958) la rivista “Civiltà delle Macchine”, nota in tutto il mondo. Vive a Roma.