Le Stagioni Blu • L’Opera di Wang Wei Poeta e Pittore
Titolo originale: Les Saison bleues – L’œuvre de Wang Wei poète et peintre
Autore/i: Wei Wang
Editore: Luni Editrice
edizione tradotta da Lidia Bonomi.
pp. 320, Milano
Wang Wei (701-761 d.C.) è considerato, insieme a Li Bo e Du Fu, uno dei massimi poeti cinesi; le sue poesie vengono qui tradotte e raccolte nella loro totalità per la prima volta in lingua occidentale, da Patrick Carré. Appartengono alla raccolta anche due prose: la Lettera dalla montagna a Pei Di, pervasa d’afflato lirico, e Il Segreto della Pittura, in cui viene espressa l’essenza della pittura paesaggistica a inchiostro, detta del Sud, di cui Wang Wei fu l’iniziatore e il maestro. Benché la sua opera pittorica non ci sia pervenuta egli tuttavia è considerato il massimo pittore cinese, ideatore di quella scuola pittorica che considerava il colore come secondario, mettendo al primo posto la «sintetica trasposizione» e graduando le tonalità ottenibili con l’inchiostro nero. E tramite le sue poesie che possiamo farci un’idea della sensibilità artistica di Wang Wei poiché, come dice Su Dong-po «le sue poesie erano quadri, e i suoi quadri poesie». Wang Wei ebbe una percezione assoluta della natura: nelle sue poesie, che sono paesaggi del cuore, egli riuscì a esaltare l’intima adesione tra il «sentire» la natura e le emozioni da essa suscitate nel suo cuore di poeta.
Tutta la sua opera è pervasa dal dilemma tra il ritirarsi sulla montagna, inteso non come fuga ma co- me distacco dalle cose terrene per una ricerca di sé, della propria integrità nella vacuità del tutto, secondo la dottrina chan (zen) cui il poeta fu iniziato dalla più tenera eta, e l’impegno civile. Wang Wei infatti per buona parte della sua vita ricopri incarichi a corte, subendo le alterne vicende di questa, e in alcune poesie ci offre uno spaccato della vita e delle cerimonie di corte della Cina classica d’epoca Tang (618-905 d.C.), quando la funzione civilizzatrice dell’Impero era in espansione verso la barbarie d’Occidente e stabiliva contatti col Giappone.
Se le poesie paesaggistiche rendono Wang Wei poeta universale, quelle di corte, per i continui riferimenti a un mondo particolare, richiedono un commento che il traduttore Patrick Carrè inserisce, basandosi sull’edizione d’epoca Qing dell’opera di Wang Wei redatta dal commentatore Zhao Qian-cheng, come un testo nel testo, fornendo una piccola enciclopedia di aneddoti della Cina dell’epoca. Dice Carré nella sua introduzione: «…La lingua di Wang Wei, al di la della sua semplicità, non è di quelle che si padroneggiano al minimo sforzo. Che dire di questa poesia la cut sottigliezza scoraggia il commento? Che essa esprime i mistero d’uno spazio che è per antonomasia quello del paesaggio cinese… ch’essa fa cantare montagne e brume, alberi e rocce, torrenti e fiumi… ch’essa emana una sottile tristezza che si compiace volentieri della sua amarezza… ch’essa innalza l’innocente lettore ai vertici d’un piacere infinitamente raro e malgrado ciò infinitamente intenso…
In breve, ch’essa rappresenta la quintessenza dell’immaginario cinese: una maniera discreta e meravigliosamente efficace di giocare d’astuzia con l’indicibile».
E ora, lasciamo parlare il poeta.
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