Grandezza e Limiti del Pensiero di Freud
Autore/i: Fromm Erich
Editore: Arnoldo Mondadori Editore
introduzione dell’autore, traduzione di Francesco Saba Sardi.
pp. 204, Milano
Sotto il trasparente pretesto di una critica della psicoanalisi, Grandezza e limiti del pensiero di Freud costituisce una coerente summa del pensiero di Fromm: una resa dei conti con la matrice freudiana, ma insieme il perentorio richiamo alla necessità, intuita da Freud – e in questo va vista essenzialmente la sua «grandezza» -, di «privare l’uomo dell’orgoglio per la propria razionalità», andando alle radici e scoprendo che il pensiero conscio spesso vela i nostri pensieri e sentimenti inconsci, e pertanto «nasconde la verità». Se la scoperta di Freud, vale a dire un metodo per giungere alla «verità » al di là di ciò che un individuo crede sia la verità, era rivoluzionaria non meno dell’interpretazione di Marx dell’ideologia borghese (e Fromm sottolinea di continuo il parallelismo), d’altro canto i suoi «limiti» sono individuabili, nell’obbedienza, del resto inevitabile date le premesse sociali e culturali, allo scientismo della sua epoca, alla visione paternalistica della società e all’illusione acritica che l’essere umano potesse venire ridotto a un coacervo di istinti, secondo una visione miopemente pansessualistica.
Freud, argomenta Fromm, ha straordinariamente ampliato il concetto di verità, mostrando che non è solo «ciò che credo consciamente, ma anche ciò che reprimo perché non voglio pensarci». Ma, fatta questa premessa, e in polemica indiretta con certe correnti, come la lacaniana, che esigono il ritorno a un’interpretazione letterale del freudismo, Fromm critica spietatamente il suo maestro, dimostrando il carattere gerarchico della concezione di un «es» (le masse) sottoposto al controllo dell’«io» (l’élite razionale), l’inconsistenza del «complesso di Edipo», gli errori connessi alla concezione del transfert e la povertà dell’interpretazione freudiana dei sogni, che tiene conto solo del loro «contenuto» e mai della loro «forma ».
Il dinamismo che costituisce comunque l’essenza del pensiero di Freud è stato però completamente cancellato dai suoi epigoni, gli psicoanalisti, così come il «pensiero critico» di Marx e stato completamente soffocato e spento dai marxisti e dal «socialismo reale». Gli psicoanalisti hanno «fatto proprie le tendenze del pensiero borghese»: la nevrosi, per essi, è il risultato della mancata soddisfazione sessuale frutto della repressione, e così – Reich alla testa – si è celebrato il trionfo del consumismo sotto specie erotica. Sconfiggere la repressione, afferma invece Fromm, significa riaffermare che «è la verità che fa liberi», con Giovanni e con Buddha, con Socrate e con Spinoza, con Hegel e con Marx. È questa la grande, serena, limpida e inequivocabile «lezione» di Fromm: l’illusione, cioè l’ignoranza, è, insieme con l’odio e la brama di possesso, uno dei mali di cui ci si deve liberare, pena altrimenti il permanere in una situazione di cupidigia, che comporta inevitabilmente la sofferenza. Perché, come ha detto Marx, «si devono distruggere le proprie illusioni al fine di cambiare le circostanze che richiedono illusioni». (Francesco Saba Sardi)
Erich Fromm è nato nel 1900 a Francoforte e ha studiato alle Università di Heidelberg e di Monaco e all’Istituto di Psicoanalisi di Berlino. Con Adorno, Horkheimer, Marcuse e altri ha lavorato nell’ambito del famoso Institut fur Sozialforschung di Francoforte. È vissuto negli Stati Uniti dal 1934, ha insegnato al Bennington College, alla Columbia, Michigan e Yale University, oltre che all’Università nazionale del Messico.
È uno dei maestri della psicoanalisi. Tra le sue opere più famose tradotte in italiano: Psicoanalisi della società contemporanea, Fuga dalla libertà, L’arte di amare, Marx e Freud. In edizione Mondadori: La crisi della psicoanalisi (1971), Anatomia della distruttività umana (1975), Avere o essere? (1977).
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