Genesi della Parola
Autore/i: Bronckart J.B.; Malrieu P.; Siguan Soler M.; Sinclair De Zwart H.; Slama-Cazacu T.; Tabouret-Keller A.; Beaudichon J.; Bresson F.; Cabrejo-Parra E.; Flament F.; Jocic M.; Karmiloff-Smith A.; Lézine I.; Oléron P.; Richelle M.; Savic S.; Simon J.; Titone R.
Editore: Armando Editore
a cura di Renzo Titone, introduzione e presentazione di François Bresson, traduzione di Adriana Compiani Poggiali.
pp. 312, Roma
La psicolinguistica ha conosciuto in questi ultimi 15 anni una evoluzione tanto rapida quanto radicale, quasi sconcertante. Posizioni che apparivano stabilmente acquisite sono state rimesse in discussione da nuovi dati sperimentali e dalla comparsa di orientamenti teorici contrapposti.
La rivoluzione chomskiana ribaltava i fondamenti teorici e metodologici della neonata psicolinguistica dimostrando i limiti dell’approccio comportamentistico in psicologia e di quello rigidamente tassonomico in linguistica, che ne avevano costituito i cardini iniziali. La grammatica generativa trasformazionale rompeva l’antico isolamento della linguistica poiché, focalizzando il suo oggetto di studio sul processo di generazione dell’enunciato, includeva l’utente nel proprio ambito.
Ciò consentì una produttiva convergenza con la psicologia cognitiva alimentando grandi speranze sulla possibilità di una rapida decifrazione dei reali meccanismi della percezione e della riproduzione dell’enunciato. Tuttavia, l’approccio rigidamente formalistico, la decontestualizzazione del processo linguistico e l’ipotesi innatista, unitamente all’ingenuo tentativo di sovrapporre meccanicamente il modello formale ai reali meccanismi della produzione linguistica furono altrettante cause che portarono la psicolinguistica in un vicolo cieco. Lo studio del linguaggio come sistema, fondato sui paradigmi chomskiani di competenza, di struttura superficiale e profonda, pur consentendo progressi rilevanti dimostrava la sua insufficienza ad affrontare in modo adeguato i problemi della selezione lessicale e della struttura semantica dell’enunciato.
Si apriva il nuovo capitolo delle grammatiche generativo-semanticiste, in cui il rapporto tra sintassi e semantica nella codificazione dell’enunciato veniva capovolto rispetto al modello chomskiano. Tuttavia, privilegiare l’aspetto semantico della codificazione linguistica significava accentuare l’importanza di componenti psicologiche, non strettamente linguistiche. Di conseguenza l’attenzione dei ricercatori si spostava gradualmente sul linguaggio come processo e funzione, focalizzandosi sempre più sul processo comunicativo.
In questa ottica assumeva un ruolo crescente l’analisi del rapporto tra sviluppo del linguaggio e processi cognitivi, ma soprattutto il ruolo del contesto, sia comunicativo che relazionale nel senso più ampio. Il recupero di concetti mutuati dalla filosofia del linguaggio, da Austin a Searle, evidenziava la centralità del nesso tra linguaggio e azione, dimostrando allo stesso tempo l’insufficienza di quegli approcci che tendevano all’analisi del significato facendo ricorso a concetti strettamente linguistici. Si dimostrava in tal modo l’importanza di quei codici comunicativi non verbali, simultanei e inizialmente anche sostitutivi di quello linguistico, dei rapporti col contesto relazionale, con la motivazione, ecc. Il comportamento dell’adulto, il suo linguaggio, venivano assumendo in questa ottica, un ruolo primario nell’organizzazione della comunicazione del bambino, del suo linguaggio.
Sono questi i problemi con cui si confronta oggi questa terza generazione di psicolinguisti, come la definisce M. Richelle nei commenti finali a questa raccolta di saggi.
Il libro mette a fuoco da angolature differenti i nodi centrali dello sviluppo linguistico del bambino e riflette la varietà di impostazioni che attualmente si confrontano nel campo della psicolinguistica evolutiva. Pur nella diversità di approcci, diversi elementi comuni collegano i vari contributi: anzitutto l’abbandono di un’impostazione rigidamente formalista, i cui limiti vengono chiaramente delineati da Titone, in secondo luogo, l’attenzione sul contesto comunicativo. Tutto ciò implica un’analisi più attenta di quel «sistema pragmatico di capacità comunicative» su cui si fonda lo sviluppo linguistico del bambino.
Così, il saggio di M. S. Soler sulla comunicazione gestuale mette a fuoco non solo le profonde differenze col codice verbale (ad es. il rapporto segno/simbolo nella definizione del significato del gesto), ma anche i rapporti ontogenetici tra gesto e parola. Ma il dibattito si snoda con voci spesso contrapposte.
Al saggio della Sinclair, che puntualizza le posizioni piagettiane sulla subordinazione dello sviluppo linguistico a quello cognitivo, fa riscontro la posizione della Tabouret-Keller che invece capovolge tale concezione affermando che sarebbe il linguaggio ad «imporre la sua struttura ai processi cognitivi». Il saggio della Slama-Cazacu sottolinea, invece, la centralità della relazione interindividuale e del contesto nel processo di apprendimento linguistico.
Quelli citati, e tutti gli altri contributi (preparati per un Simposio dell’Associazione Psicologica Francese, che doveva tenersi a Barcellona ma non ebbe mai luogo), testimoniano la ricchezza e la vivacità di questa raccolta che non porta la testimonianza di una scuola, ma il documento fedele di una nuova fase della ricerca psico-linguistica. Una ricerca spesso contraddittoria, ma più attenta alla reale complessità del processo comunicativo, densa di promesse per il futuro. (Giuseppe Cossu).
Argomenti: Linguistica, Storia,