Il Suono Come Arma
Gli usi militari e polizieschi dell’ambiente sonoro
Autore/i: Volcler Juliette
Editore: DeriveApprodi
introduzione dell’autrice, traduzione dal francese di Roberta Cristofani.
pp. 176, nn. figure b/n, Roma
Può il suono diventare un’arma? Stando a quanto accaduto sul piano militare e poliziesco negli ultimi cinquant’anni, la risposta è sì. Dai bombardamenti di rock compiuti dall’esercito americano in Iraq all’heavy metal a tutto volume usato come strumento di tortura a Guantanamo, la funzione del suono per usi militari e di ordine pubblico è sempre più rilevante. Rap, metal e persino canzoni per bambini diventano armi utilizzabili a scopo intimidatorio, punitivo e aggressivo, segnale della continuità tra industria del divertimento e industria militare. Questo libro è una genealogia dei dispositivi acustici utilizzati a scopo offensivo per come si sono sviluppati nel corso del XX secolo, tanto nella loro progettualità riuscita quanto in quella fallita. Ma, soprattutto, vuole essere l’occasione per pensare a nuove strategie di sottrazione dell’ambiente sonoro a un’inesorabile appropriazione commerciale e securitaria.
«”Il paesaggio sonoro del mondo sta cambiando”, scriveva il compositore Murray Schafer nel 1977, analizzando lo sviluppo dell’”inquinamento sonore”, quella “crescita indiscriminata e imperialista dei suoni più variegati e più potenti fin dentro gli angoli più reconditi della vita umana”. Meno di mezzo secolo più tardi, il paesaggio sonoro vive una nuova mutazione: l’espansione dei suoni prosegue, ma ora si vuole renderli accuratamente controllati, calibrati, delimitati. È un progresso? È a noi stessi, ai nostri spostamenti e al nostro immaginario che si applicano questo controllo, questa calibrazione, questa delimitazione. Catalogare i suoni significa catalogare i viventi. Significa impiegare gli imprevisti, le interrelazioni, la gratuità. Significa impiegare il suono per mascherare il reale e contenerlo, così che nulla sfugga dalla cornice. Aggiramenti, resistenze e riappropriazioni critiche restano da inventare. Ma l’esplorazione del territorio sonoro non è appannaggio dei professionisti della repressione o dei cultori dell’ordine, tutt’altro. Basta prestare orecchio ai “gesti sonori appassionati”, passati o presenti, che hanno fatto parte del dispiegamento di un immaginario critico. E se il suono, invece di controllare, sorvegliare, individualizzare, si facesse strumento del collettivo, alimentandolo, risvegliandolo e amplificandolo? Se diventasse strumento di un disordine esaltante, di una ribellione festosa, di un rovesciamento?[…]
Oggi la sfida è riprendere coscienza del suono, appropriarsene, evitare la sua confisca poliziesca e commerciale, per inventare usi che ci permettono di abitare diversamente lo spazio acustico e lo spazio comune. Se il potere intende “investire la vita da parte a parte”, noi lavoreremo perché la vita continui a sfuggirgli, nell’ambito del suono come altrove».
Juliette Volcler, giornalista francese, lavora per le testate radiofoniche Fréquences Paris Plurielle e Radio Galère. Collabora inoltre con le riviste «CQFD» e «Article XI».
Argomenti: Complotti e Cospirazioni, Corruzione, Denunce e Reportage, Manipolazione Sevizi e Torture, Scandali,