Le Olimpiadi dei Nazisti – Berlino 1936
La storia completa delle celebri Olimpiadi del 1936. Un capitolo fondamentale nella storia dello sport, della politica e della creazione del consenso.
Autore/i: Large David Clay
Editore: Edizioni Corbaccio
introduzione dell’autore, traduzione dall’americano di Marco Sartori, collana: Collana storica, titolo originale: Nazi Games. The Olimpics of 1936, in copertina: La tuffatrice statunitense Dorothy Poynt.
pp. 504, numerose tavole b/n f.t., Milano
«Un libro che, attraverso la storia delle Olimpiadi del 1936, getta una luce penetrante sulla storia del Terzo Reich.» (Publishers Weekly)
Adolf Hitler non aveva abitudini sportive. Quando fu incarcerato, dopo il fallito putsch di Monaco (1923), e cominciò a ingrassare, un amico gli consigliò di unirsi ai compagni di prigione per fare qualche esercizio sportivo. Indignato, rispose: «È fuori discussione. Un Führer non può correre il rischio di essere battuto dai suoi seguaci in qualche competizione, compresa la ginnastica, o in giochi qualsiasi». Ma in Mein Kampf raccomandò ai giovani un’ora di addestramento fisico al mattino e una al pomeriggio «in modo da coprire ogni tipo di sport e di esercizio ginnico». Dopo la conquista del potere nel 1933, quindi, non tardò a intuire che i Giochi olimpici di Berlino, programmati per il 1936, si sarebbero prestati a una grande operazione di regime. Occorreva dimostrare la qualità dell’atletica tedesca. Occorreva esibire al mondo le straordinarie capacità organizzative della Germania. E occorreva soprattutto proclamare concretamente la validità dei principi razziali a cui il regime intendeva ispirarsi. Lo sforzo organizzativo fu rigoroso e scrupoloso. Come scrive David Clay Large, i tecnici del Comitato olimpico tedesco, con la regia di Leni Riefenstahl, prepararono minuziosamente il trasferimento della fiamma olimpica dalla Grecia a Berlino. Il problema non era soltanto logistico. Si voleva gettare un ponte tra la Germania e l’Antica Grecia, dare una base storica e spirituale al neopaganesimo che sarebbe stato da quel momento la vera religione del Reich. Al programma politico e ideologico del regime hitleriano corrispose una forte campagna per il boicottaggio dei Giochi lanciata dalle comunità ebraiche con l’appoggio di forze politiche anti-naziste e anti-fasciste. Prevalse tuttavia la convinzione che l’interesse sportivo dovesse avere la meglio sulle considerazioni politiche e, addirittura, la speranza che i Giochi avrebbero dato un grande contributo alla riconciliazione internazionale e alla pace. Il libro di David Clay Large dimostra come questi nobili principi fossero illusori e velleitari. I Giochi furono sin dall’inizio, inevitabilmente, una festa politica, sceneggiata e orchestrata in funzione delle ambizioni e della strategia della Germania di Hitler. Vi fu per il Reich un episodio imbarazzante: le quattro medaglie conquistate da un grande atleta nero americano, Jesse Owens. Ma il successo dei Paesi autoritari (l’Italia fascista conquistò ventidue medaglie) sembrò dimostrare che le grandi democrazie erano afflitte da un processo di graduale decadenza. E l’apparizione della televisione negli stadi (quattordici unità mobili create da Telefunken e DaimlerBenz per venticinque sale di spettacolo) consolidò l’immagine della Germania come potenza scientifica e tecnologica.
Questo libro non è soltanto una storia dei Giochi di Berlino. È anche storia del movimento olimpico, della sua evoluzione, del contesto politico internazionale in cui le Olimpiadi del 1936 furono realizzate, del modo in cui quell’evento è ricordato nella Germania d’oggi. Jesse Owens (l’atleta a cui Hitler non aveva voluto stringere la mano) tornò a Berlino nel 1951 e fece un «giro della vittoria» nello stadio in cui aveva trionfato quindici anni prima. Alla sua morte, nel 1980, i berlinesi gli dedicarono una via.
David Clay Large insegna Storia contemporanea presso la Montana State University ed è un esperto di storia tedesca del Novecento. È autore di Where Ghosts Walked: German to the Front Between Two Fires e Berlin.