Fabbri e Pirandello – Il Teatro, la Persona, l’Oltre
Incontri Internazionali Diego Fabbri, Centro Nazionale Studi Pirandelliani – Atti del Convegno Nazionale di Forlì nel decennale della scomparsa di Diego Fabbri 4 – 5 – 6 ottobre 1990
Autore/i: Autori vari
Editore: Ateneo Editrice
introduzione generale al convegno di Ezio Raimondi, scritti di E. Raimondi, R. Alonge, B. Cuminetti, A. Bisicchia, U. Ronfani, G. Corsinovi, P. Puppa, G. Geron, G. Cappello, P. D. Giovannelli, O. Bertani, G. Antonucci, G. Sepe.
pp. 240, Forlì
Dall’introduzione:
«[…] La fortuna vuole che Fabbri ci abbia raccontato più volte, sopratutto nell’ultima fase, fra gli anni ’60 e ’70, i suoi incontri, mo così, diretti, a faccia scoperta e ingenua, quasi da bambini, come avrebbe chiesto poi il Pirandello dei Giganti della montagna, con Pirandello. È già stato ricordato come nell’articolo Come ho pedinato Pirandello, Fabbri ricordi, con una vena di nostalgia e anche in fondo di romagnolo umorismo, come, ragazzino, si trovasse a Civitella di Romagna e assistesse a una rappresentazione di teatranti in vacanza, che dovevano soltanto guadagnarsi quella serata, del Gioco delle parti. Cosa ancora più importante, in quel teatro Golfarelli, che mi pare sia stato poi distrutto o bruciato, è ancora più vivo il ricordo che egli ha di una scena, poiché egli dice. «Mi rimase da quel momento impressa l’immagine di Silvio Gala, è l’inizio del secondo atto, che compare in scena con un berrettone da cuoco e sta praticamente giocando con delle uova». Ciò è già significativo, poiché è una immagine viva di Pirandello vitale, uomo di teatro, inventore di scena, che si ferma nella memoria di un ragazzino, neppure di dieci anni, che ha già cominciato invece, per un’altra strada, a praticare il teatro tra liturgia, oratorio e primi tentativi di filodrammatici. Fabbri ha sempre elogiato il filodrammatico come un elemento vitale del teatro e non soltanto come una periferia di buona e sprovveduta volontà. D’altro canto egli ci ricorda ancora che, oramai diventato adulto, partecipa a Forlì ad un altro spettacolo, altrettanto significativo, Il Lazzaro di Pirandello (non per caso un testo che si chiude con la parola «miracolo», un termine che ritorna tante volte poi anche in Fabbri); ed egli ci racconta come, da entusiasta di teatro restasse alla fine dello spettacolo, dopo aver visto comparire Pirandello in scena (il pubblico non era molto, sembra anche che non accettasse più di tanto la dimensione filosofica di quel testo e commenta; «Noi in Romagna non amiamo molto la filosofia» alla fine si decide, come è accaduto anche ad altri di noi, di aspettare fuori dal teatro l’arrivo di Pirandello e di Marta Abba. […]»
Argomenti: Cultura, Età Moderna e Contemporanea, Letteratura, Teatro e Spettacolo,