Carabattole
Titolo originale: Fourbis
Autore/i: Leiris Michel
Editore: Giulio Einaudi Editore
unica edizione, traduzione e cura di Ivos Margoni, collana: Nuova universale Einaudi 226.
pp. LXXXIII-316, Torino
«Avaro di me stesso quanto può esserlo un bifolco dei propri soldi; incatenato dalla paura; reticente in amore; felice di recitare la parte del torero, ma senza mai trovarmi di fronte a un toro vero, e quella del don Giovanni, ma senza conquiste né sfide al Commendatore; ormai dotato di esistenza solo negli scritti, e sempre intento a formulare sentenze che hanno il tono remoto delle parole supreme, quasi che le mie dita fossero già serrate dal guanto di pietra della morte». Cosi scrive di sé Michel Leiris in Carabattole, libro-confessione folgorante come i Saggi di Montaigne, maniacale e analitico come la Recherce, spietato come i Ricordi dal sottosuolo di Dostoevskij. Un meticoloso scandaglio di memorie che, accanto al «percorso ufficiale» degli eventi, si dispiega in un «cammino sotterraneo» alla ricerca dell’immoralità e della mediocrità del protagonista. Un percorso di verità fra esperienza, riflessione analitica e identificazione emotiva che assume carattere paradigmatico dell’uomo novecentesco.
Secondo libro della Regola del gioco, cioè del ciclo autobiografico complessivo, Carabattole ne è forse il momento più alto e coinvolgente, rievocando soprattutto gli anni dell’adolescenza e giovanili: la passione per le corse dei cavalli e i giochi di ruolo di Leiris ragazzo, prefigurazioni del desiderio per un destino di «cadetto», il gusto estetico del secondo arrivato. E poi la vita militare in Africa del Nord, l’apprendistato a una guerra finta (ancora una tauromachia senza toro), e infine il grande amore per la prostituta Khadigia, «equivoco travestimento carnale assunto dall’angelo della morte».
Il primato del linguaggio in letteratura, il sogno e l’eros come momenti di rivelazione esistenziale e poetica, l’interesse per il mito e il sacro, lo studio delle civiltà primitive. Se Michel Leiris fosse solo questo, sarebbe classificabile fra gli scrittori surrealisti, magari più vicino agli «eretici» Bataille e Caillois che non ai padri fondatori del gruppo. Ma sarebbe riduttivo costringere in una casella uno scrittore che si è innestato su molteplici tradizioni sempre innovandole nel profondo. Leiris mette a punto un affascinante progetto letterario alla ricerca dell’autenticità della scrittura senza passare dal caso (ancora i surrealisti) e dalla spontaneità, bensì dalla consapevolezza intellettuale. Il suo lavoro è un intreccio inestricabile di irrazionalità e razionalità. La sua pagina ha l’ampiezza architettonica di un classico, ma le parti all’interno della frase si accumulano, si interrompono per digressioni, incisi, parentesi: forzano dall’interno ogni equilibrio e simmetria possibile, fanno incontrare autore e lettore in un gorgo comune di verità. All’imminente scadenza del secolo, riepilogando i veri maestri del Novecento, Leiris non può mancare, anche perché da lui hanno preso parzialmente tanti importanti scrittori, da Barthes a Simon, a Perec, dagli autori del nouveau roman a quelli dell’Oulipo. Ma l’intera carica innovativa della sua scrittura è ancora tutta e solo dentro le sue opere, immutata dal tempo.
Michel Leiris (1901-1990) ha fatto parte del gruppo dei surrealisti negli anni Venti. Nel 1931 il suo primo, lungo viaggio in Africa: dopodiché, studi e professione di etnologo sotto la guida di Marcel Mauss che lo condurranno alla pubblicazione di moltissimi volumi e articoli scientifici e alla direzione dal dipartimento Africa nera al Musée de l’Homme di Parigi. Sul versante letterario il suo capolavoro è La regola del gioco, grande autobiografia in quattro libri: Biffures (1948, Einaudi 1979), Fourbis (1955, qui tradotto col titolo Carabattole), Fibrilles (1966, di prossima pubblicazione da Einaudi) e Frêle bruit (1976).
Argomenti: Biografie, Memorie, Personalità, Racconti, Storie di Vita,