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Ko – Gi – Ki Vecchie Cose Scritte

Ko – Gi – Ki Vecchie Cose Scritte

Libro base dello shintoismo giapponese – Il più antico libro di mitologia e storia del Giappone

Autore/i: Yasumaro

Editore: Editori Laterza

prima versione italiana dall’originale giapponese di Mario Marega, ristampa anastatica dell’edizione del 1938.

pp. 524, nn. tavv. b/n f.t., nn. ill. b/n, Bari

Nel 712 il nobile Yasumaro presenta al trono un’opera molti anni prima commissionata dalla volontà sovrana: è il Ko-Gi-Ki, racconto di antiche cose. Siamo in un secolo di grande rilievo per la vicenda storica del Giappone. La cultura cinese è stata da poco tempo accolta e ha portato con sé infinite innovazioni culturali e politiche, dal buddhismo alla concezione dello Stato, dalla scrittura ideografica al modello urbanistico sul quale si plasmano le prime grandi città: come la capitale da cui, nel 710, ha preso nome l’epoca di Nara.
Ma l’apertura entusiasta alla realtà nuova che giunge dal continente esalta la ricerca e il culto per le tradizioni autoctone, la cui codificazione consente alla dinastia di porsi come mediatrice tra vecchio e nuovo e di evitare una definitiva sottomissione culturale (e forse politica) al grande impero vicino.
Il Ko-Gi-Ki è cronologicamente la prima delle grandi opere letterarie giapponesi giunte sino a noi; e per molti versi è tuttora la più importante; esso riceve anche dal suggello imperiale un’aura di sacertà per la quale è stato spesso definito come «la Bibbia dei giapponesi». Si tratta di una definizione per molti versi impropria, visto che esso non pretende in alcun modo di porsi come parola ispirata da un dio, ma raccoglie solo, con pio senso del passato, storie tramandate dai tempi più remoti; e la leggenda stessa della sua stesura ci parla di un personaggio dalla prodigiosa memoria nel quale è possibile intravvedere il ricordo di una fase di trasmissione orale della cultura. E, ancora a differenza della Bibbia, il Ko-Gi-Ki manca di parti normative o profetiche… Per altro verso, l’accostamento si giustifica anche perché esso ha svolto un ruolo essenziale nella formazione e nella conservazione della individualità del popolo giapponese e ad esso ( nonostante lunghi periodi di relativa dimenticanza) i giapponesi hanno fatto ricorso per rivendicare la loro specificità non solo nei confronti della Cina, ma anche davanti all’irruenza della moderna civiltà occidentale.
Ma la lettura evoca altri classici momenti delle più antiche tradizioni religiose. Si legge del corruccio della Dea del Sole e si pensa a quello di Demetra; si legge della discesa agli inferi di Izanaghi alla ricerca della sposa e torna al ricordo il mito di Orfeo; mentre l’alternanza di cicli terrestri e di cicli celesti evoca a volte pagine delle saghe nordiche.
«Al tempo dell’inizio del Cielo e della Terra»: sono queste le parole prime del testo, che introducono a una cosmogonia non creazionista e alla descrizione del complesso politeismo isolano. Poi, la scansione delle vicende celesti degli dèi lascia gradatamente il posto a storie sempre più chiaramente umane: il Giappone, generato dagli dèi e governato per sempre dai discendenti della Dea del Sole, diviene l’implicito protagonista mentre il mito si stempera a poco a poco in una narrazione meno fantastica e si chiude con la scarna cronaca dei sovrani più recenti.

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