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Giungle Americane – Il Cinema del Crimine

Giungle Americane – Il Cinema del Crimine

Titolo originale: Crime Movies

Autore/i: Clarens Carlos

Editore: Arsenale Cooperativa Editrice

traduzione di Clotilde Griffo e Anna Nordio, collana: Fact & Fiction.

pp. 310, nn. ill. in b/n n.t., Venezia

Il saggio di Carlos Clarens un volume di trecentodue pagine fitte, corredato da centinaia di foto in b/n e tratta più di cinquecento film che appartengono alla storia del «genere». Clarens è già noto agli studiosi e agli appassionati di cinema per uno studio non ancora tradotto in Italia e che comunque (secondo quanto afferma Lorenzo Codelli nell’utile introduzione) è già molto citato e saccheggiato, si tratta di Horror Movies, An Illustrated Survey, Secker & Warburg, London 1968. Giungle americane è il più famoso testo di consultazione di maggiore impegno sulla storia del crime movie, un genere che dalla sua comparsa a oggi resiste al tempo e alle mode, l’indagine di Clarens si svolge in undici capitoli che si riferiscono ad altrettante fasi della storia del cinema del crimine. Nel primo capitolo, PERSONAGGI ALLA RICERCA DI UN GENERE, l’autore fissa la data di nascita del gangster-film nel 1912: David Wark Griffith rappresenta per la prima volta sullo schermo tuguri, zone malfamate e introduce lo spettatore nella ribollente attualità del Lower East Side di Manhattan, ghetto, crogiolo, zona di infamie e delitti; il film si chiama The Musketeers of Pig Alley. Quindici anni dopo appare Le notti di Chicago (The Underworld, 1927) di Joseph Von Sternberg (la sceneggiatura è di Ben Hecht, l’interprete principale è George Bancroft nella parte di Bull Weed, un gangster elevato al rango di eroe), il primo gangster-film con credenziali moderne. Un geniale spettatore, Jorge Luis Borges dirà in Discussion: “Quando vidi il primo gangster-film di J. V. Sternberg, ricordo che se vi era in essi  qualcosa di epico, ad esempio gangster di Chicago che muoiono coraggiosamente. Beh, sentii che gli occhi mi si riempivano di lacrime…”.
Seguono due capitoli, IL GIORNO DOPO e LA PRIMA CROCIATA, dedicati al passaggio (attraverso alterne vicende) dal gangster-film a opere nelle quali campeggia la figura del poliziotto a difesa della legge e dell’ordine violati: è il periodo dei film dei G-Men che l’amministrazione Hoover (F.B.I.), il famigerato Hays e gruppi di pressione reazionari impongono alla produzione. Il film simbolo del periodo è La pattuglia dei senza paura (G-Men, 1935) di William Keighly, un regista che nel 1951 doveva girare I Was a Communist for F.B.I. (titolo che è tutto un programma). C’è da dire che La pattuglia dei senza paura inizia come un buon film di gangster che si risolve in seguito in un corso di pratica poliziesca. Questi film da un lato crearono consensi intorno all’autorità (c’era gente che si arruolava nell’F.B.I.), dall’altro era inevitabile che a lungo andare questa massiccia propaganda doveva risolversi in un capovolgimento che andava tutto a favore del gangster.
La svolta che doveva riportare sulla scena il gangster-film dei fulgidi anni ‘30/40 era nell’aria: “… i giovani dal viso fresco che generalmente interpretavano i G-Men e i caratteristi che impersonavano i capi del Bureau”, continua Clarens, “entravano nel film dopo che il film era stato presentato drammaticamente (in modo che il castigo fosse efficace), ma già si era creato un legame tra il criminale e lo spettatore. La successione di causa ed effetto provocava l’identificazione dello spettatore… ». Torna quindi sullo schermo il gangster.
I capitoli successivi del saggio, NIENTE DI NUOVO SUL FRONTE INTERNOUN NEW DEAL PER IL GANGSTER vanno al cuore del lavoro di Clarens, l’età classica del “genere” che diede al cinema capolavori ineguagliati come La foresta pietrificata (The Pietrified Forest, 1936) di Archie Mayo, Strada sbarrata (Dead Man, 1937) di William Wyler, Angeli con la faccia sporca (Angels with Dirty Faces, 1938) di Michael Curtiz, Furia (Fury, 1936) di Fritz Lang, Una pallottola per Roy (High Sierra, 1941) di Raoul Walsh, Il fuorilegge (This Gun for Hire, 1942) di Frank Tuttle.
Gli anni ‘50 sono esaminati nel capitolo SFUMATURE DI NOIR, dominato da gangster-esistenziali, dark ladies, private-eye, Marlowe e Spade. Per la maggior parte sono film tratti dai più affermati autori hard-boiled: da Raymond Chandler è tratto Il mistero del falco (The Maltese Falcon, 1941) di John Huston e Il grande sonno (The Big Sleep, 1946) di Howard Hawks; a Dashiell Hammett, La chiave di vetro (The Glass Key, 1942) di Stuart Heisler; da W. E. Burnett; Giungla d’asfalto (The Asphalt Jungle, 1950, ancora di John Huston; da un racconto di Ernest Hemingway è tratto La furia umana (White Heat, 1949) di Raoul Walsh.
Gli anni successivi alla seconda guerra mondiale videro dei cambiamenti nel gangster-film. Nel capitolo SINDACATO DEL CRIMINE Clarens indica il nuovo gangster, diverso dal duro dell’era del proibizionismo; adesso è un uomo d’affari rispettabile o un killer psicopatico. Si afferma il “sindacato” e il cinema utilizza nuove convenzioni ricavate dalla tradizione folkloristica delle società segrete trapiantate dall’Europa, vedi Il bacio della morte (Kiss of Death 1947) di Henry Hathaway. Fa il suo debutto l’anonima assassini nei film La città è salva (The Enforcer, 1951) di Raoul Walsh, Le vie della città (I Walk Alone, 1948) di Byron Haskin e La città nuda (The Naked City, 1948), un capolavoro di Jules Dassin che Clarens analizza con particolare efficacia.
BONNIE AND CLYDE e I RAGAZZI e TUTTO IN FAMIGLIA sono capitoli sugli anni ’60, età di ben confezionati remake, grandi film-fantasma dello splendore passato: Gangster Story di Arthur Penn (Bonnie and Clyde, 1967), Contratto per uccidere (The Killers, 1964) di Don Siegel, Il clan dei Barker (Bloody Mama, 1970) di Roger Corman.
Il capitolo finale del libro, TECNICHE DI VIOLENZA, riguarda gli anni Settanta: “Nuovi stadi di violenza”, afferma Clarens “richiedono nuovi tipi di criminali e il solo protagonista che emerge è lo spacciatore di droga. Fatta eccezione per il Padrino, il gangster come personaggio principale dello schermo sparì negli anni ‘70. Fu sostituito dal suo doppio, il poliziotto; forma emblematica, il poliziotto nacque nel Vietnam, o per essere precisi, dal fallimento di Hollywood nel rappresentare un conflitto cosi controverso e così impopolare all’estero. Il Vietnam, decise Hollywood, apparteneva alla televisione (cui era stato affidato, pessimisticamente, da McLuhan) ma la guerra doveva essere parafrasata in film sul crimine metropolitano. Nascono i film sulla polizia, sui vigilantes, su cittadini giustizieri, figure nelle quali si annullano il bene e il male in un indistinto universo di violenza urbana. Esemplari sono: I nuovi centurioni (The New Centurions, 1972) di Richard Fleischer, Squadra omicidi, Sparate a vista, (Madigan, 1968) di Don Siegel, I ragazzi del coro (The Choir Boys, 1977) di Robert Aldrich, Ispettore Callaghan il caso Scorpio è tuo (Dirty Harry, 1971) di Don Siegel; il film-cliché è comunque Il braccio violento della legge (The French Connection, 1972) di William Friedkin, mentre a un più alto livello si situa Taxi Driver (Taxi Driver, 1976) di Martin Scorsese. Capostipite dei vigilantes è Il giustiziere della notte (Death Wish, 1974) di Michael Winner; sul versante spacciatori di droga, Serpico (Serpico, 1974) di Sidney Lumet.

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