Libri dalla categoria Alessandro Magno
La Rivolta dei Tartari
Autore/i: De Quincey Thomas
Editore: Sansoni Editore
traduzione e nota di Nicola De Feo.
pp. 100, Firenze
Capolavoro di De Quincey saggista. De Quincey racconta la fuga del popolo dei Tartari, nella seconda metà del diciottesimo secolo, dalle steppe dell’ Asia centrale fino alla Cina.
Poligrafo, erudito, grecista, Thomas de Quincey nacque vicino a Manchester nel 1785 e morì nel 1859 a Edimburgo. Dopo un’adolescenza travagliata, studiò a Oxford e in seguito, per mantenere la famiglia numerosa, intraprese la carriera giornalistica prima a Edimburgo e poi a Londra, dove divenne collaboratore del «London Magazine». Dalla sua lunga esperienza di consumatore d’oppio, De Quincey trasse ispirazione per la sua opera più famosa, le Confessioni di un mangiatore d’oppio (1822). Fra i suoi libri si ricordano La rivolta dei tartari (1837), Le avventure di una monaca vestita da uomo (1847) e Il postale inglese (1849).
Bella Lavita
Autore/i: Dalla Lucio
Editore: Rizzoli
prima edizione.
pp. 112, Milano
Questa ultima estate mentre ero a Tremiti per scrivere e incidere le canzoni del nuovo disco, mi venivano in mente, nella splendida tranquillità dell’isola e nella magica assenza del tempo, molte storie da raccontare con la musica e altre, invece, da raccontarvi soltanto con le parole, a bassa voce dentro l’orecchio per non disturbare il suono e la brezza profumata del vento quando passa tra i pini della pineta e per non spaventare con i suoni “imballati” delle chitarre quello strano bianco gabbiano che è il vostro cuore.
Ecco come da 11 canzoni sono nati 11 racconti, la cui forza sta nella scrittura di Lucio Dalla, quella scrittura che in parte già conosciamo, così carica di poesia e così visionaria, dove le parole sono accostate con fantastico azzardo e le situazioni narrate sono puntuali e al tempo stesso sanno sorprendere, pure se i protagonisti – personaggi bislacchi che compongono una galleria straordinaria e implausibile – in qualche modo sono poi proprio l’uomo e la donna della porta accanto.
Lucio Dalla nasce a Bologna il 4 marzo 1943.
Comincia a suonare fin da giovanissimo. Il suo debutto nella canzone avviene nel 1964 e nel ’71 approda alle grandi cifre di vendita con “4/3/1943”.
Con l’album “Com’è profondo il mare” (1977) debutta come autore dei testi delle sue canzoni.
Nel 1986 esce “Dallamericaruso” contenente la canzone “Caruso” riconosciuta come il capolavoro di Dalla (oltre otto milioni di copie nelle trenta versioni del brano che circolano per i paesi di tutto il mondo, tra cui la versione di Luciano Pavarotti).
Nell’ottobre 2001, a 35 anni di distanza dal suo primo album che si intitolava “1999”, esce “LUNA MATANA”.
Questo è il suo primo libro.
Li Tre Libri dell’Arte del Vasaio
Nei quali si tratta non solo la pratica ma brevemente tutti gli secreti di essa cosa che persino al dì d’oggi è stata sempre tenuta ascosta (del Cavalier’ Cipriano Piccolpassi Durantino)
Autore/i: Piccolpasso Cipriano
Editore: All’Insegna del Giglio
cura e introduzione di Giovanni Conti, edizione completa del manoscritto con i disegni originali.
pp. 264, nn. illustrazioni b/n, Firenze
Dall’introduzione:
«Ospite nella Terra di Durante, sul finire del 1556 e nei primi mesi del 1557, il vecchio cardinal Turnone poteva riposare le tensioni di una travagliata alleanza dei Francesi con la Santa Sede e interessarsi, col distacco affettuoso del mecenate, all’arte del vasaio che a quel tempo e in quel luogo godeva di un successo invidiato da molti centri italiani e stranieri. L’esperto diplomatico, già consigliere di Francesco I e ora inviato da Enrico II, avrà pensato oltremodo vantaggioso un trattato che potesse diffondere i segreti di tanto successo, e la richiesta – sospettosamente demagogica – che rivolge al Piccolpasso, è conferma della sua passione ambiziosa e, per noi, garanzia attendibile delle qualificate attitudini dell’autore.
L’impegno del Piccolpasso ebbe, infatti, felice conclusione e il trattato era compiuto certamente prima del 1559 per ricordare, ancora vivente, Ercole II d’ Este «cristiano et illustrissimo… figliolo» del duca Alfonso (p. 191). Ma forse era compiuto anche prima del maggio 1558, prima cioè che il Piccolpasso si trasferisse a Perugia per assolvere i nuovi incarichi della Fortezza Paolina.
Il nome del committente resta, nel manoscritto, soltanto in alcuni versi mimetizzati nel disegno per un ornato a «troffei» (p. 204) dove l’esaltazione di facoltà taumaturgiche è metafora probabile del suo mecenatismo nella Terra durantina o possibile allegoria dei successi diplomatici da lui ottenuti.
Al tempo dell’incontro col Turnone aveva, il Piccolpasso, poco più di trent’anni e una insolita preparazione culturale, una competenza dell’argomento che denota pratica di mestiere e attenzioni di teorico […]»
Guarire – Agire sulla Coscienza per la Salute del Corpo
Il metodo rivoluzionario di un uomo che ha guarito se stesso: il Sistema Corpo Specchio per individuare la vera origine dei propri disturbi.
Autore/i: Brofman Martin
Editore: TEA – Tascabili degli Editori Associati
prefazione e introduzione dell’autore, traduzione di Rossella Panigatti, illustrazioni di Lou Verstegen e Sitara Nathalie Huguet.
pp. 288, nn. illustrazioni b/n, Milano
«Scopo di questo libro è presentare la guarigione come una tecnologia della coscienza, come una serie di strumenti accessibili a tutti coloro che desiderano impararne l’uso. È un manuale sul processo di guarigione, che coniuga le idee della tradizione orientale con quelle della psicologia occidentale. Non esiste malattia dalla quale qualcuno, da qualche parte, non sia già guarito. Quello che riesce a uno riesce a tutti. Tutto può essere guarito.»
- Il nostro corpo e la «mappa» della nostra coscienza, in cui affondano le radici di ogni malattia.
- Il Sistema Corpo Specchio di guarigione e conoscenza di sé.
- Una novità assoluta.
Martin Brofman, laureato in psicologia e teologia, da più di vent’anni si dedica alla divulgazione e all’insegnamento del suo Sistema Corpo Specchio per guarire se stessi e gli altri.
Il Gesto Femminista
La rivolta delle donne: nel corpo, nel lavoro, nell’arte
Autore/i: Autori vari
Editore: DeriveApprodi
a cura di Ilaria Bussoni e Raffaella Perna.
pp. 168, nn. fotografie e illustrazioni b/n, Roma
«Materializzare la vagina, farle un doppio con le dita, fu anche un modo per esorcizzarne il problema, per liberarla e liberarci di lei in quanto schiavitù» (Claire Fontaine)
Negli anni Settanta, migliaia di donne in Italia e in Europa sono scese in piazza per protestare accomunate dallo stesso gesto: con le mani congiunte, a formare il simbolo del sesso femminile, hanno rivendicato con forza e come mai prima di allora il diritto di vivere una sessualità libera e di riappropriarsi del loro corpo. Se la storia del femminismo si lega a una pluralità di prospettive, teorie e azioni fortemente eterogenee, il «gesto della vagina» ha rappresentato un simbolo nel quale i movimenti delle donne si sono per lo più riconosciuti, nato dal bisogno di dare visibilità e forma tangibile alla rimozione del genere femminile. Sul piano della sessualità, del lavoro e dell’immagine delle donne.
A partire dalle molte fotografie di questo gesto, che hanno contribuito a formare l’iconografia e l’immaginario estetico del femminismo, il libro ripercorre in modo trasversale alcune esperienze di un movimento che si è configurato come la sfida più radicale alla cultura patriarcale delle società capitaliste. E che ha trovato espressione nell’azione e nella pratica politica, così come nei vari linguaggi artistici, dal cinema alla letteratura, dal teatro all’arte visiva e alle pratiche performative di Body Art.
Attraverso il contributo di militanti femministe, sociologhe, antropologhe, filosofe, storiche dell’arte, fotografe e registe, appartenenti a generazioni diverse, il libro affronta la genesi e le implicazioni di quel gesto, mettendo in luce la pluralità e la complessità degli approcci femministi ai temi del corpo, del lavoro e della percezione del sé.
Un brano:
Questo libro parla di un gesto. Del gesto che per tutti gli anni Settanta i collettivi e i movimenti delle donne, soprattutto in Italia ma non solo, hanno praticato ed esibito sulla scena pubblica, nei cortei, per strada, nei tribunali, nelle università, di fronte al Parlamento, nelle assemblee. Donne isolate, in gruppi sparuti e più grandi, in manifestazioni folte o ridotte. In qualunque postura del corpo, sedute, in piedi, abbracciate, correndo, sfilando, saltando, ballando. Con ogni espressione, accigliate, aggressive, minacciose, ironiche, ridendo, più di tutto ridendo. A fare questo gesto sono state donne di qualunque età, bambine, adolescenti, adulte e anche molte anziane. Vestite in qualunque modo, anche se non sempre sappiamo precisamente con quali colori. Un gesto trasversale che serpeggia tra le mani delle donne, che si fa con le mani delle donne, che sembra non ricalcare la frammentazione della ricca (e conflittuale) galassia politica dei movimenti di quegli anni. Un gesto nel quale tante tantissime donne si sono riconosciute e che sembrano aver avuto voglia di praticare. Militanti, rivoluzionarie, casalinghe, operaie, studentesse… ma in quel gesto, anche solo fatto per una volta, anche solo per un momento, femministe. Un gesto che, così come compare in una genealogia incerta, poi scompare. Un momento c’è, poi non c’è più. Sembra durare circa un decennio: i Settanta. Spunta insieme ai movimenti delle donne, alla politica delle donne, al femminismo. Insieme alla pillola anticoncezionale, ai consultori, allo speculum, al divorzio, all’aborto, ai processi per stupro, dopo le minigonne e forse insieme agli zoccoli. Va a mettersi tra uomini e donne, tra marito e moglie, tra compagno e compagna, anche tra donna e donna. All’incrocio di relazioni amorose, affettive, familiari. Di rapporti di potere, di gerarchie, di forme di subordinazione. Di rapporti di produzione e di riproduzione. Questo libro parla di un gesto, ed è dunque un ossimoro. Perché un gesto non dice, non comunica, sta fuori da un linguaggio, ma sta dentro una lingua. La lingua di un segno. Un segno che qui è metonimia, dunque una parte che sta per il tutto. Un segno che non sta per un pieno, bensì per un vuoto che pure non è mancanza. Non è un braccio alzato in un pugno chiuso, una mano puntata come una pistola e nemmeno due dita divaricate per dire della vittoria, fosse anche quella della Rivoluzione. Un gesto che ha reso visibile ciò che prima restava invisibile, che allarga uno spazio nella forma di un buco non tondo. Col gesto si apre un varco e non è subito pieno, perché non fa posto a un oggetto specifico, fa posto e basta. E quel varco, quell’apertura non saranno mai pieni e infatti c’è posto per tutto: per l’immagine e la percezione di sé, per il proprio genere e l’altro, per una continua interrogazione sul chi siamo, sull’identità e la sua costruzione, sulla soggettività e la sua «natura», sul potere in quanto soggetto, sulla soggezione di essere oggetto, sul corpo e sull’anima, sul come si nasce e come si diventa, sulle relazioni esistenti e quelle da inventare, sul piacere e sul godimento. Di certo non si può dire che quel gesto sia passato inosservato. Non agli obiettivi fotografici, come appunto dimostra questo libro. Non allo sguardo di coloro ai quali era rivolto, come dimostra il corso delle cose. Nel guardare le immagini che scorrono lungo le pagine non si può non pensare a un certo imbarazzo che deve aver colto gli spettatori diretti, e forse anche le spettatrici, di quel gesto esibito, sbattuto sotto lo sguardo altrui e spesso incorniciato dallo sguardo di chi lo ha agito. Non si può non immaginare l’urto, lo shock percettivo che lì si è ingenerato. Senz’altro un mondo è crollato. A partire da una fessura. Di questa fessura parlano gli interventi che compongono questo libro. Tra loro diversi per approccio e analisi, che in alcun modo si è voluta esaustiva, compilativa, cronologica. È un libro per immagini a partire da un’immagine, su ciò che oggi di quel gesto – non più agito – ci rimane. Ne parla chi c’era tra gli abbracci di un corteo di donne e chi stava dall’altra parte della macchina fotografica. Chi ha filmato quel movimento di mani molti anni dopo. Chi, trascorse alcune generazioni, lo ha scoperto nei libri di storia. Chi lo analizza, guardando ad «altre» donne, che nella strada verso la propria liberazione hanno messo in scena «altri» gesti. O chi lo ha ritrovato nelle pratiche delle artiste, tra gli anni Settanta e Ottanta. Chi lo riporta a un pensiero. Chi, oggi, lo osserva forse pensando «peccato non esserci state». Dev’essere stata una bella festa. Qui abbiamo provato a raccontarla, per frammenti di immagini e di narrazioni, per dire del mondo che da quella fessura si è cominciato a intravedere. Il suo bilancio e ciò che ne resta, o cosa sia diventato, sono un’altra storia. (Ilaria Bussoni e Raffaella Perna)
L’Architettura della Scuola Regionale di Ani nell’Armenia Medievale
Problemi attuali di Scienza e di Cultura – Relazione svolta nella seduta del 1˚ Marzo 1976 – Accademia Nazionale dei Lincei – Anno CCCLXXIV・1977- Quaderno N. 235
Autore/i: Cuneo Paolo
Editore: Accademia Nazionale dei Lincei
pp. 86, LXIV (64) tavv. b/n f.t. e 21 fig. b/n, Roma
Dal testo:
« La regione in cui sorgono i resti della città di Ani, capitale dell’Armenia medievale, e che si identifica per decine di chilometri all’intorno con il territorio dell’antico cantone di Širak, consiste in un vasto sistema di altopiani ondulati, compresi mediamente tra i 1200 e i 2000 metri di altitudine, attraversati da Nord a Sud dal fiume Axuryan (in turco Arpa çayi) uno degli affluenti di sinistra del fiume Araks, l’antico Araxes (in turco Aras Nehri), che scorre, con andamento prevalente da Ovest a Est, verso il Mar Caspio, segnato il limite meridionale della regione.
Dei diversi rilievi montuosi che circondano lo Širak i più elevati sono, ad Est, il Mar Aragac (in turco Alagöz Dagi), che culmina a oltre 4000 m, e all’estremo Sud il M. Ararat, la cui vetta supera i 5000 metri. Il letto profondamente incassato dell’Axuryan, che attraversa tutta la regione da Nord a Sud con andamento tortuoso, forma per un lungo tratto il confine attuale, definito in epoca recente, tra i due stati, l’Unione Sovietica e la Turchia, che si dividono i territori già facenti parte dell’antica regione […] »
A Caccia della Lepre
La meditazione silenziosa della tradizione cristiana
Autore/i: Fracassa Lorella
Editore: Lindau
introduzione dell’autrice.
pp. 160, Torino
Da sempre l’uomo cerca Dio, “come un cane da caccia che ha nelle narici la traccia della lepre” (Anselm Grün). È proprio partendo da questa incessante caccia sulle tracce di Dio che Lorella Fracassa ripercorre una vicenda umana e spirituale dei nostri tempi, quella del monaco benedettino John Main, e svela i fili che la collegano a un’epoca molto remota della storia cristiana e a pratiche spirituali che oggi si tende erroneamente ad accreditare alla sola cultura orientale. Si tratta della riscoperta della meditazione silenziosa cristiana, le cui origini risalgono al monachesimo egiziano e di cui Giovanni Cassiano (360-432 ca.) fu un significativo e suggestivo interprete.
Questa pratica è presente nelle filosofie e nella spiritualità di ogni epoca e luogo (induismo, buddhismo, cristianesimo, sufismo islamico). L’uomo che medita in silenzio ritrova la condizione primordiale del suo essere, quella eternità silente che ha lasciato entrando nel tempo.
Per il “segugio” cristiano la meditazione silenziosa (e la preghiera ripetuta intorno alla quale essa ruota) rappresenta uno strumento di purificazione, di approfondimento spirituale, di incontro personale con Gesù e di trasformazione dell’esistenza. Dio non è lontano e irraggiungibile. Dio è dentro ciascuno di noi, è parte di noi e la meditazione silenziosa rappresenta il modo per maturare questa consapevolezza e continuare la “caccia” secondo un nuovo percorso, luminoso e appagante.
Lorella Fracassa (delle Suore Maestre di Santa Dorotea) è nata a Roma nel 1960. E docente liceale di Lettere e ha completato la sua formazione psicopedagogica specializzandosi in Counseling Educativo presso la SISF (Scuola Internazionale di Scienze della Formazione) di Venezia. Ha conseguito il Dottorato in Lettere Cristiane e Classiche presso I’UPS (Università Pontificia Salesiana) di Roma, approfondendo in particolare la storia del Cristianesimo antico e la spiritualità del Deserto. È interessata al Dialogo Interreligioso e in particolare alle religioni asiatiche. Attualmente vive a Padova.
Introduzione
Un dittico
PARTE PRIMA. LA PREGHIERA PERDUTA
PARTE SECONDA. LA CACCIA ALLA LEPRE
1. Seguire la propria natura, o dell’uomo-monaco
2. Vedere la lepre, o dell’esperienza
3. L’inseguimento strategico, o del «mantra»
4. Fiutare le tracce, o del soffio dei venti
5. Affrontare rovi e spine, o della spoliazione
6. Cacciare con la muta, o della comunita
Conclusioni
Bibliografia
APPENDICE
Cenni biografici
Breve glossario
Religione e Scienza – Una introduzione
Titolo originale: Religion and Science. An Introduction
Autore/i: Sweetman Brendan
Editore: Editrice Queriniana
edizione italiana, premessa e traduzione dall’inglese a cura di Andrea Aguti (Università di Urbino), introduzione dell’autore.
pp. 280, Brescia
Questo libro è una perfetta introduzione al tema “scienza e religione”, davvero un modello esemplare. Fornisce un pregevole resoconto su come pensatori di ieri e di oggi hanno affrontato l’argomento. Offre valutazioni filosofiche obiettive ed equilibrate sulle loro riflessioni. È istruttivo, ragionato, ben costruito, scritto con eleganza. Una sintesi essenziale e completa, un saggio autorevole e documentato. «Il libro di Sweetman aiuterà i lettori ad affrontare seriamente questioni cruciali, anche complesse» (Brian Davies, Fordham University, New York).
Tanto la religione quanto la scienza apportano oggi un contributo decisivo in molteplici aree del nostro vivere, sovrapponendo le loro prospettive non sempre in modo pacifico e generando ampi dibattiti. Quando si parla di questioni-chiave come Big bang e “disegno intelligente”, evoluzione e vita extraterrestre, neuroscienze e rapporto mente/corpo, genoma umano e cellule staminali spesso non si è distanti da temi etici scottanti, ma anche da questioni ultime come la natura dell’universo, il senso dell’esistenza umana, la salvezza, Dio. La teoria evoluzionistica è per esempio carica di implicazioni filosofiche, religiose, morali; l’esistenza di un “progetto intelligente” sull’universo tocca il cuore della nostra comprensione della natura umana; e così via…
L’autore, che innanzitutto riassume brillantemente la storia del rapporto tra religione e scienza fino alla contemporaneità, dimostra una eccellente maestria nello spiegare le questioni che ricoprono grande interesse per noi oggi.
Le sue spiegazioni delle dottrine religiose e delle teorie scientifiche sono accurate e al tempo stesso di facile comprensione. Soprattutto, Sweetman prova che il rapporto tra scienza e religione può essere di tipo cooperativo, piuttosto che conflittuale: può e deve svilupparsi in termini di dialogo, portando quei due ambiti dell’umano a reciproco rispetto e mutua collaborazione.
Brendan Sweetman, originario di Dublino (Irlanda), ha compiuto gli studi di scienze religiose e filosofia a Cambridge (Regno Unito) e Los Angeles (California, USA). Ha svolto importanti ricerche sulla filosofia della religione, sull’etica applicata, su pensatori come Gabriel Marcel e Jacques Derrida, sul rapporto fra l’epistemologia contemporanea, il metodo scientifico e la fede religiosa. Attualmente è direttore, oltre che docente, del Dipartimento di filosofia della Rockhurst University con sede a Kansas City (Missouri, USA).
Apprezzato per le sue notevoli capacità di divulgazione, ha fra l’altro pubblicato: Contemporary Perspectives on Religious Epistemology (Oxford 1992); Why Politics Needs Religion. The Place of Religious Arguments in the Public Square (Downer’s Grove/IL 2006); Religion. Key Concepts in Philosophy (London 2007); A Gabriel Marcel Reader (South Bend/IN 2011).
Premessa all’edizione italiana di Andrea Aguti
1. Introduzione
- Perchè ci interessiamo del rapporto tra religione e scienza?
- Religione, scienza e secolarismo
- Alcuni modelli di rapporto tra religione e scienza
- Un approccio filosofico alla religione e alla scienza
2. Religione e scienza nella storia
- Il mondo antico: Aristotele
- Il mondo medievale: Agostino e Tommaso
- La Riforma protestante
- La controversia di Galileo nel XVII secolo
- Galileo, Newton e lo sviluppo della scienza
- Gli sviluppi nel XVIII secolo
- Il XIX secolo: Darwin e Freud
3. Scienza e naturalismo nel XX secolo
- Il successo della scienza
- Il metodo scientifico e la conoscenza oggettiva
- Realismo versus antirealismo
- La svalutazione della verità nella storia della scienza
- Il volto moderno della scienza: il naturalismo
4. Dio e l’evoluzione
- Evoluzione e cultura moderna
- Breve storia dell’evoluzione
- La teoria dell’evoluzione
- Le prove dell’evoluzione: domande e risposte
- Implicazioni religiose, filosofiche e morali dell’evoluzione
5. La scienza e la persona umana
- Una sfida alla comprensione tradizionale della persona umana
- La natura della coscienza
- Il libero arbitrio umano
- L’immortalità
- L’intelligenza artificiale
- La ricerca dell’intelligenza extraterrestre
6. Il progetto nell’universo
- L’argomento di William Paley
- L’argomento delle “leggi della fisica” tratto dal disegno dell’universo
- Il progetto all’inizio: l’argomento antropico
- Gli argomenti del disegno intelligente
7. Dio e l’universo
- L’universo e la teoria del Big bang
- Dio come causa prima
- Il significato della relatività e della meccanica quantistica
- Come agisce Dio nel mondo?
8. Scienza, religione e etica
- La mappatura del genoma umano
- Cellule staminali e clonazione
- Conclusione: qualche lezione per scienziati e credenti
Guida ad ulteriori letture
Indice analitico
Gli Assassini sono tra Noi
Memorie e rivelazioni dell’uomo che ha organizzato le ricerche dei criminali nazisti nel mondo
Autore/i: Wiesenthal Simon
Editore: Garzanti Editore
prima edizione, traduzione dall’inglese di Giorgio Brunacci, titolo originale: «The murderers among us», in sopracoperta: Fotomontaggio di S. Wiesenthal Mauthausen 1945.
pp. 352, 45 illustrazioni b/n f.t., Milano
«Se anche tu vivessi fino a poter raccontare la verità,» disse una SS al suo prigioniero ebreo Simon Wiesenthal, «nessuno ti crederebbe. Direbbero che sei matto. Ti rinchiuderebbero in un manicomio…»
Il mondo ha creduto, invece, alla verità che Simon Wiesenthal – il famoso ex architetto polacco che ha organizzato le ricerche dei criminali nazisti nel mondo va rivelando: anche perchè essa viene presentata scarna, disadorna, senza effetti, ricca soltanto dei rigorosi elementi di prova. Sono i fatti a parlare da soli, a dire l’invocazione estrema – non dimenticateci! non dimenticate! – che non possono più ripetere le bocche di undici milioni di persone, sigillate dalla morte nei campi di sterminio.
Grazie a Wiesenthal, la giustizia degli uomini ha potuto mettere le mani su Adolf Eichmann, il realizzatore della «soluzione finale», su Erich Rajakowitsch, lo sterminatore degli ebrei d’Olanda, su Franz Murer, «il macellaio di Vilma» che uccise gli 80.000 ebrei del ghetto di quella città. Sempre grazie alla sua documentazione è stato possibile identificare l’oscuro agente della Gestapo che arrestò Anna Frank, individuare il luogo dove tuttora si nasconde il vice di Hitler, Martin Bormann (responsabile tra l’altro del massacro dei 9000 militari italiani di Cefalonia), localizzare ad Addis Abeba Karl Babor, il famigerato «Herr Doktor» che uccideva gli internati nel campo di Grossrosen con un’iniezione nel cuore e che per sfuggire all’arresto si gettò in un fiume infestato da coccodrilli.
Pur grondando tanto sangue, le memorie di Simon Wiesenthal non sono soltanto un racconto di orrore. Quasi ogni pagina porta il segno di una fede più alta nel Dio di tutti gli uomini, nell’umanità stessa. Occorre sapere il peggio per diventare migliori, occorre conoscere non per vendicarsi ma per ricordare: solo se sapremo – e ricorderemo – «ciò che è avvenuto non potrà ripetersi, nè fra venti nè fra cinquanta 0 cento anni…».
Qualcuno ha paragonato Simon Wiesenthal a «un soldato che combatte ancora la sua battaglia, in un settore isolato, senza sapere che la guerra è già finita…». Ma la battaglia è in corso, dal momento che «gli assassini sono ancora tra noi». E Wiesenthal, d’altronde, si batte per l’umanità, per la storia. La sua non è solo la guerra di un «anti» contro i nazisti: è la lotta dei molti e inermi che vengono oppressi, lotta destinata a non aver fine finchè esisteranno, pochi o tanti, gli oppressori.
Simon Wiesenthal è nato a Buczacz, in Polonia, il 31 dicembre 1908. Il padre, commerciante, richiamata come ufficiale nell’esercito austro-ungarico (la Galizia faceva allora parte dell’Impero), morì nella prima guerra mondiale: la famiglia… si trasferì dapprima a Vienna, dove Simon cominciò gli studi, poi tornò nella Galizia; ma il giovane Wiesenthal non fu accolto al Politecnico polacco di Lvov, dove i posti a disposizione degli studenti ebrei erano limitatissimi, e dovette recarsi a Praga per seguire i corsi universitari. Stava mettendosi in luce come brillante architetto quando scoppiò la seconda guerra mondiale. Dopo l’occupazione tedesca, Simon Wiesenthal conobbe ben tredici campi di prigionia. Nel dopoguerra lavorò dapprima per l’Office of Strategic Services (OSS) e per il Counter-Intelligence Corps americani, quindi creò a Linz, con l’aiuto di pochi «volontari», il Centro di Documentazione sui crimini di guerra nazisti. Chiuso nel ’54, quando la denazificazione in Germania sembrava giunta a un punto morto, il Centro venne riaperto dopo la cattura e il processo di Eichmann. Wiesenthal non è più tornato a occuparsi di architettura («Mi sconfortò vedere come erano crollate sotto le bombe, in pochi secondi, le solide case che avevo costruito…») e dedica al Centro tutto il tempo di cui dispone: «Penso» dice, «di dover pagare il prezzo della vita che mi è stata lasciata.»
Una Mente Inquieta – L’Eccezionale Testimonianza di una Psichiatria che ha Attraversato il Tunnel della Depressione
Titolo originale: An Unquiet Mind
Autore/i: Jamison Redfield Kay
Editore: TEA – Tascabili degli Editori Associati
prefazione di Athanasio Koukopoulos, prologo dell’autore, traduzione di Elena Campominosi, collana: Esperienze n° 6 – Storie vere Testimonianze di vita autentiche
pp. 224, Milano
…”Quando ho pensato di scrivere questo libro, l’ho concepito come un libro sull’umore e su una malattia dell’umore. Così come l’ho scritto, invece, è diventato anche un libro sull’amore: l’amore che sostiene, che rinnova e che protegge“…
Bambina emotiva, poi adolescente depressa e infine giovane vittima della sindrome maniaco-depressiva, per Kay Redfield Jamison, studiare e comprendere la sua malattia era l’unica speranza di salvezza. Il suo libro è il coraggioso resoconto di una lotta durata trent’anni, una testimonianza di grandissimo valore, al tempo stesso umano e scientifico, su cosa significhi “essere depressi” e su cosa si possa fare per uscire dal tunnel del “male oscuro”.
Kay Redfield Jamison è docente di psichiatria alla prestigiosa Johns Hopkins University School of Medicine di Baltimora. Autrice in collaborazione con Frederick K. Goodwin, del trattato Manic-Depressive Illnes, considerato fondamentale per la comprensione dei disturbi dell’umore, ha ricevuto premi e riconoscimenti per aver curato alcuni seguitissimi special televisivi sul rapporto tra la depressione e le arti, tema al quale ha dedicato il volume Toccato dal Fuoco, pubblicato nelle edizioni TEA.
Prefazione
Prologo
Parte prima: Lassù nell’indomito blu
- Nel sole
- Un’educazione per la vita
Parte seconda: Una follia non tanto sottile
- Voli della mente
- Quando ti manca Saturno
- L’ossario
- Professore di ruolo
Parte terza: L’amore, questa medicina
- Ufficiale e gentiluomo
- Mi dicono che ha piovuto
- Amore che mira Follia
Parte quarta: Una mente inquieta
- A proposito di pazzia
- L’elica anomala
- Esercitare la professione
- Una vita a sbalzi d’umore
Epilogo
Ringraziamenti
Psichiatria e Antipsichiatria
Titolo originale: Psychiatry and Anti-Psychiatry
Autore/i: Cooper David
Editore: Armando Armando Editore
pp. 168, Roma
L’autore di questo volume propone una tesi paradossale, tagliente: la pratica psichiatrica ufficiale e i connessi tipi di trattamento acquisiscono ed esauriscono il loro senso nell’ambito di un’operazione per mezzo della quale alcuni membri di una famiglia e di una società in genere fanno sì che altri vivano al posto loro il caos che rifiutano di affrontare dentro di sé. Più precisamente, la teoria e la pratica ufficiale della psichiatria offrono gli alibi necessari a questa operazione e, convalidandola, la rendono irreversibile.
David Cooper illustra il fondamento di questa tesi con un accurata critica degli assunti teoretici della psichiatria, di cui denuncia la derivazione dalle scienze naturali e, di conseguenza, la assoluta irrilevanza per la situazione umana; nonchè attraverso una dettagliata ricostruzione del processo di invalidazione sociale e del ruolo che in tale processo svolgono la famiglia prima ed il medico poi.
Infine, nell’ultimo capitolo, l’autore ci propone il resoconto dello svolgimento, e delle connesse difficoltà, di quella che egli definisce un’esperienza di anti-pschiatria; e cioè di un tentativo di vivere la pratica psichiatrica in una forma che rifiuti il ruolo, che invece secondo Cooper abitualmente svolge, di esecutrice di una nascosta violenza.
- Violenza e psichiatria
- La famiglia e la schizofrenia
- Studio di una famiglia
- L’infermo, la sua famiglia e l’ospedale
- Villa 21: un esperimento in anti-psichiatria
- Ulteriori considerazioni
Karagöz – Il Teatro delle Ombre Turche – Un Antenato del Cinema
Il buonumore in ambito nero (ma anche colorato)
Autore/i: Allori Luigi
Editore: La Nave di Bes
presentazione di Roberto Casalini.
pp. 120, nn. illustrazioni a colori e b/n, Cagliari
«Più di ogni altra cosa desideravo un proiettore. L’anno precedente ero stato al cinema per la prima volta e avevo visto un film che trattava di un cavallo, credo s’intitolasse Il bel nero e fosse tratto da un noto libro per bambini. Lo davano al cinema Sture e noi eravamo seduti nella prima fila della galleria. Per me fu l’inizio. Fui assalito da una febbre da cui non guarii mai più. Le ombre silenziose volgono verso di me i loro volti pallidi e parlano con voci inudibili ai miei più segreti sentimenti. Sono passati sessant’anni, non è cambiato nulla, è la la stessa febbre.» amore per il cinema, allo stato nascente, come “fascinazione delle ombre”: ne parla, con intensa emozione, il grande Ingmar Bergman nella sua autobiografia, intitolata non a caso Lanterna magica.
Già, il cinema e le ombre. Prima che, oltre un secolo fa, gli spettatori fossero turbati ed eccitati da L’uscita dalle fabbriche Lumiere e L’arrivo di un treno nella stazione di La Ciotat, le due pellicole di cinquanta secondi che tra il 1895 e il 1896 diedero avvio alla nuova arte, cerano, silenziose antenate, le ombre. Quelle dell’allegoria platonica della caverna, che il filosofo espone nel libro della Repubblica, nel 380 a.C. Quelle del “teatro d’ombre” orientale, praticato in Cina e in India, a Giava e a Bali. Quelle della “camera obscura” inventata dall’ottico arabo Ibn al-Haitham nell’XI secolo. Quelle della lanterna magica, nota nello stesso periodo in Persia, che nel 1650 Christian Huygens e Athanasius Kircher imposero all’attenzione dell’Occidente. Quelle evocate dal fenachistoscopio, la prima sintesi artificiale del movimento messa a punto nel 1832 dal fisico belga Joseph Plateau e salutata con entusiasmo da Beaudelaire. E si potrebbe continuare a lungo, in un’elencazione da paese delle meraviglie.
A uno degli antenati più affascinanti e meno conosciuti del cinema, il Karagoz, il Teatro delle Ombre Turche, è dedicato il libro vivace e curioso, puntiglioso e informatissimo, di Luigi Allori. Gran bella scoperta, il Karagoz. Per la ricchezza dell’apparato scenico e la perfezione degli “attori”, marionette ritagliate da pelli di animali dipinte a colori rilucenti e con le varie parti del corpo articolate da asticelle di bambù. Per la sapienza necessaria ai burattinai, veri e propri antenati dell’odierno regista, per mandarle e tenerle in scena. Per il corposo fascino dei canovacci offerti allo spettatore, che danno vita a «uno spettacolo nazional-popolare, realistico e con forti venature comiche, grottesche o licenziose». E per la trascinante vivacità del suo personaggio-chiave, il popolano Karagéz, ignorante e geniale al tempo stesso, che non ha niente da invidiare al nostro Bertoldo.
Ma questo libro, in realtà, è molto di più. Come tutti coloro che, alla resa dei conti, mantengono più di quanto non promettano, l’Autore non si limita a far rivivere lo spettacolo turco, ma ci informa con gusto dei suoi avi, parenti e discendenti. Incontriamo così, pagina dopo pagina, Joseph von Sternberg (il regista dell’Angelo azzurro, do you remember?) e Ben Jonson, Goethe e Salgari, la fisiognomica e i bevitori di assenzio del cabaret parigino Chat Noir, il pittore Utrillo e il commissario Maigret, Fritz Lang e Alfred Hitchcock, Chamisso e Debussy.
Credevamo di fare una breve vacanza in Turchia, e abbiamo fatto il giro del mondo. Divertendoci.
Luce del Medioevo
Titolo originale: Lumière du Moyen Age
Autore/i: Pernoud Régine
Editore: Giovanni Volpe Editore
presentazione di Marco Tangheroni, prefazione dell’autrice, traduzione di Italo De Giorgi.
pp. 270, Roma
«Chiesa e popolo nel Medio Evo»: potrebbe essere il titolo di un’opera in dieci volumi, se volessimo prendere la parola «democrazia» nel senso classico e tradizionale, ed intendere con essa il «popolo» come entità politica, il laicato, come creatore e rappresentante di una nuova cultura più umana e più diffusa. Nel Medio Evo ci troveremmo di fronte ai borghesi ed agli artigiani associati dei nostri Comuni e delle autonome città di Germania, di Francia, di Fiandra che, affacciandosi alla vita, trovano occupate dalla Chiesa e dalle chiese le posizioni migliori, cioè gran parte della proprietà terriera, gran parte delle altre fonti di ricchezza e degli strumenti necessari della convivenza civile, i mercati, le vie del commercio, i porti, i fiumi, le aree costruttive dentro e vicino alla città, le piazze, le mura. Ed ecco, pur in mezzo a tregue ed azioni solidali ed alleanze più o meno esplicite, una fiera contesa di secoli, durante i quali denaro sonante e spade temprate sono i primi artefici inconsapevoli di un nuovo diritto. (Gioacchino Volpe sulla «Nuova Antologia», ottobre 1908).
Presentazione
Prefazione
- L’organizzazione sociale
- Il vincolo feudale
- La vita rurale
- La vita urbana
- La monarchia
- I rapporti internazionali
- La Chiesa
- L’insegnamento
- Le lettere
- Le arti
- Le scienze
- La vita quotidiana
- La mentalità medioevale
- Dizionarietto del Medioevo convenzionale
- Cronologia
- Le dinastie
Silenzio e Ricerca di Dio
Autore/i: Camana Biavati Giovanna
Editore: Cittadella Editrice
prefazione di Arrigo Chieregatti, presentazione e nota critica dell’autrice.
pp. 100, Assisi
Sommario:
Arrigo Chieregatti, prefazione
Presentazione
Nota critica
Capitolo primo
Alcuni aspetti del silenzio nell’esperienza umana
Capitolo secondo
Il silenzio nelle religioni storiche
Capitolo terzo
Il silenzio e ricerca di dio nella tradizione cristiana
Capitolo quarto
Il silenzio nell’esperienza spirituale dell’india
Capitolo quinto
Il silenzio nello yoga
Capitolo sesta
L’esperienza dell’Advaita
Capitolo settimo
Il silenzio nella vita di Ramana Maharshi
Capitolo ottavo
Il silenzio dei mistici: un tipo di silenzio comune a diverse tradizioni
Osservazioni
Bibliografia
Problemi Kantiani
Autore/i: Weil Eric
Editore: Edizioni «Quattro Venti»
presentazione di Pasquale Salvucci, traduzione, nota e bibliografia a cura di Pasquale Venditti.
pp. 224, Urbino
Dalla presentazione:
«Quale il senso di questi saggi che, come il Weil si augura, dovrebbero spingere il lettore a «ritornare a Kant?». E quale il senso possibile di questo «ritorno»?
Il Weil cerca di cogliere il «pensare» di Kant mostrando come esso si sia prodotto a partire da una «intenzione originaria» che si viene progressivamente svelando e che emerge in modo esplicito soltanto alla fine di un pensiero inquieto, ma insieme serio e rigoroso di un filosofo umanissimo che si è rifiutato decisamente di offrire una definizione iniziale della filosofia e che, per ciò, per essere compreso non ammette atteggiamenti disinvolti, ma pazienza e sforzo costante. Bisogna continuamente sorvegliarsi per evitare il rischio della violenza. Kant, ma ciò vale per ogni filosofo, non può rispondere a questioni che non sono state le sue e che, come scrive con acutezza il Weil, egli non avrebbe neppure potuto comprendere se gli fossero state poste. Bisogna anche liberarsi da tutta una serie di sedimentazioni di cui è straordinariamente ricca la storia delle interpretazioni di Kant non già per attuare, con un antistoricismo ingenuo, una ripetizione letterale del pensiero di Kant, ma per guardare nella direzione da Kant stesso indicata e comprenderlo da qui, e non già dai nostri interessi, «anche a costo di contraddirlo, ma alla fine e in ciò che ha voluto realmente affermare». Potrebbe anche risultare che in qualche modo Kant ci sopravanzi, nel senso che non siamo stati ancora in grado di appropriarci della sua vera eredità[…]»
Eric Weil (Parchim, Mecklemburg, 1904 – Nice, 1977), di famiglia ebraica della Germania settentrionale, si forma a Berlino e ad Amburgo negli anni ’20, dove con Cassirer consegue il dottorato con la dissertazione sulla Dottrina dell’uomo e del mondo in P. Pomponazzi (1932). Prima dell’avvento del nazismo al potere, lascia volontariamente la Germania per la Francia e ne prende la cittadinanza. A Parigi, collabora con A. Koyré alle Recherches philosophiques. Dopo la guerra e la prigionia in Germania è Maître de recherches al CNRS (1945-56), fondatore e redattore di Critique, professore all’École pratique des Hautes Études (1946-56). Docteur ès lettres (1951), lascia Parigi (1956) per Lille e poi (1968) Nizza, dove terrà la cattedra di filosofia. Filosofo classico della migliore tradizione, ha consegnato alla Logique de la Philosophie, Paris 1950 (II ed. 1967; fist. 1974); alla Philosophie politique, ivi 1956 (III ed. 1971; tr. it. Napoli, Guida 1973), e alla Philosophie morale, ivi 1961 (II ed. 1969), l’intero della sua riflessione sistematica.
Ancora: Hegel et l’Etat, Paris 1950 (III ed. 1970; tr. it. in Filosofia e politica, Firenze, Vallecchi 1965; mentre l’appendice Marx et la Philosophie du droit, si legge in italiano in L. Sichirollo, Dialettica, Milano, ISEDI 1977, cap. 8.2) e Problèmes kantiens, Paris 1963 (II ed. ampliata 1970) che segnano una svolta decisiva nella storiografia delle interpretazioni di Kant e di Hegel.
Numerosissimi saggi, tutti ugualmente importanti, scandiscono un arco di tempo più che quarantennale (1934-76) a testimonianza dell’ampiezza e della ricchezza degli interessi teorici e pratici di Weil. Essais et conférences, 2 voll., Paris 1970-1-971, e (in trad. italiana) Filosofia e politica, cit., e Questioni tedesche (di prossima pubblicazione in questa stessa collana) raccolgono solo parte di questi contributi.
Nota del traduttore
Presentazione di P. Salvucci
Prefazione
- I – Pensare e conoscere, la fede e la cosa in sé
- II – Senso e fatto
- III – Storia e politica
- IV – Il male radicale, la religione e la morale
Appendice
- I – Prefazione a G. Krüger
- II – Bibliografia a cura di P. Venditti
Le Varie Forme della Coscienza Religiosa – Studio della Natura Umana
Titolo originale: The Variety of Religious Experiences
Autore/i: James William
Editore: Fratelli Bocca Editori
terza edizione, prefazione alla terza edizione italiana dell’editore, prefazione dell’autore, traduzione di G. C. Ferrari e M. Calderoni, esemplare a fogli chiusi.
pp. VIII-468, Milano
Dalla prefazione:
«Questo libro non sarebbe mai stato scritto se non avessi avuto l’onore di essere designato come conferenziere della fondazione Gifford, all’Università di Edimburgo, sull’argomento della Religione Naturale. Nel ricercare i temi per i due corsi, di dieci Conferenze l’uno, dei quali mi trovavo per tal modo responsabile,
mi parve che il primo di essi avrebbe potuto essere un corso descrittivo su “Gli appetiti religiosi dell’uomo”, – e il secondo un corso metafisico su “La loro soddisfazione per mezzo della filosofia”. Ma lo sviluppo inaspettato preso dalla parte psicologica man mano che venivo scrivendola, ha avuto per risultato che la seconda parte si è trovata interamente proposta e che la descrizione della costituzione religiosa dell’uomo riempie ormai tutte quante le venti Conferenze. Nella Conferenza XX ho suggerito piuttosto che esposto le mie proprie conclusioni filosofiche, e il lettore che desideri immediatamente conoscerle dovrebbe subito saltare alle pag. 442-448, e al Poscritto del libro. Spero potere un giorno o l’altro esprimerle in forma più esplicita.
Nella persuasione che un’ampia conoscenza dei particolari spesso ci rende più sapienti che il possesso di formole astratte, per quanto profonde, ho rimpinzate le Conferenze di esempi concreti, e questi li ho scelti fra le espressioni più esagerate ed estreme del temperamento religioso […]»
La Sposa Ideale del Ramayana
Ristampa Anastatica del 1894 di Vālmīk dalla Libreria Editrice Galli di C. Chiesa e F. Guindani di Milano.
Autore/i: Ghisleri Arcangelo
Editore: Tipolitografia Vitali
a cura di Ketto e Barbara Cattaneo, presentazione di Renato Morgandi, premessa ad uso del lettore di Giorgio Mangini, le illustrazioni a colori sono tratte da «Il costume antico e moderno di tutti i popoli» di Giulio Ferrario – Milano, 1816.
pp. VII-90, nn. tavv. a colori e b/n f.t., Bergamo
Dalla presentazione:
« Ebbi la ventura, non molto tempo fa, di entrare in possesso di una preziosa edizione della fine del secolo scorso che, sotto il titolo de La Sposa Ideale riprendeva un suggestivo stralcio del Ramayana, grande capolavoro della cultura indiana dedicato all’epopea di Rama.
La lettura mi avvinse a tal punto che mi nacque il vivo desiderio di far conoscere questo poema anche agli Amici.
In particolare, mi ha profondamente colpito la dedizione di Sita, la dolce sposa di Rama, che con una fedeltà estrema supera le più terribili prove per mantenersi fedele al giuramento fatto allo sposo, fedeltà che non la fa esitare a superare indenne e trionfante la prova suprema del rogo.
La lettura di questo poema indiano dia lo spunto a riflettere profondamente. Spero che gli Amici ai quali ho dedicato, con i miei auguri, questa pubblicazione, sappiano apprezzare non solo gli insegnamenti, ma anche la preziosa veste con la quale e presentata. »
Nota: Pubblicazione intonsa stampata su carta Daly bianca di 160 gr. di pura cellulosa, creata per edizioni di pregio.
La sposa ideale del Ramayana, edito a Milano presso la Libreria Editrice Galli di C. Chiesa e F. Guindani nel 1894, presenta aspetti editoriali e culturali che lo rendono interessante e che vengono esaminati nella “Premessa ad uso del lettore”, scritta da Giorgio Mangini per la riedizione dell’opera a cura di Ketto e Barbara Cattaneo, stampata a Bergamo nel 1997 in un’edizione fuori commercio. Della premessa viene qui di seguito riproposto l’estratto, insieme alla dedica di Ghisleri Al mio ottimo collega Prof. Rodolfo Giani per le sue nozze.
L’autore
Arcangelo Ghisleri (Persico Dosimo, Cremona, 1855 – Bergamo, 1938) è stato uno degli intellettuali più importanti e significativi della storia italiana tra i due secoli. Le sue posizioni politiche e culturali (ateo e repubblicano in un’Italia cattolica e monarchica) lo hanno tenuto ai margini delle istituzioni e del potere, e spiegano perché il suo nome, all’infuori di una ristretta cerchia di studiosi, sia poco noto.Eppure, l’insegnamento svolto dal 1885 al 1902 tra Matera, Savona, il liceo “P. Sarpi” di Bergamo, Cremona e, infine, il liceo cantonale di Lugano sulla stessa cattedra che era stata di Carlo Cattaneo; gli Atlanti di geografia storica pubblicati per lunghi anni presso l’Istituto Italiano d’Arti Grafiche di Bergamo; gli studi storici e geografici; la direzione di giornali e riviste («Emporium», «Cuore e critica», «L’Educazione Politica», «La Ragione», «Bergamo Nuova», ecc.); le numerose iniziative pedagogiche e didattiche, sono solo alcuni tra i più significativi aspetti di un’esperienza che fa di Ghisleri uno dei più importanti educatori della storia dell’Italia contemporanea.
L’occasione del libro
Secondo un costume tipicamente ottocentesco, in occasione di riti, ricorrenze e celebrazioni, gli amici di coloro che erano i protagonisti delle cerimonie (qui, un matrimonio) spesso facevano stampare scritti dedicatori di varia natura (poesie, novelle, saggi), che assumevano, anche dal punto di vista graficoeditoriale, l’aspetto di una vera e propria strenna.In questo caso, chi si sposava era il professor Rodolfo Giani, insegnante di lettere classiche presso il liceo cremonese nel quale insegnava anche Ghisleri. Come regalo di nozze, Ghisleri decise di stampare un libretto che, per le sue caratteristiche e i suoi contenuti, ben si adattasse all’occasione matrimoniale e, nel contempo, fosse portatore di un messaggio che andasse oltre la circostanza specifica, assumendo un significato ed un valore universali.La scelta ghisleriana cadde sull’epopea di Rama, vasto e complesso capolavoro della cultura indiana. Prima di vedere in che modo Ghisleri decise di presentare un testo apparentemente così lontano dalla sensibilità occidentale, va ricordato che lo stesso Ghisleri, nel 1881, in occasione del proprio matrimonio con la bergamasca Anna Maria Speranza (nipote del vescovo di Bergamo Pietro Luigi Speranza, fiero esponente dell’intransigentismo cattolico: curiosa circostanza per un maestro di laicità come Ghisleri!) ebbe in dono una composizione poetica dall’amico Filippo Turati, futuro fondatore del Partito Socialista Italiano.
Il libro
Dal frontespizio, Ghisleri risulta l’autore del libro.Ciò è contemporaneamente vero e falso.È vero: Ghisleri ha pensato la struttura del libro e scelto le sue parti, premettendovi una breve introduzione nella quale dichiara il suo intento.È falso: l’autore del libro, trattandosi di un’epopea religiosa e popolare affidata ad una antichissima tradizione orale, in realtà si può identificare solo nel senso che, tra il V e il III secolo a. C., venne scritto in lingua sanscrita e attribuito dalla tradizione ad un unico poeta, Valmiki (nel testo di Ghisleri, Valmici).Il poema fu tradotto in italiano per la prima volta dall’indianista Gaspare Gorresio (Bagnasco, Cuneo, 1808 – Torino, 1891) attraverso un lavoro che durò complessivamente circa trent’anni e che vide la luce una prima volta a Parigi tra il 1847 e il 1858 e, in una seconda edizione in tre volumi per complessive 1500 pagine circa, a Milano, tra il 1869 e il 1870, presso l’editore Pogliani. È appunto a questa seconda edizione della traduzione di Gorresio che Ghisleri fa riferimento.Come dice chiaramente nella sua introduzione, qui riproposta, egli ha voluto togliere dall’immenso contesto poetico del Ramayana la “gemma” della storia d’amore tra Rama e Sita. Quale migliore viatico, per un’amico che contrae matrimonio, di quello narrato in queste pagine, in cui soprattutto si delineano le caratteristiche morali della “sposa ideale”? L’idea che attrae Ghisleri, e che chiarisce anche il titolo da lui scelto per questo libro, è quella di una coppia di giovani sposi che, dopo l’idillio iniziale, è costretta ad una dolorosa separazione e ad una lunga serie di ostacoli da superare prima della finale riconciliazione. La circolarità della storia (unione iniziale – separazione coatta – ricongiungimento finale), con tutti gli eventi drammatici che ne scandiscono il ritmo, permette di verificare il valore e la forza del sentimento dei due giovani sposi, separati e dunque soli di fronte alle innumerevoli difficoltà causate da interventi umani e divini. È soprattutto la figura femminile di Sita, vera ‘sposa ideale’, la sola ed autentica artefice del proprio destino, dolce incarnazione dell’autonomia e della libertà del soggetto umano di fronte a tutto e a tutti, anche ai voleri di capricciose divinità. È dunque a Sita che va tutta la simpatia di Ghisleri, da lui ampiamente espressa nella sua introduzione. Nel contesto della cultura fortemente maschile che caratterizzava in particolare la provincia italiana a fine Ottocento, questo aspetto assume, in modo molto garbato, tutto il significato di una vistosa controtendenza democratica ed emancipatrice. L’idea della cultura come educazione, accennata all’inizio come propria e tipica di Ghisleri, coglie il valore di una storia d’amore che va ben oltre il suo contesto spaziotemporale e, in una prospettiva fortemente intessuta di religiosità, tende ad assumere significato universale.A poco più di cento anni di distanza dalla pubblicazione di un libretto che, per la sua destinazione privata, non aveva alcuna particolare pretesa culturale, è interessante coglierne le componenti: dall’antichissima cultura religiosa indiana, attraverso la dotta opera filologica di Gaspare Gorresio e l’affettuoso montaggio fatto dal Ghisleri per un amico in procinto di sposarsi, si sovrappongono storie e significati che riescono ancora a comunicare con noi anche attraverso il linguaggio accademizzante e desueto della traduzione gorresiana.[…]
La Madonna di Częstochowa
Titolo originale: Theology of a Marian shrine. Our Lady of Częstochowa
Autore/i: Zalecki Marian
Editore: Editrice Queriniana
seconda edizione, prefazione di René Laurentin, traduzione dall’originale americano di Giusi Moretti, in copertina «Icona della Bogurodzica di Częstochowa» (particolare).
pp. 200, Brescia
È la prima volta che viene pubblicata quella che è storia e contenuto dell’icona della Madonna di Częstochowa e del suo santuario. Il ricchissimo materiale, storico, di archivio, poetico ed artistico, ha consentito a Marian Zatecki, polacco di nascita e finissimo conoscitore della cultura, dell’anima del suo popolo, di collocare icona e santuario nella loro esatta dimensione, penetrandone in profondità e rendendone trasparenti gli stessi significati.
Częstochowa è molto più di un santuario; essa è simbolo dell’unità nazionale e della resistenza agli invasori, concentrando gloriose o dolorose memorie, che segnano la storia di tutto un popolo. L’importanza di Częstochowa non ha cessato di crescere, in Polonia; i giovani vi giungono sempre più numerosi, a piedi, in condizioni eroiche. Giovanni Paolo II ha posto Częstochowa al centro stesso del suo viaggio papale, ed è la che ha riunito l’episcopato.
Padre Zalecki, religioso polacco che vive negli Stati Uniti, fornisce, per la prima volta, una storia completa dell’«icona dalle cicatrici», del suo santuario e del suo pellegrinaggio. Ce ne affida il significato spirituale nello scottante contesto della Polonia di ieri e di oggi.
PREFAZIONE di R. Laurentin
parte prima
CZĘSTOCHOWA IERI E OGGI
1. Alla scoperta di Częstochowa
- La denominazione di Częstochowa
- La città
- Il santuario
- La cappella gotica
- L’altare della cappella miracolosa
- Gli ex voto
- La basilica
- Gli organi
- L’estensione
- Duplice chiave per comprendere Częstochowa
2. L’icona della Madonna di Częstochowa
- Semplice descrizione dell’icona
- Il supporto dell’icona
- L’immagine miracolosa
- Gli ornamenti dell’icona
- Le prime ornamentazioni
- Le vesti dell’icona
- Le corone di Maria
- I dispositivi di sicurezza
- Storia o leggenda?
- Il racconto della «Translatio tabulae»
- La «Historia pulchra» di Petrus Risinius
- Sviluppi della leggenda
- La tesi degli storici di Lwéw
- Storia e leggenda
- Costantinopoli e la sacra icona
- La testimonianza della «Translatio tabulae»
- Altre leggende che circondano la storia
- Il punto di vista degli storici dell’arte
- Pittura italiana oppure orientale?
- Caratteristiche dell’«Hodigitria»
- L’icona di Czestochowa
- Il santuario e l’icona
- Fondazione del santuario
- Il saccheggio del 1430
- Le varie rinnovazioni dell’icona
- Studio scientifico dell’icona
- Vincolo tra Oriente e Occidente
parte seconda
CZĘSTOCHOWA E L’ANIMA DELLA POLONIA
4. Le gesta della storia
- L’ingresso della Polonia nella cristianità
- L’apogeo del XVI secolo
- La consacrazione della Polonia a Maria
- La disintegrazione della Polonia
- La resurrezione della Polonia
- Un nuovo calvario (1939-1945)
- Dopo la bufera
- La fede della nazione polacca in Maria
- 1956: «Anno mariano» in Polonia
- Mille anni di cristianesimo in Polonia
- Preparazione del millenario polacco
- Celebrazione del millenario
- Il pellegrinaggio di Giovanni Paolo II
- Verso il sesto centenario (1982)
- La fiducia degli oppressi
- Le suppliche alla Vergine nera
- La dolorosa speranza degli anni 1939-1945
- La preghiera degli esuli
- La sofferenza redentrice della Polonia
parte terza
PELLEGRINAGGI A CZĘSTOCHOWA
6. Le folle
- Indulgenze e pellegrinaggi
- I miracoli
- Le folle di Częstochowa
- Alcune statistiche
- I pellegrinaggi dal 1913 al 1939
- I pellegrinaggi dopo la guerra 1939-1945
7. Il pellegrinaggio
- Un antico manuale per i pellegrini
- Il pellegrinaggio annuale della città di Varsavia
8. Le feste
- La devozione dei padri paolini alla Vergine Marta
- Le prime feste della Vergine a Częstochowa
- La devozione dell’Immacolata Concezione
- Istituzione della festa di «Maria, regina della
- Polonia»
- La festa di Nostra Signora di Częstochowa
- Ufficio e messa di Nostra Signora di Częstochowa
- Il «piccolo ufficio» della Madonna di Częstochowa
- Le preghiere del pellegrino
- I cantici popolari
parte quarta
IL MESSAGGIO DI CZĘSTOCHOWA
10. Santuario e pellegrinaggio contestati
- La contestazione d’ispirazione atea
- Critiche da parte cattolica
- In positivo: una riflessione teologica
11. Il santuario e il pellegrinaggio
- Significato del santuario
- Il senso del pellegrinaggio
- L’icona della Vergine
- Significato dell’icona
- L’icona della «Bogurodzica»
- La «Mater dolorosa»
- Sofferente e vittoriosa regina della Polonia
BIBLIOGRAFIA
Scripta Sinica – Bulletin Bibliographique du Centre Franco-Chinois d’Etudes Sinologiques – N° 1, 1945
Autore/i: Autori vari
Editore: Centre Franco-Chinois d’Etudes Sinologiques
pp. 252, Pékin
Sommaire:
Feng Tch’eng-kiun – Dharmaksema et sa traduction de la premiêre partie du Mahâparinirvana
Fou Hsi-Houa – Notices sur sept manuscrits d’oeuvres dramatiques tch’ouan-k’i de l’époque Ming
King P’ei-yuan – Etude comparative des diverses éditions du Chouo fou
J. Van den Brandt – L’Imprimerie des Lazaristes à Pékin, 1864-1944
Notices descriptives des livres rares de la Bibliothèque du C. E. S.
- Yen chan wai tsi
- Lieou ts’ing je tcha
- Kin tsi li
- King tch’eng kou tsi k’ao
Comptes-rendus bibliographiques:
- A. Livres nouveaux
- B. Articles de revues
- Index alphabétique
Varia:
Editions et Editeurs
Nouvelles de la Bibliothèque
La Nascita dei Vangeli Sinottici
Titolo originale: La naissance des Evangiles Synoptiques
Autore/i: Carmignac Jean
Editore: Edizioni Paoline
seconda edizione, versione integrale dal francese di Rosanna Brichetti, collana: Problemi e Dibattiti.
pp. 112, Milano
Lavorando sui testi di Qumràn, il biblista Jean Carmignac ha notato numerosi rapporti con il Nuovo Testamento e così si è messo a ritradurre il testo greco di Marco in ebraico. Immaginava che una simile traduzione sarebbe stata molto difficile, e invece ha scoperto subito, stupefatto, che si rivelava estremamente facile. Come spiegare che il greco di Marco obbediva docilmente alle leggi della grammatica ebraica? L’intuizione poteva essere fallace e così ha continuato il lavoro con il Vangelo di Matteo e i documenti utilizzati da Luca. L’autore è arrivato alla conclusione che i Vangeli sinottici non sono stati composti da semiti che possedevano male il greco: è possibile allora immaginare che siano opera di greci che traducono un testo semitico precedente, imitandone lo stile? Se questa ipotesi è vera, le date di composizione correntemente ammesse dei primi tre Vangeli devono essere riviste: i Vangeli sinottici sono più antichi di quanto si pensi. Può Jean Carmignac aver ragione contro le tendenze generali della scienza biblica ufficiale? Ma questa ipotesi non è mai stata sostenuta nei secoli scorsi? In questo singolare volume sono riportati i primi risultati del lavoro scientifico intrapreso dall’autore.
Jean Carmignac, nato nel 1914 in Francia, ha fatto gli studi nel Seminario francese di Roma e presso l’istituto biblico. Inviato nel 1954 alla Scuola biblica di Gerusalemme, viene ben presto in contatto con i manoscritti della Comunità essena del Mar Morto, scoperti da poco, dei quali diventa uno specialista. Fonda e dirige una rivista sui testi di Qumràn e li traduce in collaborazione con altri studiosi. Ha iniziato la pubblicazione delle traduzioni ebraiche dei Vangeli (finora sono apparsi quattro volumi).
Prefazione dell’Autore
Indice
Prefazione
- Cap. I: Elaborazione delle ipotesi
- Cap. II: Traduzioni anteriori
- Cap. III: Argomento dei semitismi
- Cap. IV: Problema sinottico
- Cap. V: Antiche notizie
- Cap. VI: Opinioni moderne
Conclusioni
Citazioni del Nuovo Testamento
Autori citati