Come Moriamo
Riflessioni sull’ultimo capitolo della vita
Autore/i: Nuland Sherwin B.
Editore: Arnoldo Mondadori Editore
prima edizione, introduzione dell’autore, traduzione di Adria Francesca Tissoni.
pp. X-326, Milano
Oggi ci vergognamo di morire, come se fosse una cosa di pessimo gusto. A tale proposito i medici hanno osservato uno strano fenomeno. Capita spesso ai cardiopatici, che si sentono male mentre camminano per strada, di ricorrere a un espediente per mascherare il loro stato: si fermano a guardare con apparente interesse una vetrina finché il dolore non si placa. Questo libro ci insegna a non guardare le vetrine, ci insegna che non è una vergogna morire.
Non c’è posto per la morte nel nostro mondo: l’abbiamo relegata negli ospedali, nei reparti di terapia intensiva, confinandola nel silenzio e nella solitudine.
«La morte ha mille porte» dice un poeta: noi fingiamo di averle chiuse tutte, ma dietro quelle porte si continua a morire. Ha anche mille nomi, eppure gran parte degli uomini la nomina il meno possibile e la «vede» una o due volte sole nella vita senza riuscire a mantenerne un ricordo preciso, anzi tendendo a dimenticarla, a rimuoverla. Le descrizioni che ne abbiamo sono opera, quasi sempre, di scrittori, poeti e saggisti che l’hanno «vista» raramente. I medici e gli infermieri che, invece, ne hanno esperienza quotidiana non amano parlarne e meno ancora scriverne. Quel poco che sappiamo della morte è, quindi, in gran parte inattendibile.
Si continua a morire in maniera sostanzialmente identica malgrado il passare dei secoli e i progressi della scienza, e tuttavia ogni morte è un’esperienza unica. La morte è immutabile ma, allo stesso tempo, sa evolversi: l’AIDS è una malattia impensabile, nella sua aggressività, al di fuori della civiltà dei jet.
Il mondo contemporaneo si comporta come se la morte non esistesse. Un comportamento assurdo, come di chi legga un romanzo amputato dell’ultimo capitolo. Questo saggio, che in America ha registrato un inatteso e clamoroso successo, racconta appunto l’«ultimo capitolo», spiega come moriamo e perché, smitizza le leggende e i tabù che sono fioriti attorno a quello che è l’atto finale del processo della vita.
«Con questo forte saggio Sherwin B. Nuland offre al lettore un profondo insegnamento, per metà biologico, per metà filosofico, sull’inevitabilità ma anche sulla necessità della morte. Senza ignorare il contrasto fra un disegno che impone a tutti gli esseri viventi un continuo ricambio e il rifiuto che l’istinto gli oppone, l’autore sollecita la nascita di una cultura dell’accettazione. L’analisi attenta dei momenti terminali dei suoi pazienti offre a Nuland lo spunto per distillare da una dolorosa esperienza messaggi comportamentali validi sia per i medici sia per la gente comune, non senza far vibrare la sua protesta per la medicina tecnologica che spesso si accanisce in impossibili terapie per contrastare un evento incontrastabile.» (Umberto Veronesi)
«Nuland è un medico di grande saggezza che ha al suo attivo un’esperienza clinica trentennale,- uno storico e studioso che si muove a suo agio in tutta la letteratura occidentale,- un essere umano estremamente sensibile (e, si direbbe, vulnerabile) che ricorda di aver visto morire tanti familiari e amici. Queste tre voci – la clinica, la storica e la personale – si combinano in un’unica narrazione, una serie di quadri e analisi della morte di rara potenza e coraggio, privi di sentimentalismo.» (Oliver Sachs)
Sherwin B. Nuland insegna chirurgia e storia della medicina all’università di Yale. Dirige il «Journal of the History of Medicine and Allied Sciences» e ha scritto The Origins of Anesthesia, un classico della letteratura medica, e I figli di Ippocrate. Storia della medicina dagli antichi greci ai trapianti d’organi (Mondadori, 1992). Vive con la famiglia ad Hamden, nel Connecticut.