Leone X Giovani de’ Medici
Autore/i: Falconi Carlo
Editore: Rusconi
prima edizione, in sovraccoperta: Leone X, ritratto (particolare) di Raffaello. Firenze, Galleria degli Uffizi.
pp. 620, nn. tavv. a colori e b/n f.t., Milano
Papa Leone, questo pontefice che ha ipnotizzato gli uomini per la maschera d’oro che ne ricopre il volto e il suo segreto più profondo, non fu che in minima parte un vicario di Cristo. Come Cristo, fu randagio e perseguitato, operatore di miracoli e promettitore di vite migliori, ma non pensò mai di dover morire per loro; anzi fece di tutto per cancellare dalla loro memoria la sua immagine di crocifisso per mettere in luce solo quella della sua resurrezione. Fu un Orfeo della dolce vita, ma non quello d’una vita in cui fossero iscritti e premiati anche la fatica, il sudore e la lotta. E sarebbe almeno stato un vicario di , se non fosse apparso tanto indifferente alle verità rivelate e al bene morale. Anche nei rapporti con la Chiesa mostrò di non saper vivere al suo interno, nel suo centro. Principe e sovrano, fu l’uno e l’altro distinto. Dello Stato affidatogli trascurò l’amministrazione e dilapidò le finanze. Ciò che l’occupò vivamente fu solo la politica in grande che gestì con irresistibile acutezza e diplomazia, insieme a estrema spregiudicatezza. Amò le cose belle e gli artisti d’ogni disciplina, e resterà scritto che questo calco di papa, assente nel suo empireo, riparò all’insensibilità e all’iconoclasmo di quasi tutti i predecessori per i valori naturali, stabilendo dei legami tra essi e la sua Chiesa, come non era mai avvenuto prima e come nessuno seppe fare dopo di lui.
La figura di Giovanni de’ Medici, divenuto nel 1513 Leone X, si incastona nel miracolo del Rinascimento italiano come quella del suo massimo ispiratore e mecenate di artisti e intellettuali, da Raffaello allo stampatore Ma-nunzio, fino a farsene la personalizzazione ed il simbolo. Doppia la sua cornice storica: Firenze, la «nuova Atene», e Roma cinquecentesca, esuberante e vivacissima di iniziative e di scambi.
Figlio di Lorenzo il Magnifico, Giovanni de’ Medici divenne monsignore a otto anni e cardinale a diciassette; ma non si rivelò, con stile inconfondibile e irripetibile, che da papa: sovrano temporale e religioso, uomo d’arme e pacifico, diplomatico e amministratore, persuasore insuperabile di singoli e incantatore di masse. Contemporaneo di Francesco I e di Carlo V, di Erasmo e di Lutero, fu pari e forse superiore a tutti. Ma più che adattarsi al suo tempo, questo sembrò volersi adattare a lui. Tanto che parve ai suoi contemporanei che stesse per realizzare una nuova età dell’oro, che soltanto il destino gli impedì di instaurare, togliendolo alla vita, con una morte improvvisa, a quarantotto anni. La sua tranquilla e sicura presunzione fu di poter conciliare l’antico ideale classico con la spiritualità cristiana.
Di imponente costituzione fisica, Giovanni de’ Medici fu soprattutto una possente concentrazione di sensibilità, ricettatrice e trasmettitrice, e un ricercatore delle più compiute gioie sia terrene sia spirituali; avido e insieme distruttore di ricchezze, appassionato d’ogni creazione artistica, amante a suo talento di solitudine o di comunione con le folle, sempre in cerca inquieta di nuove mete per i suoi continui viaggi, sembrava non obbedire al tempo e viverne fuori, ritardando talora il momento opportuno dei suoi interventi. Papa schiettamente religioso sia pure in modo del tutto singolare, credente sincero e altrettanto spesso però sul filo dell’ortodossia, tranquillo reggitore e dominatore di concili e consessi, non riuscì ad essere sufficientemente forte coi popoli che convitava a più miti regimi e tardò fatalmente a fermare la marcia dei ribelli fraintendendo la portata delle loro intenzioni.
Con la sua inattesa scomparsa lasciò nel lutto non soltanto i suoi poeti, musici, retori e buffoni, ma soprattutto i suoi sudditi romani, increduli per tante speranze e certezze date e di colpo riprese da un’invisibile mano gelosa. Davvero con lui un sole si spense. E fu più gradevole dimenticarlo dopo i primi sproporzionati osanna. Lo ricondussero tra i posteri, verso la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, Goethe e Roscoe, seguiti da Ranke e Gregorovius e dallo stesso suo riduttore Pastor. In Italia, tra Otto e Novecento, D. Gnoli e G.B. Picotti. Poi di nuovo decine d’anni di silenzio. Forse è il momento di avvicinarlo di nuovo nel tentativo di scoprire il suo segreto, finora più descritto che penetrato. Sulla base di una ricerca più scientifica che obiettiva, il libro di Carlo Falconi vuol essere anche questo: nella speranza di offrire una chiave plausibile a rivelazioni che forse furono impedite.
Carlo Falconi, lombardo (1915), già affermatosi come critico letterario per la narrativa contemporanea italiana e francese, poi dedicò in prevalenza la propria attività di scrittore alla registrazione delle vicende postbelliche del cattolicesimo in Italia e nel mondo e all’indagine storica delle sue istituzioni, in particolare del papato. E questo contemporaneamente con una intensa collaborazione ai maggiori quotidiani e settimanali e con la pubblicazione di oltre una trentina di opere, alcune in più volumi e parecchie tradotte in francese, spagnolo, tedesco, inglese, russo, ecc., o scritte addirittura per editori stranieri. Il presente volume rientra nel filone delle sue apprezzate e ricercate biografie dei pontefici e dei segretari di Stato.
Argomenti: Libri vari,