Il Ghetto sul Tevere
Storia degli Ebrei di Roma
Autore/i: Waagenaar Sam
Editore: Arnoldo Mondadori Editore
prima edizione, prefazione dell’autore, traduzione dall’inglese di Giacometta Cantatore Limentani.
pp. 400, 49 ill. b/n f.t., Milano
La più antica e stabile comunità israelitica d’Occidente è forse quella romana. Prima dei Cesari, gli ebrei erano già stabiliti a Roma: e c’erano ancora quando nel giugno 1944 le SS naziste abbandonarono la città. Erano arrivati, con la loro robusta fede religiosa e i rotoli della Legge, quando i romani ignoravano che cosa fosse il monoteismo; erano già lì da più di due secoli quando vi giunse il primo capo della nuova chiesa di Cristo; ed erano ancora lì, con la stessa fede e la stessa Legge, quando il Concilio ecumenico di papa Giovanni XXIII passò un colpo di spugna sull’antica accusa di «deicidio».
Le sculture che, sotto l’Arco di Tito, celebrano il trionfo del conquistatore di Gerusalemme, raffigurano prigionieri giudei curvi sotto le opulente spoglie del Tempio: una visione che, mille anni dopo, non cessava di incutere orrore in un discendente di quei prigionieri, il magnate Baruch, pur tanto integrato nella Città Eterna che dalla sua casa sistemata nel Teatro di Marcello uscì il «papa ebreo» Anacleto. Tuttavia fu proprio un papa che, quattro secoli più tardi, ai piedi di quel Teatro creò il ghetto: un lager d’un ettaro di superfìcie, percorribile a piedi in sette minuti – e allagabile dal Tevere in minor tempo -, dove per trecento anni ottomila esseri umani di religione diversa da quella d’Oltretevere vissero ammassati, condannati ai mestieri più degradanti eppure riuscendo a salvaguardare le loro affascinanti usanze, finché non giunsero a liberarli prima Napoleone, poi Mazzini e infine i bersaglieri del generale Cadorna. Nella comunità in tal modo emancipata dopo secoli di artificiosa segregazione l’Italia unita potè allora reclutare uomini di governo, imprenditori, scienziati, artisti: ma giunsero in scena Preziosi, Farinacci, Interlandi, Mussolini, si trascinarono dietro gli uomini di Kappler, e sull’antico ghetto tornò la notte dell’Inquisizione. A questo punto il libro di Waagenaar, dopo una narrazione a rapidi scorci densa di vivacissima aneddotica, rallenta il proprio corso per rivelare nei suoi mille particolari inediti la storia straordinaria di un pugno di uomini che nella lunga notte del terrore nazifascista, armati solo di astuzia, coraggio e senso della solidarietà umana, riuscirono a strappare migliaia di vittime all’infame olocausto. Il gruppo era guidato da un cappuccino francese, padre Marie-Benoît: ed è emblematico che questa storia degli ebrei di Roma si concluda col nome di un umile frate insignito della più alta onorificenza ebraica, ma scarsamente e mal ricordato negli annali ufficiali romani.
Sam Waagenaar è ormai romano d’adozione, ma è nato ad Amsterdam e ha girato tutto il mondo, come dirigente della MGM, fotografo e giornalista. Autore di vari sceneggiati televisivi, di eccellenti volumi illustrati (Countries of the Red Sea, Women of Israel, Children of Israel, The Little Five, sul Vaticano, San Marino, Monaco, Andorra e Liechtenstein), in italiano ha pubblicato Donne di Roma, con testi di Moravia e Pasolini, e una biografia di Mata Hari, tradotta in undici lingue.