Il Messico Fino alla Conquista Spagnola
Autore/i: Coe Michael D.
Editore: Il Saggiatore
prima edizione, prefazione dell’autore, traduzione di Beatrice Boffito Serra.
pp. 240, 75 fotografie b/n, 32 disegni b/n, 8 carte geografiche b/n, 1 tavola cronologica, Milano
Coi Maya, loro pacifici confinanti, gli inquieti popoli del Messico prespagnolo sono i creatori del complesso di culture che gli archeologi chiamano «Mesoamerica» e che, nel suo insieme, rappresenta la più evoluta civiltà dell’emisfero occidentale. Vi si trovano già molte delle invenzioni, strumenti, istituti, usanze di cui i conquistadores si facevano un vanto: scrittura geroglifica, libri su carta di agave o pelle di cervo, carte geografiche, un elaborato calendario, stadi per giochi sportivi con palloni di gomma, porti, mercati, la pratica della confessione individuale con relative penitenze. Religiosamente, sono le civiltà del «serpente piumato»; gastronomicamente, le civiltà delle tortilla; di mais. Per di più, ci hanno regalato il solo piacere specifico dei tempi moderni: quello di fumare tabacco. L’autore di questo libro racconta la storia dell’antico Messico in funzione, per così dire, della meteorologia (piogge, siccità), o meglio delle sequenze geologiche che via via mutarono le condizioni di abitabilità delle varie sedi. La fine dell’età preistorica e arcaica (verso il 2000 a. C.) coincide con l’inizio della «piccola era glaciale», cioè la nostra.
I primi immigrati nel Messico vennero dal nord, ed erano cacciatori. Un successivo periodo di temperature più calde li trasformò in raccoglitori e poi in agricoltori. La misteriosa e già mirabile civiltà olmeca si sviluppò sulla costa del Golfo; un divampare di lotte intestine la rese vittima di invasioni semibarbariche, instauratrici di una serie di bellicosissimi stati, tra cui quello assai potente di Toltechi. Ultimi a giungere, gli Aztechi. “Dalla loro isola-capitale sul lago di Valle del Messico, essi si imposero a quasi tutto il paese. Parlavano il nahuatl, una delle tante sottospecie dell’uto-azteco, la famiglia linguistica che prevalse. Ma di queste famiglie, i glottologi sono riusciti a crearne nientemeno che quattordici (tarasco, otomì-pame, totonaco, mixteco, zapoteco, zoque, juave, huasteco, ecc.) per classificare la stragrande varietà di idiomi del Messico prespagnolo. Certo gli Aztechi continuano a brillare per noi di una luce privilegiata. Ma col suo stile rapido e brillante, Michael D. Coe li chiama i parvenus del Messico, gli ultimi bagliori di una stella cadente, giunta‘ allo zenith nel precedente «periodo classico». Da storico che non annoia, ma non per questo indulge alle leggende, il Coe distrugge molti luoghi comuni: sostituisce, per esempio, il vero nome di Montezuma a quello proverbiale di Montezuma, pura invenzione dei nostri romanzieri e poeti. Il lettore lo ringrazierà tuttavia di avergli dato, in cambio di leggende, qualche cosa di altrettanto attraente, altrettanto capace di mettere in moto anche la fantasia.
Michael D. Coe è nato a New York nel 1929, ha studiato allo Harvard College, nel 1959 si è laureato in antropologia alla Harvard University. Dopo qualche anno di insegnamento all’Università del Tennessee, è passato alla Yale, dove gli sono affidati corsi di antropologia. Ha molto viaggiato in Europa e nell’Estremo Oriente; ma soprattutto ha svolto un proficuo lavoro «sul terreno» nel Messico, nell’Honduras Britannico, nel Guatemala e a Costa Rica. Obiettivo principale dei suoi studi è l’investigazione degli antichi rapporti tra le culture dell’America , Centrale e quelle dell’America Meridionale. , Questo libro sul Manrico fino alla conquista spagnola è un primo, e già magistrale, risultato della sua «opera in progresso» sulla preistoria del Nuovo Mondo.
Argomenti: Civiltà Maya, Colonialismo, Messico,