La Speranza mi ha Tenuto in Vita – da Theresienstadt e Auschwitz a Israele
Titolo originale: Die Hoffnung erhielt mich am Leben – Mein Weg von Theresienstadt und Auschwitz nach Israel
Autore/i: Elias Ruth
Editore: Edizione CDE
traduzione di Marisa Margara.
pp. 288, Milano
Perché pubblicare oggi un’altra testimonianza sul genocidio degli ebrei nei lager nazisti, un altro resoconto di atrocità e disumanizzazione? La domanda è legittima e la risposta non scontata: da una parte, infatti, non mancano in Italia memorie, saggi e testimonianze pregevoli e importanti sui terribili avvenimenti che hanno marchiato per sempre i corpi e le coscienze delle vittime e hanno evocato l’inferno nel cuore del nostro secolo. D’altra parte ci sono molte e buone ragioni per proporre oggi le memorie di Ruth Elias, una donna che si definisce “condannata a convivere con un incubo” ma che non rinuncia a cercare di “penetrare l’incomprensibile”. Una donna che si è imposta di guardare sempre avanti per sfuggire alla pervasività di quel ricordo di morte, ma che a distanza di molti anni si è resa conto di non potere, di non dover più rimuovere l’orrore: il silenzio e l’autocensura, infatti, avevano scavato un distacco profondo fra i sopravvissuti e le generazioni dei figli e dei nipoti. Per far sì che “la persecuzione degli ebrei durante il nazismo” non restasse una formula generica nel Museo degli orrori della Storia, Ruth Elias ha scritto quest’autobiografia: ciò che rende le sue pagine tremende e al tempo stesso indispensabili è la capacità di restituire l’esperienza dei lager nella sua agghiacciante quotidianità, di mostrarci i mille espedienti ed atti di coraggio con cui le vittime dei lager si oppongono a una struttura di dominio e di sterminio organizzata nei più minuti dettagli, creata per annientare “scientificamente” un popolo. In questi nostri anni Novanta, di nuovo tormentati da manifestazioni d’odio razzista e dallo sterminio di popolazioni dichiarate “nemiche” in base all’appartenenza religiosa o etnica, la voce ferma e inesorabile di Ruth Elias può anche servirci a non dimenticare, a non accettare con fatalismo o quiescenza le rinnovate stragi di innocenti.
Cecoslovacchia, anni Trenta: una giovane ebrea vive con la famiglia in una cittadina ai piedi dei monti Tatra. Osservanti, i parenti la educano secondo la tradizione; benestanti, le offrono un’esistenza serena e ricca d’impegni scolastici, sportivi, musicali. Improvvisamente, l’invasione tedesca del 1939 sconvolge la vita di Ruth e dei suoi cari: dapprima emarginati e privati di tutti i loro beni in quanto ebrei, poi costretti a nascondersi per sfuggire alla deportazione, vengono infine rintracciati dalla Gestapo e rinchiusi nel ghetto di Theresienstadt. Da quel momento, Ruth è inesorabilmente costretta a procedere lungo la via del dolore e della morte: le tappe del suo penoso cammino, condiviso da milioni di vittime del nazismo, sono il campo di sterminio di Auschwitz – al quale sopravvive quasi per miracolo – e il campo di lavoro di Taucha, nei pressi di Lipsia. Nel 1945 l’arrivo delle truppe alleate mette in fuga le SS, permettendo la liberazione dei sopravvissuti ai lager.
Il ritorno di Ruth nella patria cecoslovacca è straziante: solo allora misurerà fino in fondo la disperazione di aver perso tutti i suoi cari, di portare in sé le tracce indelebili dell’orrore subito, di cozzare contro l’ottusità e la vigliaccheria dei molti che ancora negano l’evidenza del genocidio.
La straordinaria vitalità e il coraggio che le hanno permesso di sfuggire alla morte l’aiuteranno però a ricostruirsi la vita: sposa Kurt, a sua volta scampato ai lager, e con lui si trasferisce nel 1949 in Israele, dove avranno figli e poi nipoti: proprio a loro, che Ruth definisce con una bellissima espressione “la mia vittoria personale sui persecutori”, è dedicata questa terribile e preziosa testimonianza.
Argomenti: Libri vari,