Nell’Anno della Tigre – Storia di Adriana Faranda
Autore/i: Mazzocchi Silvana
Editore: Baldini & Castoldi
prefazione dell’autrice.
pp. 232, Milano
L’aria era immobile e calda, la cella ormai chiusa da tempo, lo e Nancy, ragazza che veniva dal Sud della Cina, avevamo giocato a scacchi, come tutte le sere. Come tutte le sere avevo perso, sconfitta dalla sua inestinguibile pazienza. Riposta la scacchiera, boccheggiando accanto alla finestra, il consueto angolo delle chiacchiere. L’infanzia, le abitudini delle nostre terre, le leggende. Com’era dove sei nata, quali gli odori, i venti, la latitudine e l’ora. Nell’anno della Tigre sì, tigre del metallo, tigre d’agosto, il profumo del gelsomino nei venti caldi di Sicilia, e per di più di notte.
All’improvviso Nancy si ritrasse, strabuzzo gli occhi, e si copri la bocca con la mano. Così, mi narro di una credenza popolare cinese, forte e radicata nelle campagne. Le femmine dell’anno della Tigre, nate nelle ore notturne della caccia, erano destinate a distruggere la casa paterna, mi disse.
I maschi no, soggiunse, loro sarebbero stati grandi condottieri. Ma le bambine avrebbero corso il rischio di sovvertire, con la loro aggressività e la loro energia, il ruolo che socialmente e culturalmente era stato loro assegnato. Erano considerate talmente pericolose, aggiunse infine, che sempre la leggenda raccontava che anticamente molte neonate erano state uccise subito dopo il parto, non appena verificato il loro sesso. Io risi, Naney mi lanciò un’occhiata. Sei fortunata, concluse, forse in mio paese ti mazza subito, appena nata. Meno male, risposi allora. Qui almeno ci uccidono solamente ogni giorno.
Silvana Mazzocchi, giornalista di «Repubblica», appartiene alla stessa generazione di Adriana Faranda, una delle protagoniste del sequestro di Aldo Moro e della cruenta stagione brigatista. Insieme a tanti altri coetanei ha condiviso l’ansia di cambiare il mondo. Successivamente, l’accendersi della violenza terroristica fa emergere la drammatica contrapposizione tra chi rifiuta senza incertezze la scelta del «Partito armato» e chi invece, come la Faranda, entra a farne parte.
La spinta a raccontare – non la storia giudiziaria – ma il percorso politico e personale di Adriana Faranda, sorge in Silvana Mazzocchi durante i processi per la strage di via Fani, che vedono l’ex militante dell’Autonomia, la dirigente della colonna romana delle Br, far fronte con sofferta fermezza alle proprie responsabilità.
La contraddizione tra le scelte che portano Adriana Faranda alla lotta armata e il carattere impetuoso di questa donna, la sua sensibilità verso i sentimenti più intimi e privati, sono all’origine di questo libro che nasce da decine di colloqui intercorsi tra l’autrice e la protagonista di una vicenda che scandisce quindici anni di storia italiana e che culmina nel sequestro Moro.
Non si tratta ancora di tracciare bilanci di quella stagione. Altri – e in altri momenti – li dovranno e li potranno fare. Quella che emerge e invece una ricostruzione rigorosa, spesso densa di particolari mai rivelati, di quello che accadde nella galassia terroristica prima e dopo quel 16 marzo 1978. Ma – soprattutto – vengono delineate passo dopo passo, dall’infanzia siciliana ai lunghi anni di carcere, dall’impegno nell’Autonomia alla vita quotidiana di «regolare» brigatista, le tappe intrecciate e contraddittorie che compongono l’esistenza di una donna ingoiata dal vortice della lotta armata.
Un percorso che sfocia, dalla teoria e pratica della violenza, nella dissociazione e infine nella condanna della lotta armata, e attraverso l’ammissione dei propri errori e responsabilità, nel dolore per il sangue e i lutti provocati. Un percorso che, alla fine, riesce a trovare la sua via di fuga. Insofferente verso ogni chiusura e gabbia ideologica, costi quel che costi, di ogni sfida – nei confronti della sua famiglia, degli uomini che ama, delle organizzazioni in cui milita, delle istituzioni che la fronteggiano – Adriana Faranda intravede, con stupefacente nitidezza, la meta alla quale approdare. Punto di un equilibrio tumultuoso dove la libertà dei sentimenti caparbiamente coltivati non rinuncia a fare i conti con l’irrimediabile diversità, incisa dentro di sé, che «attiene al tempo della lotta armata, della latitanza, del rapporto tragico che si è venuto tessendo con l’esistenza e con la morte».
Silvana Mazzocchi è nata e lavora a Roma. Nella seconda meta degli anni Settanta per il quotidiano «La Stampa» si è occupata di cronaca giudiziaria e ha raccontato i primi scandali tra affari e politica, i tragici eventi del terrorismo e i giorni del rapimento Moro. Dal 1980 è inviato speciale a «la Repubblica». Per il quotidiano romano ha seguito gli episodi più scottanti dei tanti misteri italiani e gli avvenimenti che hanno cambiato il costume del nostro Paese, con un occhio sempre attento ai diritti civili alla politica istituzionale. Ha collaborato con Sergio Zavoli a La notte della Repubblica, la grande inchiesta televisiva dedicata agli anni di piombo andata in onda sulla Rete due. Nel 1993 ha pubblicato, sempre con Baldini&Castoldi, Mostro da niente.
Argomenti: Ideologia, Italia, Politica, Sistema Politico, Storia Moderna e Contemporanea, Storie di Vita,