Faust e il Golem
Realtà e mito del Doktor Johannes Faustus e del Maharal di Praga
Autore/i: Neher André
Editore: Sansoni Editore
traduzione di Vanna Lucattini Vogelmann.
pp. 180, nn. tavole b/n f.t., Firenze
Tra Goethe e Thomas Mann, tra il Maharal di Praga, Norbert Wiener e Arnold Schönberg, Faust e il Golem, affascinanti miti del moderno e del postmoderno, si intrecciano in inquietanti percorsi della storia.
Il mito di Faust e il mito del Golem sono miti «giovani», nati simultaneamente intorno al 1580, nel pieno del rinascimento, da due figure storiche, il Dottor Johannes Faustus e il Rabbi Jehudah Loew ben Bezalel, detto il Maharal di Praga.
L’aspetto magico, romanzesco cela un nucleo filosofico che sembra trovare per entrambi l’interprete ineguagliato in Goethe (con il Faust e con L’apprendista stregone). Ma i due temi «metafisici» del patto con il diavolo e della creazione del Golem (o automa) proseguono il loro cammino verso il nostro secolo, in cui incarnano l’uno (Faust) il mito dell’uomo moderno, l’altro (il Golem) il mito dell’uomo postmoderno. E ora trovano nuovamente chi dà loro voce: Thomas Mann, autore del Doktor Faustus (1947), e Norbert Wiener, autore di Cybernetics (1948) e di God & Golem (1964).
Chi conosca la storia di questi due miti sa che il secondo è un mito ebraico, ed ebrei sono il Maharal e Wiener, che reggono i due capi del filo golemico. Ma un terminale ebraico potrebbe scorgersi anche nel romanzo di Mann – forma definitiva del mito faustiano – se egli non avesse attribuito l’invenzione della dodecafonia al suo protagonista (e al suo patto con il diavolo) anziché al vero inventore, l’ebreo Arnold Schönberg. Il quale – osserva Neher – si ispira in realtà all’altro filone, al pensiero dialettico del Maharal, e quindi può essere visto come la cerniera tra i due miti. Sul rapporto Mann-Schönberg, modello e sintomo dell’occultamento subito da quel filone di pensiero ebraico innervante da secoli la cultura occidentale, si interroga Neher, al termine di un discorso di incomparabile finezza e originalità, sostenuto dalla ermeneutica tutta ebraica degli accostamenti e dei riferimenti incrociati. In tale ordito i personaggi maggiori e minori – da Tycho Brahe a Keplero, da David Gans all’imperatore Rodolfo, agli altri già nominati – sono figure reali ma anche anelli dell’interpretazione che questo libro, quasi inseguendo una postmoderna Scienza Nuova, offre degli inquietanti percorsi della storia.
André Neher (1913-1988), alsaziano, già professore di lingua e letteratura ebraica all’Università di Strasburgo, e tra i più brillanti intellettuali francesi, dal 1967 visse a Gerusalemme. Delle sue numerose opere di storia e filosofia ebraica sono già apparse in italiano: Mosè (1961), L’esilio della Parola (1983), L’essenza del profetismo (1984).
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