Lo Sguardo Senza Occhio – Esperimenti sulla Mente Cosciente tra Scienza e Meditazione
Autore/i: Bertossa Franco; Ferrari Roberto
Editore: Edizioni AlboVersorio
nuova edizione, prefazione e introduzione degli autori.
pp. 224, nn. illustrazioni b/n, Milano
Lo sguardo senza occhio. lo sono il cervello? O un programma senziente? E soprattutto: chi se lo sta chiedendo? Un viaggio attraverso i più recenti studi scientifici e filosofici sulla coscienza e la mente umana. Un viaggio fino alle radici della mente in oriente e occidente, in realtà una risalita a monte: prima dei pensieri, delle emozioni, delle spinte inconsce. Prima di questi anni e di questo mondo. Prima, e da sempre, è acceso Lo sguardo che vede tutto questo. Ha una origine, un occhio? Lo sguardo si apre su un mondo reale o virtuale? Lo sguardo è un fatto, sperimentabile. Indubitabile. È il luogo del nostro principio, l’ultima terra sconosciuta, l’unica reale. Chi è lo sguardo?
Non è difficile ottenere l’ammissione della realtà di “Io” anche da un convinto materialista, basta che sia disposto a rispondere ad alcune domande, del tipo: “Se tutto ciò che esiste sono alcuni complicati processi biochimici del tuo cervello, perché ti interessa cosa sono quei processi?” Eugene P. Wigner (fisico e premio Nobel)
Prefazione:
«Avete tra le mani uno strano libro. Sembra che parli di molte cose: fantascienza, teorie della mente, meditazione, biologia, informatica, filosofia buddista, scienze cognitive… In realtà parla soltanto di una non-cosa, ma che è presente in tutte: noi stessi, riassunti nello sguardo della coscienza che si apre su tutte le cose. Questo “tutte-le-cose” si presenta intorno allo sguardo come in una visione collettiva, una Matrix di idee e teorie. Se state leggendo e capendo queste righe, allora siete sguardi coscienti.
E qui inizia il problema.
Cos’è la coscienza? Come funziona? In che rapporto è con il mondo? Cosa posso dire “reale”? E soprattutto: chi si sta chiedendo tutto questo?
Se da un lato l’evidenza di un Qui dell’esperienza si impone, dall’altro deve fare i conti con ricerche scientifiche e concettuali ormai avanzatissime, che lo mettono in dubbio: dopo la de-spiritualizzazione del mondo, anche la mente ha perso ogni carattere di esperienza per diventare un meccanismo da smontare e rimontare. Ma si va anche oltre: alcune ricerche suggeriscono una de-materializzazione della mente in cui il mondo “reale” assomiglia sempre di
più a un costrutto mentale e la mente a una rete di significati privi di ogni fondo stabile.
Consideratelo un percorso, ma tenete sempre presente che una cosa è conoscere la strada, un’altra cosa camminarci: lo scopo non è convincersi di una teoria, ma di incamminarsi verso l’esperienza stessa della coscienza in atto. È importante, più che assemblare risposte altrui, stare vicini alle proprie domande e precisarle, anche grazie all’aiuto di alcuni grandissimi pensatori e scienziati. Affrontare la questione della coscienza coinvolge una strana miscela di fattori: prima di tutto la domanda, la sensazione di qualcosa che non quadra nel mondo, poi una certa audacia e, non ultimo, è necessario un metodo. Il resto è esperienza, è la soglia che ognuno deve attraversare da sé. Ci auguriamo che leggere questo libro vi piaccia almeno quanto è piaciuto a noi scriverlo. E se dopo la lettura di ogni capitolo vi ritroverete un po’ sconcertati, pieni di domande e con un senso di sospensione, allora siete all’inizio di una soglia. Sta a voi attraversarla. Bologna, Natale 2004»
Cos’è matrix? E cos’è la mente che lo guarda?:
«Wake up, Neo. Matrix has you. È la frase che compare sul computer del protagonista di un grande film: Matrix2. Questo non è un libro sul film e nello stesso tempo lo è. Perché è un libro sulla coscienza, ed anche Matrix è un film sulla coscienza: è una storia sulla coscienza, di come la coscienza di un bambino percepisce il mondo degli adulti. Matrix è un film sulla nascita e l’evoluzione della coscienza: inizia come un fenomeno pazzesco e poi le cose vengono normalizzate e riempite di senso. È un’opera straordinaria, interpretabile in molti modi ma della quale qui ci interessano soprattutto i significati relativi allo studio della mente umana. E le riflessioni che permette sulle variegate operazioni condotte da scienza, filosofia, psicologia e religioni per riempire di senso e significati il fenomeno “pazzesco” della coscienza. Il primo scenario che Matrix ci propone è semplice e scandaloso: forse sono prigioniero di una realtà illusoria, che mi possiede. Forse la verità è che il mondo davanti a me non esiste, non so con certezza se esistono altre persone vere e coscienti: dunque ci sono solo io? Si spalanca il dubbio che tutto il mondo possa essere solo un sogno ad occhi aperti, una simulazione. “Cosa è Matrix?” chiede il “Signor Anderson”, il protagonista del film. E una misteriosa ragazza in nero sussurra: “La risposta è tutto intorno a te”. Tutto il mondo, le altre persone… sono solo una matrice che ci avvolge, uno spazio-tempo virtuale. Il protagonista è sottoposto da alcuni pirati informatici (hackers) ad uno spettacolare risveglio cibernetico che lo libera dal doppio utero (il significato latino del termine matrix) nel quale è sempre vissuto: fisico – la vasca di liquido in cui era tenuto fin dalla nascita – e mentale – il programma interattivo chiamato Matrix connesso direttamente al cervello con uno spinotto sulla nuca, che simula la sua vita nel 1999.
Quando il protagonista si risveglia perde la sua vecchia vita, il suo ruolo nella matrice, il suo corpo digitale. Il “Signor Anderson” è morto, resta solo Neo, l’identità con cui era conosciuto come hacker nella rete. Ma anche al di fuori dell’utero mentale, come sapere cosa è veramente reale? Forse anche il mondo del 2200 è un altro Matrix… Nessuna identità in cui risvegliarsi è sicura. Da qui sentiamo di nuovo, come da bambini o in momenti di grande intensità emotiva, che la coscienza è un fatto “pazzesco”: è un sentire inquieto, a tratti angosciato ma frammisto al fascino della scoperta. E in quell’inquietudine è nascosta la nostra domanda: “Cosa è Matrix? Cosa è questo pazzesco io-coscienza che guarda il mondo?”.
Molti bambini riportano i dubbi di essere dentro a un sogno, o a un grande gioco circondati da robot con comportamenti umani, programmati per allevarli. Una visione fredda che li spinge a cercare calore e sicurezza, ma che non viene mai fugata del tutto perché resta il sospetto che anche il calore sia solo un’illusione del grande gioco. A parte un atto di fede e adesione alle convenzioni, i bambini non sono sicuri di come stanno veramente le cose.
Le riflessioni infantili sul “questo mondo è vero?” “Ci sono solo io?” sono comuni, anche se i bimbi stessi non le comunicano volentieri. Non è un problema psicologico dovuto alla scarsa relazione o al rinchiudersi in sé, anche se i due aspetti possono coesistere, ma una questione filosofica della massima importanza: non si tratta di una difficoltà relazionale ma di una perplessità esistenziale. Nella sceneggiatura del film, quando il protagonista pone la sua
domanda al capo dei ribelli, questa prospettiva si apre ovunque:
– Cosa è Matrix?
– Matrix è ovunque, è intorno a noi. Anche adesso, nella stanza in cui siamo. È quello che vedi quando vai alla finestra, quando accendi la televisione. Lo avverti quando vai al lavoro, quando vai in chiesa, quando paghi le tasse. È il mondo che ti è stato messo davanti agli occhi per nasconderti la verità.
– Quale verità?
– Che tu sei uno schiavo, Neo. Sei nato in catene, sei nato in una prigione che non ha sbarre, che non ha mura, che non ha odore: una prigione per la tua mente.
“Matrix ha te”: sei imprigionato in un incantesimo. Se vi calate nell’esperimento, nasce un sentimento prezioso: un senso di stranimento e di perplessità, che destabilizza la normalità del vivere cui ci si aggrappa, e che porta in sé una domanda: allora c’è qualcosa di certo e reale su cui fondarmi, o tutto potrebbe essere illusorio?
La prima risposta può essere: il mondo è forse illusorio, ma io no. Io sono una mente e un corpo che vivono dentro a una realtà indefinita, forse digitale. Ma forse questo è troppo semplicistico: ci sono momenti in cui non sappiamo ancora dire “mente” o “corpo”, e già siamo accesi. Vediamo quali.»
Uscita dalle stanze della mente:
«Quando il protagonista del film esce da Matrix, risvegliato nella sua vasca di liquido amniotico, è solo uno sguardo, non sa né chi è né che cosa sta succedendo. È un’esperienza più comune di quanto si creda: non vi siete mai svegliati in piena notte, al buio, magari a casa d’altri o in albergo, e siete rimasti per un attimo senza ritrovarvi?
Quando capita, ci si ritrova solamente accesi nell’oscurità, senza superfici note o oggetti a portata di mano. Il respiro accelera, qualcosa annaspa, lancia sguardi nel niente cercando di afferrare un brandello di ricordo: cosa sono? Dove sono? Che storia ho?
Dopo qualche istante, velocissimo, qualcosa recupera l’identità personale, riconosce l’ambiente intorno a sé, le relazioni che ci legano a quel luogo. Davanti allo sguardo senza qualità – che pure non è niente – si ricostruisce una “identità-mondo”, una descrizione della realtà che riporta alla normalità e trasforma lo sgomento in un rassicurante: “Ecco, sono XY e sono qui nella città di ZQ. Domani devo andare a lavorare.”. In un istante viene generata la rete di simboli e relazioni che è la nostra personale neuro-simulazione.
Molti ammettono di vivere qualche variante di questa esperienza, soprattutto dopo il riposo del pomeriggio. Il risveglio “smarrito” – ed anche questa è una sensazione diffusa – lascia un ricordo di disagio. Come restare senza casa (chi ha subito anche solo la minaccia di uno sfratto sa quanto è sgradevole), privi di quella Matrix in cui mi colloco e mi riconosco. La mente è la mia casa; dopo un risveglio improvviso o un attimo di stranimento ci si ritrova nelle sue stanze familiari (funzioni di memoria, ragionamento, progettazione, affettività, ecc.), con il solito rassicurante mondo davanti a sé. Tuttavia queste brevi incursioni in cui si resta “fuori casa” – avendo perso anche l’idea di una chiave per rientrare – lasciano, insieme allo spaesamento, un sapore intrigante.
Questo sapore affascinante è simile allo stupore che gli antichi dicevano fosse alla base della ricerca filosofica. Lo stesso stupore oggi dà origine a decine di scuole che studiano la mente umana, che riducono un fatto “pazzesco” a un normale evento neurale. La scienza degli ultimi anni ha fatto enormi progressi nello studio di queste stanze, le funzioni cerebrali, e si pone domande pratiche di grande importanza: come funziona? Come distingue tra le percezioni e come reagisce? Come ricorda? Come riunisce tutte le informazioni creando una scena interiore unitaria? Come ripararla se è danneggiata?
Si cerca di simulare la mente con programmi informatici rivoluzionari come le reti neurali artificiali, oppure si analizzano dati empirici tratti dalle ricerche sul cervello e sul sistema nervoso: secondo queste ricerche ormai decennali alcuni scienziati e filosofi di grande fama hanno avanzato teorie generali della mente che possano ridurre quest’ultima a meccanismi di base.
Anche se normalizzato, una parte di quel sapore rimane sospeso, in forma di domanda priva di un preciso programma di ricerca: se io ci sono anche quando non penso, quando non riconosco… chi abita le stanze della mente? Cos’è quel qualcosa che lancia lo sguardo su Matrix quando appare?
2. Chi abita le stanze della mente?
Torniamo ad esaminare lo stato di pre-mente che si vive in un improvviso risveglio notturno, prima che parta la funzione del riconoscimento. Solo uno sguardo acceso e sensibile, cosciente di sentire ma incapace di dire cosa è, cosa sente, che non riesce a collocare i dati, a definire un
contesto. Lo sguardo è comeun fiotto di luce che si apre sul mondo, inizialmente buio. È uno sguardo con il quale siamo in linea: quindi non lo vediamo, ma piuttosto lo cavalchiamo.
Nasce allora una domanda proprio su questo sguardo: è un’altra funzione prodotta dal cervello, oppure è ciò che precede e attraversa le funzioni cerebrali che abbiamo chiamato le stanze della mente? Ed anche ora, questo stesso domandarci: è un prodotto del cervello o è lo sguardo domandante che si apre sulla questione “è un prodotto del cervello?”? Un breve episodio personale può chiarire la questione:
Ricordo con precisione un istante in cui la questione si impose. Ero studente e preparavo un esame di neurofisiologia, quando mi ritrovai una sera ad una festa. C’erano molte ragazze carine ed io, spinto dalla mia biologia, volevo ovviamente procurarmi la più ampia possibilità riproduttiva. Per cui mi ritrovai a fare sfoggio dell’unica cosa che mi occupava la mente in quel periodo – il cervello – con un paio di graziose giovani femmine della mia specie. Una di esse ad un certo punto mi fece la domanda fatale: “Allora, come si produce un pensiero?”.
D’un tratto, mentre richiamavo alla mente tutte le nozioni di neuroscienze per abbozzare una risposta, realizzai con un brivido che stavo pensando! Quel nuovo pensiero come si produceva? Restai paralizzato, non osando pensare nulla. Solo contemplavo “pensiero”, solido come uno strano oggetto… cos’è? Da dove viene?
In pochi attimi mi accorsi che non potevo restare lì – non lì alla festa, che ormai non vedevo più, ma nello sguardo sul pensiero – perché anche il contemplare e domandare sul pensiero erano pensiero, e non sapevo da dove nascessero. Allora mi misi a cercare una risposta, ma “cercare” era un altro strano evento che avrei dovuto giustificare… cercando una risposta.
Tutto questo si svolse in una manciata di secondi, dei quali ricordo esattamente la luce della stanza, le espressioni delle persone ed il colore delle maniche arrotolate della mia camicia.
Dall’esterno appariva solo il mio viso attonito, che balbettava imbarazzato. Le due ragazze in breve conclusero che non ero certo un buon candidato per il miglioramento della specie, e con scuse gentili si allontanarono verso il buffet.
Volendo conoscere la mente si vivono momenti di “stranimento cognitivo” in cui a monte sia del cervello, sia delle stanze delle funzioni mentali si evidenziano atti primi – accorgersi di pensare, contemplare, domandare – sconosciuti perché riflessi solo su di sé. Resta un senso di centralità, l’esperienza accade qui, e si è spinti a chiedersi: chi o cosa abita il cervello e queste stanze mentali?
L’abitante è quello stesso sguardo che annaspa nel buio al risveglio e che vede ricostruirsi l’identità, i ricordi del luogo e del tempo in cui siamo – la nostra personale Matrix. Le diverse scuole che si occupano di studiare la mente umana cercano di descrivere lo sguardo come se stesse davanti a noi, e anche nel quotidiano concepiamo noi stessi “in terza persona”, come ci vedono, da fuori, gli altri.
In realtà, nessuno vive in terza persona. E nessuno muore, in terza persona. Abbiamo riportato questi episodi per portare subito l’attenzione più sull’aspetto dell’esperienza che sul ragionamento epistemologico e filosofico. Crediamo che la mente vada indagata in modo coinvolgente, ricco di esperimenti e sensazioni. Ad esempio la perplessità di non sapere da dove viene un pensiero, lo smarrimento di certe esperienze di risveglio dal sonno; il brivido freddo del dubbio solipsista: “Come faccio a sapere se gli altri sono coscienti? Forse ci sono solo io?”. A volte sono sensazioni disagevoli, ma sempre intrecciate al fascino del-l’ignoto; in genere queste esperienze restano impresse con un sapore inconfondibile, che fa dire “sì… qualcosa di significativo… ma non saprei…”
3. Esperienza e Poesia
Matrix è anche un’opera ricca di simboli e riferimenti alla società del-l’informazione, e alle religioni orientali ed occidentali, dei quali non ci occuperemo. Manterremo l’attenzione ai suoi significati filosofici ed esperienziali: come altri film, possiamo considerarla una forma di micromitologia, un modo per indicare in una storia lontana qualcosa che riguarda la nostra esperienza immediata. È il percorso di una domanda, la stessa che dà vita a questo libro, la domanda su cosa sia Matrix, e cosa sia lo sguardo che la contempla. Forse non tutto quello che diremo sul film era nella mente dei suoi creatori, ma l’arte ha la capacità di esprimere per accenni e suggerimenti ciò che spesso è senza parole: tuttavia le parole dei giovani registi (nel 1999 avevano 31 e 33 anni) sembrano tracciare un percorso simile a quello che ci interessa:
Siamo rimasti affascinati dall’idea che matematica e teologia siano due strutture identiche.
Entrambe iniziano con un principio [NdA: Dio o i principi logici] dal quale poi deriva una moltitudine di regole. E quando prendi tutte quelle regole e le porti fino al punto di infinito, alle loro estreme conseguenze, improvvisamente ti ritrovi al punto di partenza: un mistero inspiegabile. Questa struttura vale anche per la mente e la percezione personale del mondo: il percorso del protagonista del nostro film deve fare i conti con tutte le regole del mondo, e con tante persone che gli dicono quale è la verità su di lui. Ma lui non accetta alcuna verità fino a quando non porta la mente alle sue estreme conseguenze e raggiunge il momento della sua fine, che è lo stesso della sua rinascita.
Il protagonista farà una serie di esperienze che lo porteranno alla fine del fiume di regole, meccanismi e convenzioni della mente psicologica e funzionale… e quando tutte saranno consunte e sbriciolate, la fine della mente corrisponderà al ritrovarsi al suo inizio, al principio della coscienza conoscente e sconosciuta. Riecheggiano i versi del poeta americano del ’900 Thomas S. Eliott:
Non cesseremo di esplorare
E alla fine dell’esplorazione
Saremo al punto di partenza
Sapremo il luogo per la prima volta.
Attraverso il cancello conosciuto e sconosciuto
Quando l’ultima terra ancora da scoprire
È la terra del nostro principio;
Alla sorgente del fiume più lungo
La voce arcana della cascata […]
Condizione di semplicità assoluta
(che costa non meno di ogni cosa).
Risalire la sorgente del fiume più lungo fino al mistero del suo sgorgare è un compito impegnativo. Il cinema e la poesia offrono suggestioni, la scienza, la filosofia, la meditazione forniscono modelli e metodi di verifica. Per intraprendere l’impegnativo percorso verso la semplicità assoluta, occorre prima di tutto un’intensa domanda e una forte motivazione.
4. La domanda su Matrix
Il protagonista di Matrix cerca qualcosa di imprecisato, che possa chiarire: è tutta la vita che ha la sensazione che ci sia qualcosa che non quadri… Un chiodo fisso, da diventarci matto. La domanda.
Cosa è la domanda? Non pensate ad una frase con un punto interrogativo. Piuttosto è una “friggitura” di fondo, un non riuscire a stare fermi, un vibrare di irrequietezza: se non è già così ogni momento, ve ne potete accorgere meglio quando fate una coda alle poste, o mettendo le mani sul tavolo e restando tre minuti senza far niente. O quando patite di una perdita. La domanda è la nostra sofferenza, una stretta in cui sentiamo che “ne va di me” e che cerchiamo di allentare ubriacandoci di lavoro, di telefonate, di televisione, circondandoci di affetti, inseguendo sensazioni forti. Non diciamo di non farlo, ma solo di lanciare la domanda per capire cosa ci spinge.
-So perché sei qui Neo. So cosa stai facendo. So perché dormi poco, perché vivi solo e notte dopo notte lavori al tuo computer. Stai cercando lui. L’ho fatto anch’io,e quando lui mi ha trovata mi ha detto che non cercavo veramente lui, cercavo la risposta.
– È la domanda che ci spinge, Neo. È la domanda che ti ha portato qui! Tu conosci la domanda come la conoscevo io.
-Cosa è Matrix?
– La risposta è tutto attorno a te. Ti sta cercando. E ti troverà, se lo vorrai.
A volte il disagio viene tradotto in una domanda, e a volte la domanda trova canali adeguati e diventa ricerca.
5. La motivazione alla ricerca
Per intraprendere un’indagine su noi stessi occorre una grande spinta, ma a volte non sappiamo neanche da dove possa venire. C’è solo quella vaga percezione che qualcosa non quadri nel mondo. Che vogliano convincerci di qualcosa, che sia tutto ovvio e normale, che noi siamo tutti persone comuni, che bisogna lavorare e stare all’ordine. Tutto molto sensato, ma manca il senso di fondo.
Quando il capoufficio della MetaCortex, la multinazionale dove lavora il protagonista del film, lo rimprovera per l’ennesimo ritardo, la scena ha un sapore alienante anche per lo spettatore:
la ripresa inizia dall’esterno del palazzo – come in un quadro di Hopper – tra lo stridore dei lavavetri, che rende magnificamente come ci si sente quando capiamo di essere dentro a una strana storia.
– Lei crede di essere straordinario, vero signor Anderson? Una persona speciale, per cui le regole non valgono… Inutile dire che si sbaglia. Noi siamo una delle prime dieci compagnie di software al mondo perché qui ciascuno è consapevole di far parte di un tutto. Se un dipendente ha un problema, tutta la compagnia ha un problema. Quindi, o da domani lei sceglie di presentarsi alla sua scrivania in orario, o sceglie di trovarsi un altro lavoro. Sono stato chiaro?
Certo, Mr. Reineheart.
Spesso ciò che ci impedisce di iniziare un’indagine su noi stessi è proprio il dubbio che Mr. Reineheart possa avere ragione: Neo ripete spesso a se stesso che lui è solo una persona qualunque, un signor nessuno. Solo una rotella di un grande tutto che deve funzionare e che in cambio regala un rassicurante senso di appartenenza; o solo uno spettatore impotente della lotta contro le macchine.
A volte la motivazione alla ricerca viene dal semplice fatto che non ci sono alternative: allora Neo è disposto a fare un “salto nel buio” e ad affidarsi alla squadra degli hackers ribelli.
-In questo momento non c’è tempo per le domande. Devi scegliere Neo, e ci sono solo due strade: o la nostra, o la strada là fuori.[…]
-Neo, quella strada già la conosci, sai esattamente dove porta. E non è dove tu vuoi andare.
Se pensate che possa esserci qualcosa dietro tutta questa storia, e che non abbiate da perdere nient’altro che un fascio di percezioni e di abitudini, allora procuratevi un cucchiaio e partiamo.»
Franco Bertossa è maestro di meditazione di indirizzo buddista e di Arti Marziali che entrambe pratica da oltre trent’anni; specializzatosi nell’Aikido, opera presso ASIA – Bologna, da lui fondata nel ‘94. Nel ‘95 ha ideato le Vacances de l’Esprit, iniziativa originale che, prima, ha coniugato l’alta cultura alla vacanza.
Roberto Ferrari è biologo e svolge attività di ricerca presso l’Università di Bologna dove si occupa dello studio degli Insetti Sociali e delle proprietà emergenti delle menti collettive. È impegnato presso il Centro Studi ASIA nella ricerca sulle teorie della mente e della coscienza.
Argomenti: Autocoscienza, Coscienza, Meditazione, Mente, Ricerca Interiore, Scienza, Studio Pratica e Ricerca,