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Commentari Reali degli Incas

Commentari Reali degli Incas

Titolo originale: Primera parte de los Commentarios Reales que tratan del origine de los Yncas, Reyes que fueron del Perù

Autore/i: de la Vega Inca Garcilaso

Editore: Rusconi Libri

prima edizione, edizione italiana e introduzione a cura di Francesco Saba Sardi, cartine disegnate da Riccardo Orsolano.

pp. LXXIX-872, nn. tavole e carte geografiche a colori e b/n f.t., Milano

In tutte le regge trovarono giardini e orti a ricreazione dell’Inca. Vi impiantavano ogni sorta di alberi belli e appariscenti, aiuole di fiore, nonchè piante odorose e aggraziate, contraffatte d’oro e d’argento. V’erano anche animali grandi e piccoli, del pari fusi in oro e argento, come conigli, topi, lucertole, serpi, farfalle, volpi, gatti di montagna, ché non ne avevano di domestici. In molte case reali, fors’anche in tutte, erano bagni con grandi tinozze d’oro e d’argento, e tubature d’oro e d’argento, dalle quali usciva l’acqua per le tinozze. La maggior parte di queste ricchezze vennero fuse dagli indiani che s’erano avveduti della brama d’oro e d’argento degli spagnoli, e poi nascoste, né sono più apparse e neppure si spera che ricompaiano. L’Inca comandò che gli abituri e le capanne sparsi per le solitudini cedessero il posto a villaggi con strade e quartieri, e che i villaggi con strade e quartieri, e che i villaggi stessi fossero costruiti nei siti più adatti. Ordinò inoltre che rinunziassero a qualsiasi altro dio che non fosse il sole, e che gettassero le pietre policrome che si tenevano in casa a mò di idoli, più atte a far da blocco a fanciulli che non a essere adorate da uomini; e che obbedissero in tutto e per tutto alle leggi e ai decreti degli Incas, per insegnare i quali mandò uomini esperti che, i ogni villaggio, fungessero da maestri. Mentre Huayna Cápac era nei palazzi reali di Tumipampa, gli giunse la nuova che gente straniera e mai vista in quelle terre andava, a bordo di una nave, lungo la costa del suo Impero, per riconoscere quelle terre. La nave in questione apparteneva a Vasco Núñez de Balboa, primo scopritore del Mare del Sud.

Maestosa macchina cronista e narrativa barocca, i Commentari Reali degli Incas, pubblicati per la prima volta nel 1609, opera di uno dei massimi prosatori del siglo de oro iberico, Garcilaso de la Vega «el Inca», figlio di un nobile spagnolo e di un’erede della dinastia incaica, ospitano in sé due anime. In essi l’informazione storica si unisce all’accorata rievocazione di un momento impareggiabile delle vicende umane, il sorgere e l’inabissarsi della “patria” incaica di Garcilaso, una delle più singolari formazioni statali mai apparse e insieme centro di convergenza degli apporti più disparati meso e sudamericani. Nei Commentari, collocati sullo spartiacque che separa il tramonto del Medioevo e l’inizio dell’età moderna, si ritrovano così, accanto a una sorprendente esattezza e a un vigile senso critico, il modo “classico” di concepire la storia come sistema di esempi da imitare, e insieme la nostalgia per il “buon selvaggio” e per la presunta perfezione d’un mondo di sudditi “mansueti” e di sovrani “paterni”, inflessibili ma amorevoli, di un impero insomma che viene proposto a modello delle monarchie europee, una condizione edenica impareggiabile, “redenta” e distrutta dalla colonizzazione e dalla cristianizzazione forzosa.
«Primo grande scrittore latino-americano», com’è stato definito, il meticcio Garcilaso ha dunque composto un doloroso epicedio, è sceso nella cripta dei suoi ricordi personali, ha sondato l’anima del suo popolo di origine, e ne ha riportato i più esaurienti e preziosi frammenti dell’universo incaico, una “splendida barbarie” edificata da conquistatori che vanno annoverati tra i più grandi, abili ma anche implacabili, del mondo “aircaico”: sovrani che, forse partiti da Machu Picchu verso il 1.000 d.C., fondarono l’attuale Cuzco, sottomisero l’odierno Perù, la Bolivia, parte dell’Ecuador e del Cile, e tentarono invano di invadere l’Amazzonia: un «impero tutto d’oro», così apparve agli spagnoli, che «crollò in una nuvola di polvere dorata» (Philip Means) sotto i colpi di un pugno di manigoldi assetati di ricchezze e guidati dall’ex guardiano di porci Francisco Pizzaro.
Indispensabile chiave per la comprensione del “continente inquieto”, com’è stato giustamente definito il Sudamerica, i Commentari, in cui si mescolano “favole” e fatti reali ancor più stupefacenti, è un policromo arazzo in cui trascorre, nel suo, residuo fulgore non ancora del tutto appannato dalla “leggenda nera” dei feroci e sanguinari conquistadores, il mondo esotico e bellissimo delle “Indie occidentali” sospese tra “verità” e leggenda. Puntiglioso registratore di eventi, Garcilaso de la Vega ha così composto un monumentale opus, ingiustamente negletto in Italia (e notissimo invece nei Paesi di lingua spagnola, anglosassone, tedesca e francese), al quale si sono abbeverate generazioni di storici, come alla fonte scritta più preziosa e praticamente unica per la comprensione del mondo precolombiano sudamericano: un saggio antropologico ante litteram oltre che un racconto sapientemente ritmato, lucido e smagliante. Specchio senza equivalenti di un triste destino collettivo e di un’immedicabile nostalgia personale, i Commentari contano tra i pochi libri davvero “da salvare”. Un saggio introduttivo e apparati critici e illustrativi tentano di ridargli legittima cittadinanza in un universo, il nostro, che dopo tutto è il rampollo degli eventi qui riferiti.

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