Lettera ai Contadini sulla Povertà e la Pace
Titolo originale: Lettre aux paysans sur la pauvreté e la paix
Autore/i: Giono Jean
Editore: Ponte alle Grazie
seconda edizione a cura di Maria Grazia Gini.
pp. 130, Milano
Quando parlate con un uomo socialmente tecnico, egli sogna solo tempi in cui le macchine faranno tutto il lavoro e l’uomo lavorerà soltanto qualche minuto al giorno per spingere pulsanti di macchinari o alzare e abbassare commutatori.
E cosa farà per il resto del tempo? Gli chiediamo noi. Ed egli ci risponde: si coltiverà; questo pover’uomo ha dimenticato, non sa, non può sapere, nella sua posizione antinaturale, che la vera cultura dell’uomo è precisamente il suo lavoro, ma un lavoro che sia la sua vita, il che, evidentemente, non è il caso di alcun lavoro tecnico. Non si può sapere qual è il vero lavoro del contadino: se è arare, seminare, falciare, oppure se è nello stesso tempo mangiare e bere alimenti freschi, fare figli e respirare liberamente, poiché tutte queste cose sono intimamente unite, e quando egli fa una cosa completa l’altra. È tutto lavoro, e niente è lavoro nel senso sociale del termine. È la sua vita.
In questo vibrante e poetico scritto, troviamo nella sua forma più limpida e completa il pensiero morale che guida tutta l’opera di Jean Giono, l’autore de L’uomo che piantava gli alberi e L’ussaro sul tetto: la superiorità della natura sulla tecnologia, la salvezza dell’uomo attraverso un lavoro naturale, la celebrazione dell’individualismo spinto fino all’anarchia.
Scritto alla vigilia del secondo conflitto mondiale, questo accorato appello costituisce un tentativo disperato da parte di Giono di opporre le armi della semplicità, del buon senso e della poesia a un mondo che stava evidentemente prendendo la direzione opposta: quella del profitto e della guerra. L’appello, com’è ed era ovvio, non fu ascoltato. Rilette a più di mezzo secolo di distanza, le parole che Giono indirizza ai suoi “amici” fanno pensare a una grande occasione perduta, nell’ultimo momento in cui forse era ancora possibile non compiere la svolta che avrebbe cancellato per sempre il modo di vivere, la cultura e la saggezza dei contadini.
L’ultimo momento in cui i contadini sapevano ancora “far festa”, vivevano “alla misura dell’uomo”, conoscevano “l’abbondanza di una ricchezza commestibile destinata a soddisfare l’appetito di tutti i sensi” e “quella povertà che è la misura e la pace (…) quella povertà che è la ricchezza legittima e naturale: la gloria dell’uomo”.
Mai come oggi si è cominciato a riconsiderare quella svolta, e mai come oggi questo scritto di Giono si presenta attuale e urgente, se è vero che non è mai troppo tardi, e che nella mente e nelle mani dell’uomo non esiste solo il potere di distruggere, ma anche quello di crearsi la felicità.
Jean Giono è nato a Manosque, in Provenza, nel 1895, in una famiglia di origine italiana.
È vissuto quasi sempre nella sua terra d’origine, dove è morto nel 1970. Di Giono sono stati pubblicati in Italia Lussaro sul tetto, Una pazza felicità e Un re senza distrazioni da Guanda, e L’uomo che piantava gli alberi da Salani.
Argomenti: Civiltà Umana, Esistenza, Etica, Pensiero,