Il Faggio degli Ebrei
Titolo originale: Die Judenbuche – Ein Sittengemalde aus dem Gebirgichten Westfalen
Autore/i: Von Droste-Hülshoff Annette
Editore: Salerno Editrice
edizione italiana a cura di Francesco Politi, con una nota introduttiva di Josef Kunz, e un profilo biografico-critico di Ernst Alker, in copertina: H. Pape, Xilografia originale (da Die Judenbuche, 1978).
pp. 124, Roma
Concepito dall’A. come «quadro di costumi» e «storia criminale», ma dalla critica via via definito, per la sua poliedricità e polivalenza, «novella rusticana», «novella fatalistica», perfino «mistero sacro in forma narrativa», il racconto lungo (o romanzo breve) Il faggio degli Ebrei – capolavoro di Annette von Droste-Hülshoff, pubblicato nel 1842 – è generalmente riconosciuto come una pietra miliare del nascente Realismo tedesco in piena età romantica, con anticipazioni di tendenze e modi del Naturalismo, dell’Impressionismo, perfino del Surrealismo.
Segnata dai tre misteriosi omicidi – di Ermanno Merghel, del guardaboschi Brandis e dell’ebreo Aaron – consumati ai piedi del grande faggio nel bosco, che domina come un fato tragico e ineluttabile l’intera scena e l’azione del dramma, la tortuosa vicenda del protagonista, Friedrich Merghel, si sviluppa in una narrazione carica di suspense, che tra sinistre illuminazioni e angosciose reticenze procede col ritmo serrato e febbrile di una ballata, in un linguaggio asciutto, essenziale, denso di implicazioni. Un documento di sottile e inquietante analisi caratteriologica e di vigorosa evocazione ambientale, nel quale coesistono radicati sentimenti di religiosità cristiana, sopravvivenze pagano-ancestrali, e insieme momenti visionari. La catastrofe – con il suicidio del protagonista, che s’impicca a un ramo del grande faggio sul cui tronco gli Ebrei avevano inciso una sentenza biblica: «Quello che hai fatto sarà fatto a te» – matura sotto la spinta del rimorso, ma appare anche quasi prestabilita da un fosco verdetto di giustizia veterotestamentaria, ossessivamente sollecitata dalla presenza vendicatrice della Natura, già testimone del misfatto e offesa nella sua sacralità, che non dimentica e non lascia dimenticare. Restando infine escluso un “giudizio” definitivo dell’A. sull’uomo e sulla vicenda, consapevole dell’impossibilità umana di conoscere e orientarsi con sicurezza nel tragico intreccio di responsabilità e condizionamento, di colpa e destino.
Argomenti: Letteratura, Racconti, Romanzo,