Calcoli e Fandonie
Autore/i: Sinisgalli Leonardo
Editore: Arnoldo Mondadori Editore
prima edizione, con una nota di Gianfranco Contini.
pp. 148, Milano
Poeta e ingegnere: è la gabbia dorata in cui la critica, anche la più esultante, ha rinchiuso Leonardo Sinisgalli. Come a dire: una mente matematica con lampi, anche durevoli, d’arte. È sempre più difficile dire che cosa sia la poesia, ma per Sinisgalli il discorso si fa semplice: è sempre stato poeta, nel senso – preteso dal suo nome di battesimo – leonardesco. Questi Calcoli e fandonie, prose che il lettore può assaporare fin nella loro luce più preziosa, tanto effabili e chiare sono nella struttura esterna, nella loro offerta senza torsioni sintattiche e retrofondi segreti che poi rischierebbero di essere un coperchio per un vuoto, queste prose, di cui egli ha coltivato l’ideale fin dai tempi dei famosi Quaderno di geometria, Horror vacui, Furor mathematicas, L’indovino, sono il pendant e la prosecuzione di un discorso poetico che dura da decenni. Affondato nel cuore della civiltà d’oggi, Sinisgalli la fruga con penetrante insistenza: “Dopo la sregolatezza deve vincere il rigore, dopo lo scempio arriva in tempo la geometria”: potrebbe, con l’opportuna cesura, essere un distico, se non fosse anche una professione di fede vichiana, non ingegneresca ma filosofica, tratta più che da un’osservazione da un’intuizione della realtà ( quella storica compresa). E ancora: “La nuova fisica non ci dà nessun conforto.
Ha alleggerito la materia, ma ha appesantito la luce”. Nessun misuratore dell’universo, con le sue impeccabili ma aride strumentazioni, potrebbe esprimersi così.
Vogliamo chiamarla grazia? E sia, purché resti inteso che è una grazia che non piove dall’esterno, ma dal di dentro, da una maturità di vita e di esperienze, da un occhio dilatato sull’intero mondo e solidale con esso. È un nutrimento che sapremmo definire soltanto poetico. L’antico lucano, il musulmano Sinisgalli più che all’arte di ricomporre cose sconnesse, all’“al-giabr” di qualche matematico antenato, guarda se mai alla folgorante sapienza coranica, al suo indubitabile materiale poetico. Eppure nessuno, forse, tra i nostri scrittori, sotto l’apparente ordine, è così sapientemente scardinato. L’arte di Sinisgalli è di sconnettere le cose che paiono composte, una opera di scepsi come quella compiuta da Montaigne. Aggiungiamo che egli rifugge dal classico, così come ne rifuggì Leonardo nella Gioconda, che attira lo spettatore in un vortice infinito ed è forse il primo segno premonitore di quel grande movimento dell’arte, al quale appena ora Arnold Hauser ha dato una sufficiente spiegazione, che va sotto il nome di manierismo. Sinisgalli è tanto poco ingegnere da sfidare ogni equilibrio, da gettarsi a capofitto nei punti nevralgici più fiammeggianti della vita. Questo è il senso – oltre che delle sue poesie “in versi” – delle sue prose schiaffeggianti la prosa fino all’irriverenza, facendone un sulfureo filo di anafore e anagogie di cristallina limpidezza.
Leonardo Sinisgalli è nato a Montemurro (Potenza) nel 1908.
Ha studiato negli istituti tecnici di Caserta e Benevento, poi a Roma dove lo spinse la vocazione matematica.
Fu allievo di Levi-Civita, di Severi, di Fermi. Ma poi si laureò in ingegneria quando aveva già stretto amicizia con poeti e scrittori e collaborato alla “Italia Letteraria” di Angioletti e Falqui. I suoi primi versi furono citati da Ungaretti sulla “Gazzetta del Popolo” in una corrispondenza da Lucera. Le 18 Poesie stampate a Milano da Scheiwiller nel 1936 attrassero l’attenzione di Cecchi, e De Robertis dedicò al libriccino poco più grande di un francobollo, un famoso saggio sul primo numero di “Letteratura”. Due anni dopo uscirono Campi elisi, sempre nelle piccole edizioni milanesi del Pesce d’Oro: ne scrissero subito Contini, Bo, Anceschi. Dal 1936 fino allo scoppio della guerra diresse a Milano l’ufficio tecnico di pubblicità della Olivetti. Nel dopoguerra fu consulente della Pirelli a Milano, poi della Finmeccanica a Roma. Fu chiamato come esperto da Mattei all’Agip, poi dall’Alitalia.
Ha fondato e diretto per cinque anni ( 1953-1958) la rivista “Civiltà delle Macchine”, nota in tutto il mondo. Vive a Roma.
Argomenti: Matematica, Poesia,