Misteriosa Cantabile
Lettere a Hoki Tokuda
Autore/i: Miller Henry
Editore: Bompiani
prima edizione, prefazione e traduzione dall’inglese di Francesco Saba Sardi, introduzione e cura di Joyce Howard, in sovracoperta «Hoki posa per Henry» 1968.
pp. 176, nn. fotografie b/n f.t, nn. fotografie a colori f.t., Milano
Questo “romanzo epistolare” a una sola voce è in un certo senso il testamento sentimentale di Henry Miller, l’autore di Tropico del Cancro, Tropico del Capricorno, Rosea crocifissione e di tanti altri libri in cui si parlava un linguaggio che, per un certo periodo, ha fatto scuola: il linguaggio dei corpi liberati, con la messa tra parentesi del linguaggio dei cuori.
Nel 1968 Miller conobbe Hoki Tokuda, una giapponese ventisettenne molto carina che si esibiva, cantando e suonando, in un locale di Los Angeles. Miller all’epoca contava settantacinque anni, aveva abbandonato l’Europa (la Francia era stata la sua seconda patria – il luogo, per lui, della rivelazione della libertà) ed era tornato alla pensionistica dimensione di un’America infinitamente più noiosa. Di Hoki si innamorò perdutamente e cominciò a scriverle: lettere d’amore; lettere di rimproveri, lettere di esortazioni, di rimpianti, di dolore e rammarico. Ma niente sesso, o appena qualche accenno, delicatissimo, ai rari rapporti erotici concessigli da Hoki, che accettò di sposarlo ma continuò una vita nient’affatto “esemplare” sotto il profilo coniugale: il vecchio scrittore a casa, a giocare a ping-pong o a bere con gli amici, e a soffrire per l’assenza di lei, e Hoki dedita alla vita notturna, seduta fino all’alba al tavolo da gioco, a ubriacarsi, a starsene per mesi in Giappone. Insomma, più che altro un “matrimonio in bianco”. E un “romanzo epistolare” monocorde: a scrivere è sempre lui, che ringrazia la propria buona sorte e si sprofonda in atti di riconoscenza quando lei si degna di telefonargli, di inviargli una cartolina, insomma quando si ricorda di lui, per il quale prova affetto ma che non riesce ad amare.
Si dovrebbe per questo tirarle la croce addosso? Si dovrebbe accusare Hoki di aver sfruttato il vecchio scrittore che ormai di scrivere le cose “sconce” di un tempo non aveva più nessuna voglia, e che del resto non era più in preda all’antico “demone” che aveva fatto di lui il paladino della “rivoluzione sessuale” e, negli anni parigini, l’”Ariete” celebrato da Anais Nin? Si dovrebbe affermare che l’ha sposato soltanto per avere la cittadinanza americana? Crediamo di no. Semplicemente, come tanto spesso accade, Miller s’era preso una cotta spaventosa per una donna che non poteva essere del tutto sua, e da tempo ormai era un seduttore in disarmo, indebolito e incapace dei trionfali successi di un tempo. Un Casanova invecchiato, insomma, che inviava a Hoki i suoi acquerelli (in questo libro ne sono riprodotti alcuni), che si dichiarava al suo servizio e che, soprattutto, senza averne consapevolezza andava componendo con le sue lettere una struggente autobiografia. Da molto tempo non appariva un romanzo epistolare altrettanto crudo, sincero, atroce. Ed è un libro bellissimo, commovente: si assiste alla caduta di un eroe e, con lui, al crollo di tutto un costume, delle speranze (o utopie) della “rivoluzione”: quella rivoluzione che avuto nome avanguardia e che si è tradotta, oltre che in termini artistici e politici, anche nella speranza di nuovi e più liberi rapporti erotici, di un nuovo “secolo dei libertini”. Ma Henry Miller è stato (è morto nel 1980) la vivente dimostrazione che così non era, e che le speranze umane di affrancamento da antichi vincoli, proibizioni, catene, sono forse irrealizzabili.
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