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Il Filo di Mezzogiorno

Il Filo di Mezzogiorno

Autore/i: Sapienza Goliarda

Editore: La Tartaruga Edizioni

in copertina: foto di Goliarda Sapienza.

pp. 192, Milano

«Ogni individuo ha il suo segreto che porta chiuso in sé fin dalla nascita, segreto di profumo di tiglio, di rosa, di gelsomino, profumo segreto sempre diverso sempre nuovo unico irripetibile, segreto di impronte digitali graffito inesplicabile sempre nuovo diverso sempre unico irripetibile… Non violate questo segreto, non lo sezionate, non lo catalogate per vostra tranquillità, per paura di percepire il profumo del vostro segreto sconosciuto e insondabile a voi stessi, che portate chiuso in voi fin dalla nascita … »

Ha detto Cesare Garboli in un’intervista: “Il tempo lavorerà a favore dei libri che ha scritto Goliarda Sapienza”. “Il filo di mezzogiorno”, pubblicato per la prima volta nel 1969, è il secondo romanzo di Goliarda Sapienza, rivelatasi due anni prima con “Lettera aperta”, che raccontava con tono aspro e impietoso la sua infanzia siciliana fino alla partenza per Roma e l’Accademia di Arte Drammatica. Quello era il proemio o l’antefatto, “Il filo di mezzogiorno” è la conseguenza e, insieme, l’analisi. Ecco, l’analisi: questo libro è il resoconto di un tentativo di cura che uno psicoanalista compie sulla protagonista, sradicata dalla Sicilia e trapiantata a Roma con grande lacerazione. In “Lettera aperta” la confessione nasceva spontanea, per moto proprio, e trovava un ritmo tachicardico, lirico e avvolgente. Qui, fin dalle primissime pagine, entra in scena, abilmente, senza presentazione di sorta, colui che guiderà la nuova confessione con metodo scientifico, appunto lo psicoanalista, convinto della funzione terapeutica della memoria. “Il filo di mezzogiorno” è nella sua struttura un continuo colloquio tra paziente e medico curante. Ma non basta. Via via che l’analisi va avanti, i transfert della protagonista e dello stesso psicoanalista diventano, nel loro evolversi, materia di racconto. Non manca una lucida critica a una certa psicoanalisi posseduta da un’oscura volontà di potenza e di normalizzazione: ” … se siamo morbosi, malati, pazzi, a noi va bene così. Lasciateci la nostra pazzia e la nostra memoria”.
Un destino d’eccezione, ma esemplare, della condizione umana, rivelato con sottigliezza e ardore di radice insulare da una scrittrice che seppe continuare, con voce sua, la tradizione della migliore narrativa siciliana moderna, più attenta alle ragioni dell’anima che a quelle del folklore.

Goliarda Sapienza (1924-1996) nacque a Catania da famiglia socialista rivoluzionaria: il padre Giuseppe, avvocato, fu tra i principali animatori del socialismo siciliano fino all’avvento del fascismo; la madre, Maria Giudice, figura storica della sinistra italiana, la prima donna, tra l’altro, a dirigere la Camera del Lavoro di Torino, fu in carcere insieme a Terracini nel 1917. Goliarda, grazie a una borsa di studio per allievi attori, approda a sedici anni all’Accademia di Arte Drammatica a Roma. Per alcuni anni è attrice applauditissima in vari ruoli pirandelliani. In seguito al suo lungo legame con il regista Citto Maselli prende parte a vari film, tra cui Senso di Luchino Visconti. Lasciata la carriera di attrice debutta nella narrativa con Lettera aperta (1967, ristampato da Sellerio nel 1997), segue Il filo di mezzogiorno nel 1969, L’Università di Rebibbia (1983), Le certezze del dubbio (1987). Escono postumi il romanzo L’arte della gioia nel 1998 e i racconti Destino coatto nel 2002.

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