Egitto Eterno
Autore/i: Montet Pierre
Editore: Il Saggiatore
prima edizione, prefazione dell’autore, traduzione di Paola Argan
pp. 434, nn. tavv. a colori e b/n, nn. ill. b/n, Milano
La storia dell’Egitto antico pare fatta per sconvolgere ogni nostra idea della storia. Lungo un decorso di millenni, l’opera del tempo e le sue mutazioni sono come soppresse in un solenne ripetersi di forme e di atti, sancito dalla frase abituale: «così accadeva fin dai tempi del dio». Perciò di un popolo, che ha così gran parte nei destini della civiltà antica, si conoscono meglio gli istituti che le vicende. Le inondazioni annue del Nilo, dispensatrici di fecondità, hanno deciso per sempre i ritmi della vita; per il resto, sembra che di secolo in secolo quasi nulla muti.
La scrittura geroglifica, ad esempio, che data dal tramonto della preistoria, perdura identica a rivestire i muri e le colonne dei templi fino all’età tolemaica e romana e cadrà in disuso solo nell’epoca in cui già si diffonde il cristianesimo. Per una singolare coincidenza, a quella mentalità astorica il tempo rispose cancellando ogni sicura cronologia: il famoso Canone Reale ci è arrivato frammentario, gli Annali dell’Antico Regno non si sono salvati che in parte, delle storie di Manetone non sopravvivono che i tratti citati da Giuseppe Flavio nel Contra Apionem. Eppure, nella loro indifferenza al tempo, gli Egiziani inventarono una tra le più perfette misure del tempo: l’anno di 365 giorni, che si inaugurava col sorgere eliaco di Sirio e in 1475 anni correggeva i suoi sbagli rispetto ai cicli del sole. Le date di inizio di alcune delle trenta dinastie, con i loro circa trecentotrenta re sono ricuperabili grazie a quell’automatico riassestarsi del calendario. In questo libro, Pierre Montet ha voluto definire, come il titolo stesso ricorda, i caratteri permanenti della civiltà egizia, ma anche analizzare i mutamenti indotti dall’inevitabile trascorrere delle passioni. La prima parte è dedicata alle condizioni naturali e politiche in cui vissero gli Egiziani; la seconda alla religione, alla letteratura, alla scienza, ma soprattutto all’arte e ai suoi portentosi risultati.
Nel capitolo conclusivo sono raccolti i giudizi sull’Egitto espressi dai popoli che con esso ebbero i rapporti più stretti (Ebrei, Greci).
Ed è tracciata una breve storia dell’egittologia fino ai recenti sviluppi, che le hanno consentito di risuscitare le vicende di intere dinastie, come quella delle Grandi Piramidi o quella del Labirinto, di cui non si conoscevano che i nomi dal suono quasi magico.
Egittologo assai noto, Pierre Montet nacque a Villefranche nel 1885; fu professore all’Università di Strasburgo dal 1919 al 1948, poi venne chiamato al Collège de France. Ha condotto numerose campagne di scavo in Fenicia e in Egitto, contribuendo in maniera decisiva al progresso della propria disciplina.
Tra le sue più importanti scoperte, sono da annoverarsi quella della tomba del faraone Psusennes a Tanis e quelle delle tombe dei re di Biblo, che contenevano anche numerose iscrizioni. Montet è a tutt’oggi il solo archeologo che abbia ritrovato una sepoltura regale inviolata, e l’abbia completamente descritta. Con i suoi reperti ha notevolmente contribuito ad arricchire il Museo del Cairo di oreficerie, maschere d’oro, vasellame sacro, sarcofaghi di inestimabile valore. Grande la sua attività di divulgatore, che si aggiunge a quella di insigne rappresentante del metodo scientifico in archeologia. Di lui Il Saggiatore ha già pubblicato, nella Collana «Uomo e Mito», l’opera Gli Egiziani del Nuovo Regno.
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