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Chin P’Ing Mei

Chin P’Ing Mei

Romanzo cinese del secolo XVI

Autore/i: Anonimo

Editore: Giulio Einaudi Editore

prima edizione, a cura di Piero Jahier e Maj-Lis Stoneman, introduzione di Arthur Waley.

pp. XXX-928, 15 tavole a colori f.t., Torino

Il Chin P’ing Mei racconta una storia coniugale ricca di complicazioni quanto può esserlo quella d’un uomo con sei mogli. Ma il romanzo non interesserà solo chi è curioso di seguire la «carriera d’un libertino» medioevale dello Shantung, i litigi e i complotti tra le mogli, il modo in cui queste vengono reclutate, le frequenti scappatelle extrapluri-coniugali, e le feste gli intrighi le superstizioni: non è solo come mosso e affollato quadro di costume che il libro è valido, ma come narrazione piena di finezza psicologica e di realismo. Il mondo che descrive, i caratteri, fanno pensare a Boccaccio, o alla commedia italiana cinquecentesca, ma la condotta narrativa, i caratteri a tutto fondo, la rappresentazione minuziosa d’una società, lo pongono sul piano del grande romanzo europeo dell’Ottocento. Invece, il Chin P’ing Mei è del secolo XVI, incerti l’autore e l’origine (una leggenda lo vuole scritto per vendetta contro un esoso notabile, e trascritto su pagine dagli angoli avvelenati, cosicché l’interessato, umettandosi continuamente il dito per sfogliarlo, ne mori) ed è uno dei quattro grandi romanzi classici cinesi. Tradotto in tedesco e poi ritradotto in parecchie lingue europee, eccolo finalmente portato in italiano da, Piero Jahier, un nostro poeta che da tempo ama rifarsi al pensiero e alla poesia della Cina e che ha saputo limpidamente rendere le brevi poesie intercalate alla narrazione.
Protagonista del romanzo, più che il dissoluto e disonesto Hsi-Mên, è Loto d’Oro, la Quinta Moglie, una donna che non bada a scrupoli per soddisfare le sue bramosie e le sue ambizioni e che non si dichiara mai vinta. Intorno a lei, la dolce e saggia Madama Luna, la Prima Moglie, che rappresenta un po’ la morale del romanzo, e il patetico personaggio di Madama P’ing, leggera ma fondamentalmente sana, e il cacciatore di tigri Wu Sung, e la mezzana Madre Wang, e una folla di minori, fino ai due malandrini Biscia e Topo di Fogna.
Il primo a scoprire il Chin P’ing Mei in Italia fu Arrigo Cajumi, che all’uscita della traduzione francese, cosi scriveva: «Certo, dalle Mille e una notte in poi, non avevamo letto nulla di più gustoso nello stesso genere».
Illustrano il volume quindici preziose tavole a colori tratte da classici inediti della pittura cinese coeva del romanzo.

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